Cosa mi ha insegnato il surf

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Quando ho iniziato a fare surf, avevo l’impressione che alla fine sarebbe diventato più facile. Ho imparato ben presto che le condizioni dell’oceano sono troppo imprevedibili perché diventi “facile”, e se sono riuscita a eccellere in qualcosa, è stato proprio nel diventare resiliente di fronte all’oceano.

 

Se avete mai provato a fare surf, forse conoscete la sensazione di essere colti di sorpresa da un imponente muro di acqua bianca. Invece di sollevarvi sopra l’onda o di permettervi di tuffarvi con successo attraverso di essa, l’onda vi afferra nel suo torrente e vi fa girare come un capo di abbigliamento nell’asciugatrice. La tentazione è quella di farsi prendere dal panico e di trovare una via d’uscita. Ma un surfista esperto sa che quando l’onda è in controllo, la cosa migliore da fare è “lasciarsi andare”, ovvero arrendersi. Lottare non fa altro che prosciugare le energie e rubare la risorsa più preziosa che abbiamo: l’ossigeno.

Arrendersi è una parola che non è rara nel linguaggio dei surfisti. Ma nel mio cammino con Dio, la resa mi ha confuso completamente. Quando le persone mi hanno consigliato di arrendermi a lui, la mia risposta è stata spesso del tipo: “Sì, ma come? Che cosa significa nella pratica?”.

 

La mia confusione è nata da esperienze in cui mi sono arresa con tutto il cuore a qualcosa e non ho visto alcun cambiamento nelle situazioni che stavo vivendo o nelle mie emozioni. Ho abbandonato tutto a lui più e più volte, solo perché continuavo a essere preoccupata. Dire “Rimetto ____ a te, Signore” o “Ti prego, pensaci tu!” mi hanno spesso fatto sentire frustrata e non ascoltata.

Allora perché la resa per me, e forse anche per voi, sembra così difficile? Ho forse una concezione errata? È qualcosa che sto o non sto facendo? Le mie aspettative nei confronti di Dio sono forse sbagliate?

 

Potrebbe sorprendervi il fatto che la resa di cui cantiamo e predichiamo non è presente nella Bibbia. Nella maggior parte delle traduzioni non compare affatto. In alcune traduzioni questo concetto compare meno di 20 volte, tutte nell’Antico Testamento. Nei pochi momenti in cui viene usato, si riferisce alla resa letterale in una battaglia che implica la rinuncia a tutti i diritti del conquistatore. Quando un esercito si arrende, gli uomini depongono le armi e la parte vincente prende il controllo. Ma cosa significa arrendersi nella nostra vita quotidiana? Perché, quando deponiamo le cose ai piedi di Gesù, a volte la battaglia sembra continuare? Se ci arrendessimo in una battaglia letterale e l’esercito avversario continuasse a combattere, potremmo guardarli in modo strano e dire: “Scusate, non mi avete sentito? Ho detto che mi arrendo”.

 

Molti di noi sono dell’idea che arrendersi nel nostro cammino cristiano significhi fare meno o smettere di fare qualcosa. Tuttavia, anche nel surf, l’arrendersi non significa sedersi sulla tavola e lasciare che l’acqua mi porti al sicuro sopra un’onda o direttamente a riva. L’azione di resa mi richiede di valutare l’ambiente e le circostanze in cui mi trovo, in modo da poter prendere la decisione migliore: dove pagaiare, come posizionarmi, come proteggermi, quando tuffarmi, quando chiedere aiuto, quando continuare a muovermi e, a volte, quando conoscere i miei limiti e uscire dall’acqua. Nel pieno di un’onda è l’unico momento in cui la resa sembra corrispondere al non fare… e persino in quel momento, sto ancora compiendo un’azione importante. Sto ancora proteggendo la testa, trattenendo il respiro e confidando che la gravità mi riporti in superficie. Possiamo considerare la resa spirituale in modo simile: non come una risposta passiva, ma come qualcosa che richiede la nostra partecipazione attiva.

Filippesi 2:13 ci dice: “È Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo”. Dio non fa la sua volontà al posto nostro; ci dà lo Spirito Santo affinché operi in noi. L’abbandono richiede di ricordare che siamo stati progettati in modo straordinario dal Dio dell’universo, che ci chiama la sua opera (cfr. Efesini 2:9) e ci ha fatti per rappresentarlo (cfr. Genesi 1:27). Gran parte della nostra confusione deriva dal pensare che sia compito di Dio sistemare tutto. Ma ci sono momenti in cui egli non vuole che ci arrendiamo, che ci adagiamo o che ci fermiamo, ma desidera invece che partecipiamo alla vita di cui ci ha dato autonomia; che usiamo i doni che ci ha dato: saggezza, discernimento, fede, chiarezza, audacia, forza, pazienza, compassione e gentilezza.

 

Mi piace come l’oratore e predicatore motivazionale Eddie Hypolite definisce questo concetto. Dichiara: “Arrendersi significa smettere di lottare contro Dio nei luoghi in cui sta cercando di cambiarci e di far crescere la nostra vita”. Lo combattiamo in molti modi: negando, minimizzando, proiettando, razionalizzando, procrastinando, distraendoci, incolpando noi stessi e incolpando gli altri. Ci attacchiamo a identità, relazioni e sogni. Abbiamo idee su come vogliamo che sia la nostra vita e ci disilludiamo quando le cose non vanno come sperato o pianificato.

Arrendersi, quindi, può essere la cosa più impegnativa che dovremmo fare. Richiede di essere onesti con noi stessi e di esaminare dove abbiamo bisogno di crescere. Ci chiede di confidare in Dio e nel suo amore per noi.

 

Nel libro “Overcoming Through Jesus”, il pastore Bill Liversidge afferma: “La vittoria è nella resa, non nella lotta”. Come un pesce nell’acqua, il viaggio sarà molto più facile se nuotiamo con la corrente.

 

Nella vita, come nel surf, ci sono onde che spuntano dal nulla e ci portano fuori rotta. Ci saranno giorni in cui usciremo fiduciosi ed entusiasti, ma ci ritroveremo a subire un’onda e a rimanere bloccati. Se vi preoccupate sempre che le cose vadano male, ristagnerete le vostre capacità, vi stresserete, escluderete la gioia dell’esperienza vissuta e vi proteggerete costantemente dai “e se…”. Ma c’è forza nel conoscere e riconoscere i nostri limiti e le nostre debolezze (cfr. 2 Corinzi 12:9). Quando lo facciamo, possiamo andare avanti e salvare noi stessi e gli altri da molte difficoltà. Come scrive Liversidge, “se sei nella grazia, sei libero di affrontare ogni aspetto della tua vita e del tuo carattere, e sei libero di crescere e maturare in ogni modo, senza sentirti condannato mentre vai avanti”.

 

Quindi, quando il mare è agitato e la vita vi sta servendo “un’onda di traverso”, non alzate le mani per gridare al cielo “prendi il timone!”. Restate invece connessi col Signore. Lavorate con lui. Chiedete cosa vuole fare in voi. Lasciate che vi porti a riva, ma non aspettatevi che ciò accada mentre galleggiate sulla schiena. Nuotate al suo fianco come l’uomo/la donna coraggioso/a e brillante che vi ha chiamato a essere. E confidate che, anche quando le condizioni sono svantaggiose, Dio è lì con voi, a compiere la sua opera in voi. Egli sa quando intervenire come bagnino e vi lancerà una corda quando più ne avrete bisogno.

 

 

Di Zanita Fletcher

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2022/09/29/what-surfing-taught-me-about-surrender/

Traduzione: Tiziana Calà

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