Elia: un fallimento o un vincitore?

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Il profeta Elia appare per la prima volta in 1 Re 17:1, dove affronta il re d’Israele Acab, dicendogli che per tre anni non sarebbero cadute né rugiada né pioggia sulla terra come punizione per la malvagità d’Israele.

Elia apparteneva alla famiglia dei Tisbiti, che vivevano nella zona di Galaad. Sebbene non sia detto direttamente che Elia fosse un israelita, ciò può essere dedotto da 1 Re 19:10,18.

All’inizio della loro storia, gli Efraimiti accusarono Iefte e i suoi uomini di essere “fuggiaschi di Efraim”, una delle tribù di Israele (Giudici 12:4). Iefte aveva guidato uomini di Galaad contro un esercito di Efraim e li aveva sconfitti. Galaad era un’area a est del fiume Giordano e questo nome viene citato più volte nell’Antico Testamento. Quando il nome di Galaad compare, si riferisce per lo più a una zona del paese. Si riferisce anche a una catena montuosa di quell’area, al padre di Iefte e a uno dei capi di Gad. L’area fa oggi parte del moderno paese della Giordania. Elia fu profeta durante i regni di Acab e di Acazia, re d’Israele.

Questo per quanto riguarda il contesto ancestrale di Elia. Consideriamo ora i fallimenti e le vittorie di questo profeta.

 

I fallimenti

Subito dopo la vittoria schiacciante sul monte Carmelo, Elia fuggì quando la regina Izebel minacciò di ucciderlo alla stessa ora del giorno seguente. Ormai le risorse spirituali e fisiche di Elia erano esaurite e, dimenticando apparentemente che Dio poteva aiutarlo in quella situazione estrema, Elia fuggì, camminò nel deserto per un giorno intero e si sedette sotto una ginestra. Sebbene Dio lo avesse sostenuto durante la siccità, accanto al torrente Cherit e presso la casa della vedova di Sarepta, Elia si mise a pregare che Dio gli togliesse la vita, perché sentiva di non essere migliore dei suoi padri.

Dio non volle saperne, perché aveva ancora un’opera da compiere attraverso il suo profeta. Piuttosto che lasciar morire il suo servo nel deserto, Dio aveva in mente qualcosa di meraviglioso per il suo devoto servitore.

Elia si addormentò sotto la ginestra, completamente esausto. Più tardi, un angelo, che aveva preparato un pasto per Elia, lo toccò e gli disse di mangiare e bere. Possiamo solo immaginare il potere ristoratore di quel semplice pasto a base di pane e acqua, visto che era stato preparato da un angelo. Davvero un cibo del cielo fatto sulla terra. Elia dormì di nuovo e poi cenò con un altro pasto preparato dall’angelo. L’angelo, conoscendo gli ingredienti del pasto che aveva preparato per Elia, gli ordinò di mettersi in cammino verso il monte Oreb (cioè il Sinai), il monte di Dio. Fortificato grazie a quei due pasti, Elia viaggiò per 40 giorni, dormendo in una grotta quando arrivò alla sua destinazione (cfr. 1 Re 19:1-9).

Dio parlò allora al suo servitore in modo gentile, chiedendogli cosa stesse facendo lì. Fu qui che Elia aprì a Dio il suo cuore per spiegare il motivo della sua fuga, dicendo: “i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita” (1 Re 19:10).

Ma Dio aveva una sorpresa per Elia, perché dichiarò: “Ma io lascerò in Israele un residuo di settemila uomini, tutti quelli il cui ginocchio non s’è piegato davanti a Baal, e la cui bocca non l’ha baciato” (v. 18). Opportunamente redarguito, Elia lasciò la montagna, trovò Eliseo, figlio di Sarepta, e gli gettò addosso il suo mantello come segno che Eliseo sarebbe stato il profeta di Dio dopo Elia.

