Il prezzo del cambiamento

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Intervista a Ella Simmons

Vivere in tempi di grande trasformazione sociale è un privilegio ma anche una sfida. In questa intervista, la dottoressa Ella Simmons rivela come sono state la sua infanzia e giovinezza durante il periodo del movimento americano per i diritti civili. In quel tumulto, scoprì anche la chiesa che finì per amare e servire con dignità e coraggio. Ella è stata la prima donna vicepresidente della Chiesa avventista mondiale. È andata in pensione quest’anno dopo 17 anni di mandato (ndt). Questa un’intervista è stata realizzata da Adrian Bocaneanu e trasmessa sul canale HopeTV della Romania. La trascrizione dell’intervista è stata modificata per brevità e chiarezza.

 

Adrian Bocaneanu: Qual è il tuo ricordo d’infanzia più bello? 
Ella Simmons: Ho molti bei ricordi della mia infanzia, ma i più forti sono legati alla mia bisnonna. Era il punto fermo della mia vita e mi ha insegnato tutto quello che so sulla vita, su Dio, sulle relazioni, sulla cucina e su molte altre cose ancora. In qualche modo, ho sviluppato l’amore per i libri. Leggendo, viaggio indirettamente attraverso le storie raccontate. Non possedevo molti libri; ne avevamo un po’, ma non eravamo ricchi.
Sebbene non fossimo ricchi in senso materiale, erano più ricche le relazioni personali e la comprensione della vita. Quindi sono sempre stata incoraggiata a frequentare la biblioteca pubblica, che era gratuita. Andavo e tornavo con enormi pile di libri e viaggiavo in tutti i tipi di posti esotici attraverso le mie letture. E forse questo si è esteso poi all’amore per la scuola. Combinare l’amore per l’apprendimento e la lettura, suppongo che questo abbia plasmato la mia prospettiva sulla scuola.

 

A. B.: Quelli della tua famiglia erano cristiani praticanti? 
E. S.: La mia famiglia non era avventista del settimo giorno, come lo sono io adesso, ma tutti i membri della mia famiglia erano cristiani. Sebbene non avessimo un culto familiare regolare, c’era un’atmosfera di adorazione in casa, unita alla preghiera e alle conversazioni sul nostro cammino con Dio.

 

A. B.: Si trattava di uno stile di vita piuttosto che di una vita incentrata sulla chiesa. 
E. S.: Sì. Vi erano alcune attività incentrate sulla chiesa: memorizzavamo la Scrittura, cantavamo canti e inni cristiani e assistevamo ai servizi di predicazione, ma il modo in cui si svolgevano quotidianamente era per me la cosa più interessante. Ancora oggi non so se la mia bisnonna mi avesse educato in questo modo intenzionalmente, o se fosse il suo modo naturale di vivere e condividere la vita.

 

A. B.: Hai detto che la tua famiglia non era avventista del settimo giorno, come lo sei adesso. Come sei venuta a conoscenza di questa fede e cosa ti ha attratto? 
E. S.: Direi che sia stata la fede della mia famiglia a gettare le basi. Ci è stato insegnato a pensare sempre da noi stessi e a studiare per capire da soli. L’ho preso alla lettera e ho studiato la Bibbia da sola. È così che ho scoperto alcuni insegnamenti che non avevo sentito nella chiesa che frequentavo, e ciò, dal mio punto di vista di ragazza di 14 anni, era una chiara violazione della Parola di Dio.

 

A. B.: Potresti farci degli esempi? 
E. S.: Uno di essi aveva a che fare con il sabato.

 

A. B.: Quindi, a 14 anni, hai scoperto da sola la verità sul sabato, leggendo la Bibbia, non sapendo quale chiesa lo osservasse. 
E. S.: L’ho letto nei dieci comandamenti. Tutti i cristiani credono nei dieci comandamenti e io mi sono chiesta: “Come mai crediamo in nove dei dieci comandamenti, ma non in questo?”. Avevo molte domande senza risposta. Dopo alcuni anni, ho scoperto la chiesa avventista del settimo giorno, dove ho trovato le risposte a tutte le mie domande, così ho deciso di essere battezzata nella chiesa avventista.

