Alla ricerca della felicità

Shares

Non mi sarei mai aspettata che il mio lavoro influenzasse la mia salute mentale. All’inizio, come la maggior parte delle persone che iniziano un nuovo lavoro, ero entusiasta della mia nuova classe, dei bambini a cui avrei insegnato e dell’ambiente che volevo creare per queste giovani menti. Avevo una vera passione per i bambini e non vedevo l’ora di essere la migliore insegnante possibile. Leggevo articoli sull’insegnamento nelle classi d’asilo, sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva dei bambini e su ciò che poteva fare di me una grande educatrice.

 

Ero così appassionata del mio lavoro che all’inizio di ogni anno scolastico lavoravo fino a tardi durante il fine settimana prima della prima lezione, preparando e decorando l’aula con immagini di animali e arcobaleni per far divertire i bambini. Ma tutto è crollato quando è subentrata la depressione. Ogni parte della mia vita sembrava andare in pezzi e la mia passione per il lavoro diminuiva mentre cercavo di recuperare le mie energie mentali e fisiche.

Poi, una mattina di maggio, ricevetti un messaggio preoccupante dal mio ragazzo: “Faccio fatica ad alzarmi dal letto. Mi è stata recentemente diagnosticata una depressione moderata e mi ci è voluto un po’ per dirtelo. Non sto affatto bene. Mi hanno consigliato di rivolgermi a un medico per un trattamento”. Sentii subito una nube scura impadronirsi della mia mente e la paura invadere tutto il mio corpo. Sapevo che da mesi stava lottando contro la depressione, ma il fatto che ora avesse una diagnosi medica rendeva le cose ancora più preoccupanti.

Dovevo iniziare a lavorare di lì a poco, ma non ero dell’umore giusto. Un’enorme ondata di preoccupazione, inquietudine e paura offuscava il mio giudizio e le mie emozioni, e sapevo che non potevo andare a lezione in quello stato. Volevo incoraggiarlo, ma avevo bisogno di forza e di fede; ero altrettanto depressa. Ero a più di 10.000 chilometri da lui e questo non faceva che aumentare la mia preoccupazione.

E poi un pensiero folle mi attraversò la mente: e se mi fossi assentata dal lavoro, anche se per pochi giorni, per andare a trovarlo? Sentivo che avevo assolutamente bisogno di vederlo. Sono una persona emotiva e non mi sembrava possibile stare a migliaia di chilometri di distanza mentre l’amore della mia vita aveva problemi di salute mentale. Dovevo vederlo. Dopo aver riflettuto un po’, decisi di parlare con la mia responsabile e di chiederle questo favore.

“È assolutamente necessario?”, mi chiese per la seconda volta dopo che le avevo spiegato il mio progetto di andare negli Stati Uniti per qualche giorno e le ragioni di questa mia decisione.

“Non te l’avrei chiesto se non l’avessi ritenuto necessario. Naturalmente, hai l’ultima parola, ma ti prego di permettermi di andare. Devo vederlo perché sono molto preoccupata”, la supplicai.

Lei sospirò e mi concesse due giorni di ferie, conteggiandoli come giorni di malattia. C’erano due feste nazionali, una in quella settimana e una nella settimana successiva, quindi avrei perso solo due giorni invece di quattro. Abbassai la testa in segno di gratitudine per la sua generosità e ringraziai Dio mentre uscivo dal suo ufficio, preparandomi a comprare il biglietto aereo.

Trovai il volo più economico per Orlando, in Florida, per quello stesso giorno. Dopo aver compilato tutte le informazioni necessarie, ma prima di pagare, mi fermai per un momento, combattendo con il pensiero che non potevo davvero permettermi quel biglietto. Il costo era il doppio del mio stipendio mensile e sapevo che al ritorno dagli Stati Uniti sarei riuscita a malapena a sbarcare il lunario per un po’. Avrei speso i miei sudati risparmi che avevo messo da parte per le tasse universitarie e per un appartamento più bello. Tuttavia, nonostante tutto questo, cliccai per continuare il pagamento, prenotando il volo senza guardarmi indietro.

Feci bagagli in meno di 20 minuti. Poi controllai il telefono, trovando un messaggio di mia sorella che mi chiedeva di chiamarla quando avessi avuto tempo. Non avevo altro da fare che aspettare l’ora in cui sarei dovuta partire per l’aeroporto, così la chiamai.

“Hei! Volevo solo assicurarmi che saresti stata la mia damigella d’onore al matrimonio”, fu la prima cosa che mi disse… anche se avrei voluto che prima mi chiedesse come stavo.

Le sue parole appesantirono ancora di più i miei pensieri. Le confermai che sarei stata la sua damigella d’onore e lei mi assicurò che era tutto programmato e che avrebbe ordinato il mio abito il giorno stesso.

Cercai di sembrare più allegra di quanto mi sentissi dentro per nascondere il mio vero stato emotivo, ma non ero sicura di starci riuscendo davvero. Mia sorella doveva occuparsi dei preparativi dell’ultimo minuto per il matrimonio, così riattaccò.

