Richiamato all’attenzione

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Viviamo in un mondo in cui le notizie sono molto più pervasive degli eventi che riportano. Un evento accade in un luogo, ma viene quasi istantaneamente ripetuto e riecheggiato in altri milioni di luoghi. E mentre l’evento può essere scioccante, tragico o orribile, un tributo più ampio e a volte più grande viene riscosso dal suo reportage, dalle repliche al rallentatore, dall’opinionismo senza fiato e dall’incessante ciclo di notizie che è già alla ricerca del prossimo oltraggio prima che si possa fare un’analisi attenta o una risposta compassionevole in relazione alla “storia dell’attualità”.

 

Avete mai pensato che sono le persone che ci vendono le notizie (e le pubblicità in mezzo) che investono di più per sollecitarne l’imperativo? Sia che si tratti dei notiziari orari con i loro frequenti aggiornamenti dei titoli, sia che si tratti della banda di notizie che scorre sulla parte inferiore dello schermo televisivo, siamo spinti a credere che il loro programma di notizie, o il loro canale di notizie, sia vitale per una funzionale vita adulta.

Ma il posto che occupano le notizie sul posto di lavoro, nelle cene o nelle conversazioni sui social media ci ricorda anche il presunto significato dei titoli del giorno.

In “The News: A User’s Manual”, il filosofo Alain de Botton condivide il suggerimento del filosofo tedesco Georg Hegel, secondo cui il dominio delle notizie ha sostituito la religione “come fonte centrale di orientamento e pietra di paragone dell’autorità. Nelle economie sviluppate, le notizie occupano oggi una posizione di potere almeno pari a quella di cui godevano in passato le fedi”.

Egli sottolinea che i notiziari del mattino e della sera imitano i rituali devozionali delle generazioni precedenti ma, cosa ancora più significativa, identifica la deferenza che diamo alle “notizie” come fonte di significato e persino di moralità nelle nostre vite: “Anche qui speriamo di ricevere rivelazioni, di sapere chi è buono e chi è cattivo, di capire la sofferenza e la logica dell’esistenza. E anche qui, se ci rifiutiamo di partecipare ai rituali, potremmo essere accusati di eresia”.

Per quanto fuorviante possa essere, tutto questo poteva essere gestibile quando si trattava semplicemente del giornale al mattino, di occasionali notiziari radiofonici durante il giorno, per finire con il telegiornale della sera. Ma ora non si ferma mai: le notizie sono sui nostri cellulari, computer e altri dispositivi, sempre con noi, sempre accese, sempre aggiornate all’ultimo minuto.

 

Ad aumentare la complessità è la natura intrinseca delle notizie come selezione dell’assurdo. Ogni giorno intorno a noi accadono cose importanti, preziose, belle e buone, ma molte di queste non saranno mai “notizie”.

 

Al contrario, le notizie celebrano le stranezze, le prime, le più grandi, le più scioccanti e mescolano le più tragiche con le banalità delle celebrità, i risultati sportivi e il tempo di domani, che nella maggior parte dei giorni è irrilevante. È un cocktail sconcertante, selezionato più per la sua capacità di catturare e trattenere la nostra attenzione – ironia della sorte, non trattenendola mai, passando rapidamente da una storia o un’idea all’altra – che per il tentativo di indagare su ciò che è importante per le nostre vite e comunità.

Sebbene ci siano molti giornalisti che cercano di raccontare storie significative e degne di nota, le voci ragionevoli sono spesso sommerse da quelle che assecondano le nostre paure, insicurezze e pregiudizi, e alcuni commentatori si guadagnano da vivere facendo proprio questo. Ma anche le voci e le storie che cercano di far emergere il nostro meglio si perdono facilmente nella molteplicità delle informazioni che ricercano la nostra attenzione.

De Botton contrappone le notizie alla religione in questo senso significativo. “Esattamente come le notizie, le religioni vogliono dirci ogni giorno cose importanti”, scrive. “Ma, a differenza dei telegiornali, sanno che se ci dicono troppo, in una volta sola, e solo una volta, allora non ricorderemo, e non faremo, assolutamente nulla”.

Ed ecco le domande chiave su cosa ci fa la sovraesposizione alle notizie. Le notizie, anche solo per la portata delle storie raccontate a metà, ci sommergono fino a renderci insensibili? Ci colpiscono al cuore, rendendoci più isolati, ansiosi e arroccati? Oppure ci spingono a reagire in modo compassionevole? Se le notizie sono diventate la nostra presunta religione sociale, dobbiamo essere consapevoli dei valori che formano nelle nostre vite e di come le nostre risposte si traducono in azioni.

Ignorare il mondo che ci circonda non è certo un’opzione. Grazie ai notiziari, comprendiamo l’interconnessione delle nostre vite in modi importanti. Ma a prescindere dalla nostra fede personale, dobbiamo riconoscere i modi in cui le notizie si contrappongono a quei valori e a quelle priorità, e questo può essere difficile da fare quando siamo incessantemente richiamati all’attenzione dalle voci più forti dei media che ci circondano.

Non è un’eresia concludere che alcuni giorni possiamo semplicemente spegnere tutto. Il mondo delle notizie continuerà senza di noi. Non dobbiamo sentirci in colpa per non avere tutti i dettagli di ogni tragedia in corso, raccapricciante atrocità, posizione politica o indiscrezione relativa a una celebrità. Possiamo respirare profondamente nel mondo in altri modi più positivi.

Come conclude de Botton, “una vita fiorente richiede la capacità di riconoscere i momenti in cui le notizie non hanno più nulla di originale o importante da insegnarci”. Mentre le notizie possono essere simili alla religione, vivere bene e vivere fedelmente sono raramente presenti nei titoli dei giornali.

 

 

Di Nathan Brown, redattore presso la Signs Publishing Company di Warburton, Australia

Fonte: https://st.network/analysis/top/called-to-attention.html

Traduzione: Tiziana Calà

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