 

A. B.: Quando ti sei resa conto del fatto che c’erano alcuni problemi nel rapporto tra bianchi e neri? 
E. S.: Questa è una bella domanda. La maggior parte dei quartieri in cui ho trascorso la mia infanzia (ci siamo trasferiti poche volte) erano abitati da persone di diversa estrazione. A Louisville, nel Kentucky, dove sono cresciuta, la gamma di diversità non era ampia, eppure c’era. Non ero a conoscenza delle differenze nella mia giovane età, ma c’erano alcuni indicatori.

Ad esempio, nel nostro quartiere in età prescolare tutti i bambini, bianchi e neri, sono cresciuti insieme, hanno giocato insieme e pensavano poco alle diversità, ma in età scolare vi è stata una divisione. I bambini neri venivano indirizzati in una scuola e i bambini bianchi in un’altra scuola. Ho iniziato a capire allora che c’era una certa differenza. Ma non ho necessariamente visto questo come una differenza di valore. A volte sentivo la conversazione, ma ancora una volta non ci pensavo molto a causa del modo in cui siamo cresciuti. Forse conosci il caso “Brown contro Board of Education” al quale sono stati indirizzati i nostri distretti scolastici per disaggregare o integrare.

 

 

A. B.: Qual era la situazione a Louisville? In molti luoghi ci sono state lotte terribili. 
E. S.: Hai ragione. Non abbiamo avuto scontri terribili, ma non sapevamo cosa sarebbe successo. Ricordo che avevo finito la seconda elementare quando è successo, e i miei genitori erano preoccupati. Non mi hanno parlato dei pericoli, ma ho imparato molti anni dopo che quello che hanno fatto è stato prepararmi a uscire da sola, come stavo facendo. E ricordo il primo giorno. Sono andata nella scuola frequentata da altri miei amici, avevo il mio piccolo pranzo al sacco e la cartella con i libri; indossavo l’uniforme scolastica e andavo allegramente senza rendermi conto che i miei genitori mi seguivano. Si nascondevano dietro un albero o una macchina, in modo che io non sapessi di essere osservata, e questa situazione andò avanti per un po’, finché non si resero conto che sarei stata al sicuro.

Abbiamo avuto una transizione graduale. In seguito, abbiamo avuto dei problemi, ma niente di simile a quello che forse avete visto in alcuni film, da altre parti degli Stati Uniti.

 

A. B.: Nel tempo, il movimento per i diritti civili ha guadagnato slancio. Hai qualche ricordo di quel periodo? 
E. S.: Certamente. A un certo punto, ho capito meglio la situazione e posso dirti che nel quartiere sicuro in cui vivevo, di tanto in tanto, c’erano persone che facevano commenti poco gentili. E così ho cominciato a capire pian piano. Venendo al movimento per i diritti civili, ero pienamente consapevole delle sfide che dovevamo affrontare nel nostro Paese.

 

A. B.: Nella città di Louisville, la segregazione razziale era praticata come nel sud? O i neri erano meglio integrati anche prima dei grandi cambiamenti degli anni ’60? 
E. S.: C’erano chiari segni di segregazione, ma non in ogni luogo e in ogni momento. Louisville era un posto interessante. Era diverso. La linea Mason-Dixon era una sorta di confine tra nord e sud. Ricordo quando gli afroamericani di Louisville boicottarono i grandi magazzini, rifiutandosi di acquistare qualsiasi cosa per Pasqua.