Contro la mia stessa volontà, provai un’enorme ondata di gelosia e invidia nei confronti di mia sorella. Lei si sposava dopo un anno di frequentazione con il suo ragazzo e io non ero ancora fidanzata ufficialmente dopo un anno e mezzo di frequentazione col mio. Provavo sentimenti “forti” nei confronti suoi e del suo fidanzato, non perché lui non fosse una brava persona, ma perché desideravo essere al loro posto.

In realtà, erano mesi che lottavo contro questo pensiero e odiavo profondamente ammettere che era una battaglia che si stava intensificando invece di diminuire. Per quanto possa sembrare egoista, ero invidiosa non solo di mia sorella, ma anche di tutti i miei amici che si stavano fidanzando o sposando.

Mi sentivo abbandonata. Sapevo di avere ancora tempo e che le tempistiche di Dio sono perfette, ma ero consumata dall’invidia e dalla gelosia. Non avevo nessuno con cui parlare della mia frustrazione. Se ne avessi parlato con il mio ragazzo, non l’avrebbe presa bene e avrebbe dato la colpa a se stesso, visto che i nostri piani erano stati ritardati soprattutto “a causa sua”.

Passai il resto della giornata dormendo e aspettando che il tempo passasse. L’unica cosa movimentata che feci fu mangiare un’omelette che era rimasta dalla cena del giorno precedente. Mancavano ancora tre ore alla partenza per l’aeroporto quando ricevetti un altro messaggio dal mio ragazzo. “Se stai pensando di venire in Florida per me, per favore non farlo. Non perché non lo voglia, ma perché mi sentirei ancora peggio se lo facessi”. Poi aggiunse: “Mi sentirei in colpa per averti fatto spendere tanti soldi solo per venire per qualche giorno e, anche se averti qui mi farebbe sentire meglio, mi sentirei molto peggio dopo la tua partenza. Per favore, non venire. Risparmia i tuoi soldi per altre cose più importanti”.

Il suo messaggio non mi sorprese. Era razionale ed empatico. Ma ero confusa su cosa avrei dovuto fare. Dovevo andare comunque, soprattutto perché avevo già comprato il biglietto? Dovevo restare, perché sembrava che questo lo avrebbe aiutato di più a lungo termine, e sperare di ottenere il rimborso del biglietto?

“Il fatto che io non venga a trovarti gioverebbe a te e alla tua salute mentale nel lungo periodo? Se è così, non verrò. Non voglio fare nulla che a lungo andare ti faccia stare peggio”, risposi dopo averci pensato un po’. Mi rispose immediatamente dicendo che la mia assenza avrebbe giovato alla sua salute mentale. In quel momento, con la stessa spontaneità con cui avevo comprato il biglietto aereo, cancellai il volo e non mi guardai indietro.

Non volevo fare nulla che potesse far soffrire ancora di più il mio ragazzo e quando gli comunicai la mia decisione, mi espresse quanto apprezzasse ancora una volta la mia intenzione di volerlo andare a trovare e sostenerlo. Due mesi dopo, venne a trovarmi in Corea del Sud e passammo un mese intero a goderci la reciproca compagnia. Abbiamo visitato i giardini botanici, mangiato in ottimi ristoranti e ci siamo rilassati a casa. È stato un periodo bellissimo in cui abbiamo scoperto cose che ci hanno aiutato a crescere e a capirci meglio. Abbiamo parlato di come la sua salute mentale avesse influenzato la nostra relazione e abbiamo discusso dei nostri progetti matrimoniali.

Mentalmente ed emotivamente, mi sentivo una persona completamente nuova. Durante i sei mesi appena trascorsi, che erano stati particolarmente difficili a causa del mio lavoro, della mia relazione e dei miei sentimenti negativi, ero diventata sempre più infelice. Pensavo che non ci fosse spazio per la felicità, ma uno dopo l’altro i miei problemi cominciarono a diminuire e infine a risolversi.

Dopo che io e il mio ragazzo abbiamo avuto la possibilità di parlare faccia a faccia, ho capito che la felicità non era irraggiungibile. La nostra relazione aveva avuto molti problemi a causa di circostanze difficili, ma questo non significava che non avrebbe funzionato o che Dio non ci stesse benedicendo. Anzi, credo che ci stesse insegnando l’arte della pazienza e della perseveranza, permettendoci di attraversare le sfide e quindi di crescere come individui e come coppia, preparandoci ancora di più al matrimonio.

Credo che Dio sia la risposta a tutti i problemi della vita, indipendentemente dalla loro natura, e che sia l’unico in grado di dare pace e gioia in mezzo alle sfide. Col Signore al mio fianco, per quanto inaspettate o strane possano essere le situazioni che mi trovo ad affrontare, posso trovare la felicità ogni giorno.

 

 

Di Michelle Hong

Fonte: https://st.network/religion/finding-happiness.html

Traduzione: Tiziana Calà

Il prezzo del cambiamento
Lo Spirito Santo è al lavoro anche in Europa

Avventista Magazine

La rivista ufficiale della Federazione Chiesa Avventista del Settimo Giorno della Svizzera romanda e del Ticino.

E-MAGAZINE

ADVENTISTE MAGAZINE TV

Top