Qual è stato dunque il fallimento di Elia? Semplicemente, il fatto di non aver continuato a confidare in Dio di fronte alla minaccia di Izebel, avvenuta subito dopo la sua grande vittoria per Dio sul monte Carmelo. Dio non ci abbandona dopo una vittoria. È sempre con noi, anche se non lo vediamo, come dimostrò poco dopo a Elia. Non dobbiamo lasciar vacillare la nostra fede in Dio quando le circostanze avverse sembrano sul punto di sopraffarci. Dobbiamo invece cantare nella nostra “prigione” come fecero Paolo e Sila, con i piedi bloccati da ceppi e le guardie romane ai lati.

La fiducia rinnovata, però, trasforma un fallimento in una vittoria.

 

La vittoria

Quando la siccità stava per finire, Dio mandò Elia da Acab per dirgli che la pioggia stava per arrivare (cfr. 1 Re 18:1-18). Elia disse allora al re che doveva radunare i 450 profeti di Baal e i 400 profeti di Astarte sul monte Carmelo. Lì il popolo avrebbe dovuto decidere chi sarebbe stato il suo Dio, dopo aver vacillato tra il grande Dio del cielo e le divinità pagane dei paesi circostanti.

L’aria era elettrizzata dall’attesa perché Elia, nella totale fiducia in Dio, aveva detto al popolo di preparare un altare, di sacrificare un animale su di esso mentre i profeti di Baal e di Astarte dovevano invocare i loro dèi affinché mandassero un fuoco dal cielo per consumare la loro offerta. Naturalmente, ciò non accadde, anche se i loro deliri e le loro farneticazioni continuarono per tutto il giorno. Con calma e tranquillità, Elia preparò allora un altare al Signore, vi depose l’animale sacrificato, fece versare barili d’acqua sul sacrificio e sull’altare e poi recitò una semplice preghiera di dedizione a Dio, chiedendogli di mostrare al popolo chi fosse il vero Dio. Dio ricompensò immediatamente la fede del suo servitore inviando dal cielo un fuoco che consumò completamente non solo il sacrificio, ma anche le pietre dell’altare e l’acqua nel canale di scolo intorno all’altare.

La conclusione fu ovvia per le migliaia di israeliti che si erano radunati sul monte Carmelo per quel grande spettacolo. I profeti di Baal e di Astarte vennero catturati e massacrati e il Dio del cielo venne riconosciuto come il vero Dio.

Come promesso, Elia intuì che la pioggia era in arrivo e disse al re Acab che doveva affrettarsi a tornare a Izreel. Non solo, ma Dio diede al suo servo la forza di correre davanti al carro di Acab fino all’ingresso di Izreel, l’allora città del re d’Israele.

Se mai c’è stata una vittoria più clamorosa ottenuta grazie a un servitore di Dio, non è riportata nella Scrittura. La fede e la fiducia trionfarono nella vita di Elia e la potenza di Dio lo sostenne in quell’esperienza traumatica che durò un giorno intero, fino a sera.

Sicuramente Elia era un vincitore, nel vero senso della parola.

Il ministero di Elia sarebbe finito presto, ma non la sua vita! Dalla sua esperienza con Dio sul monte Oreb, andò a cercare Eliseo e lo unse come prossimo profeta di Dio, gettando su di lui il suo mantello. Eliseo seguì Elia e non si allontanò da lui nemmeno quando Elia disse che sarebbe andato in altri luoghi. Nel grande tempismo di Dio, però, arrivò il momento in cui un carro di fuoco apparve sopra Elia ed egli fu rapito in cielo, senza mai sperimentare la morte. Questa è stata davvero la ricompensa definitiva per un profeta fedele, pur con le sue debolezze, che non solo non è morto, ma che ha servito il Salvatore, insieme a Mosè, sul monte della trasfigurazione durante il ministero di Gesù (cfr. Matteo 17:1-3).

Un vero onore per uno dei veri vincitori di Dio!

 

 

Di William Ackland, pensionato, vive a Cooranbong, Australia; ha scritto otto libri.

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2022/09/29/elijah-a-failure-or-a-victor/

Traduzione: Tiziana Calà

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