Nella cultura in cui sono cresciuta, il periodo pasquale era quello in cui tutti avevano un vestito nuovo e spesso un cappello nuovo. Neri e bianchi avevano tutti la stessa tradizione. Acquistavamo i vestiti negli stessi grandi magazzini. Ma quello che non sapevo fino ad allora era che c’era una regola che non permetteva ai clienti neri di provare i vestiti. Era molto strano, ma tali differenze esistevano, quindi ci siamo detti tutti: “Non compriamo niente di nuovo per Pasqua. Fino a quando non verrà modificata questa regola, non faremo acquisti in questi negozi”. Ricordo che ho preso parte a questo boicottaggio e su questo i miei genitori sono stati molto chiari, non dovevamo entrare in quei negozi, per non permettere più che si praticassero simili oltraggi contro di noi. C’erano anche alcune tavole calde che dovevano essere boicottate. C’erano sit-in, marce e manifestazioni.

 

A. B.: Erano manifestazioni pacifiche o erano segnate da scontri fisici? 
E. S.: Per la maggior parte, le manifestazioni sono state pacifiche.

 

A. B.: Hai preso parte a qualcuna? 
E. S.: Ho partecipato ad alcuni raduni in alcuni posti. I miei genitori avevano paura a lasciarmi andare alle manifestazioni, perché avrebbero dovuto essere non violente, ma i miei genitori non erano sicuri che sarei rimasta tranquilla se qualcuno mi avesse provocato. Sentivano che avrei reagito e avevano paura che sarei stata uccisa.

 

A. B.: Suppongo che tu abbia molta esperienza con i combattimenti, dato che sei cresciuta con cinque fratelli. 
E. S.: Sì, e forse a volte sono stata un po’ troppo frettolosa.

 

A. B.: Con il passare del tempo le cose si sono sistemate. In che modo la situazione in quel momento ha influenzato la tua prospettiva sulla vita, le relazioni e la giustizia sociale? 
E. S.: Ho un profondo senso di giustizia ed equità, i due termini per me sono sinonimi in questo contesto. Hai detto che con il passare del tempo le cose si sono calmate, si sono sistemate. È vero, ma come sapete la situazione non è completamente cambiata. Certe ingiustizie persistono in un modo o nell’altro. Grazie al fatto che sono cresciuta in quel periodo, in quella città e in una famiglia che mi ha sostenuto costantemente, ho acquisito un sano senso di autostima. So che i miei genitori mi hanno dato una buona educazione. Non si tratta di vanità, ma di un senso di valore nel contesto dell’essere creazione di Dio, e tutte le persone sono create uguali.

Ma riconosco che è sempre una lotta, e Frederick Douglass lo disse in modo eloquente in uno dei suoi discorsi che preferisco, pronunciato nel XIX secolo nei Caraibi. Disse che il problema riguarda il potere, coloro che vogliono impossessarsene e mantenerlo, non le differenze razziali, nazionali, etniche o sociali. Disse anche che le persone non rinunceranno mai al potere senza combattere, e non dovremmo nemmeno pensare che ciò possa accadere senza combattere. La lotta potrebbe essere morale, fisica o entrambe le cose, ma deve certamente essere combattuta, e io mi ci ritrovo perfettamente in questo.

Ripensando a quando ero a scuola, so esattamente quali insegnanti si sono rivolti a me come individuo e quali hanno avuto difficoltà a causa del mio colore e della mia etnia. Sono stata capace di addentrarmi nel sistema e questo mi ha aiutato. Sono successe diverse cose da quando sono arrivata a occupare la posizione che ho ora all’interno della chiesa, e alcuni dei miei amici e colleghi hanno affrontato più sfide di me. Ho detto loro: “Scelgo come consentire alla rabbia di dirigere le mie energie”. Ci arrabbiamo quando vediamo ingiustizie dirette verso di noi e gli altri, ma la rabbia non è il rimedio, quindi, ho imparato che devo essere saggia nel modo in cui rispondo. Ci sono momenti in cui rispondo impulsivamente e talvolta credo che sia meglio, ma in molte occasioni devo trattenermi e muovermi con dignità, come cristiana, ma allo stesso tempo mi preparo a combattere l’ingiustizia nel posto giusto e al momento giusto.

 

 

A. B.: In quei tempi di tumulto interiore, hai scelto di affermare la tua libertà interiore e il senso del tuo valore personale, sapendo che sei stata creata da Dio. 
E. S.: Assolutamente. Forse sono un’idealista e penso che dobbiamo mantenere gli ideali per riuscire a fare ciò che Dio vuole che facciamo. Per poter andare avanti è necessario conservare la nostra speranza. Uno dei miei migliori amici dice che dobbiamo andare avanti e verso l’alto, e la speranza ci aiuta a farlo. Credo che dobbiamo sempre cercare la giustizia.

Alcune persone hanno un atteggiamento critico nei confronti della giustizia sociale, di cui ora si parla forse troppo sporadicamente. Credo che in realtà si tratti di giustizia divina per tutte le persone. Dio ci ha creato e ci ha dato delle leggi. Se noi, il popolo, le rispettassimo, vivremmo in completa armonia gli uni con gli altri. Dio è amore, la sua legge è basata sull’amore e dobbiamo amarci reciprocamente. Credo che ci sia una tensione continua all’interno di ogni collettività e di ogni persona per creare una società basata sulla giustizia, ma per costruirla, dobbiamo tornare al progetto originale di Dio per la sua creazione. Non è qualcosa che può essere imposto dall’esterno, si tratta di sottomissione interiore alla volontà divina. Quindi, avviene una trasformazione graduale, dall’interno verso l’esterno.

Tornando alle mie esperienze del movimento per i diritti civili, dovevano esserci leggi imposte dall’esterno per vietare certi comportamenti, perché altrimenti le cose non sarebbero cambiate. Quando questo accadde, vi furono persone, persone oneste, che proprio non sapevano o a cui veniva insegnato in modo errato, che vedevano forse per la prima volta con i propri occhi quali fossero i tragici effetti dell’ingiustizia, e iniziarono a cambiare il loro comportamento. Poi vi erano quelli che probabilmente erano solo il male e avevano permesso al male di germogliare nel loro cuore e non sarebbero mai cambiati. Quindi, era necessario porre loro dei limiti con l’aiuto della legge.

 

A. B.: Hai detto che dobbiamo andare avanti e verso l’alto e, in molti modi, sei arrivata più lontano e più in alto di quanto ci si aspettasse nel tuo ambiente. Hai dedicato la tua vita all’apprendimento e hai anche conseguito un dottorato in scienze dell’educazione. Qual è stata la tua esperienza quando hai avuto più successo della maggior parte delle persone intorno a te? Ti hanno sostenuto, mantenendo il tuo senso di appartenenza? O questo ha sollevato barriere tra te e quelli del tuo gruppo? 
E. S.: Ho incontrato entrambi gli atteggiamenti nella mia cerchia sociale più ampia. Dalla mia famiglia e dai miei parenti ho sempre avuto sostegno, ma c’erano altre persone che dicevano cose scortesi come: “Non sai chi sei. Cosa stai cercando di fare? Perché stai cercando di separarti da noi?”. Questo fatto mi ha portato a essere più sensibile verso gli altri, perché non stavo chiaramente cercando di mettere una barriera tra quello che ero e quello che facevo.

Sono molto orgogliosa della mia eredità, perché è ricca in modi più significativi. Ma c’erano alcune persone che non capivano cosa stessi facendo, quindi, ho dovuto dimostrare loro che non ero cambiata, che tenevo ancora a loro e che apprezzavo ancora ciò che avevano ottenuto nella vita.

Alcuni dei miei amici non sono stati in grado di raggiungere i livelli di istruzione e sviluppo professionale loro offerti, perché sentivano di dover assomigliare alle persone del loro gruppo tralasciando ciò che era stato loro offerto. Però posso essere me stessa dal punto di vista spirituale, professionale ed educativo e nello stesso tempo essere come altri che erano andati forse nella direzione opposta. Siamo tutti diversi gli uni dagli altri e, per vari motivi, seguiamo strade diverse.

Ho ereditato dalla mia famiglia una delle cose più importanti: la volontà di non permettere agli altri di determinare la mia via o di definirmi, ma di lasciarmi guidare solo da Dio. Chi ti circonda a volte può intervenire in modi diversi. Alcune persone hanno cercato di ostacolarmi, ma il Signore ha organizzato le cose in modo che potessi continuare quello che stavo facendo. Per me, la progressione, in avanti e verso l’alto, è stata naturale perché fin da piccola mi è stato insegnato che questo è il corso naturale delle cose nella vita e che è quello che dovevo impegnarmi a fare. Questi insegnamenti erano profondamente radicati nella mia mente, quindi non ho nemmeno pensato ad altre opzioni. Forse ho perso qualche amico qua e là, ma è stata una loro decisione, non la mia, e spesso ho dovuto dire ai miei amici: “Non posso partecipare a determinate attività perché devo studiare o prendermi cura della mia famiglia”. Ho cercato di prendere decisioni sagge, ascoltando la volontà di Dio e lasciandomi guidare da lui, anche se questo significava lasciare la mia zona di comfort.

 

A. B.: Alcuni sono stati felici per la tua elezione alla guida internazionale della Chiesa avventista. Per qualcuno aveva anche un valore simbolico, perché sei una donna e perché sei nera. Ma altri non sono così soddisfatti. Dopo tutta l’eccitazione e il tumulto iniziali, devi esercitare la tua funzione e compiere determinate cose. Hai trovato un ambiente favorevole per fare quello a cui sei stata chiamata? 
E. S.: Sì. Assolutamente.

 

A. B.: Te lo chiedo perché nessun’altra donna ha mai ricoperto questa posizione. 
E. S.: Questo è vero. Posso fare riferimento alla mia infanzia, quando dovevo esplorare e affrontare nuove situazioni. Per esempio, quando avevo sette o otto anni, qualche volta ci trasferivamo in un nuovo quartiere e andavo in una nuova scuola, quindi ci sono abituata. Sono abituata a essere l’unica femmina tra maschi, perché Dio mi ha dato solo fratelli per prepararmi a questa posizione.

 

A. B.: Interessante! Quanti vicepresidenti sono attualmente presenti alla Conferenza generale? 
E. S.: Penso sei. Quindi la situazione ricorda perfettamente quella della mia infanzia, quando sono cresciuta tra cinque fratelli. Penso di essere anche più anziana di loro per età e per servizio, quindi, la situazione ora è simile a quella della mia infanzia. Sono tornata al punto di partenza della mia vita.

 

A. B.: Scorgi qualche valore nell’aspetto simbolico dell’essere afroamericana e donna che apre la strada ad altre donne, incoraggiandole, aiutandole e dando loro la speranza che non ci siano limiti quando ci fidiamo di Dio e gli ubbidiamo? 
E. S.: Certo! Sento questo senso di responsabilità. Ci è stato insegnato che abbiamo una responsabilità verso tutte le altre persone, verso coloro che sono d’accordo con noi e anche verso coloro che non lo sono, qualunque sia il problema. Tengo a mente queste cose quando svolgo i miei compiti.

 

A. B.: Nel frattempo, sei stata rieletta due volte vicepresidente. 
E. S.: Sì, è una cosa che mi stupisce. La mia convinzione è che le cose migliori debbano ancora venire.

 

A. B.: Dottoressa Simmons, grazie mille.

 

 

Nota: Puoi guardare la versione completa qui: http://www.sperantatv.ro/web/punctul-de-plecare-ella-simmons-09-07-2016/ 

 

 

Fonte: HopeMedia Italia

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