Il disaccordo: il dono di Dio alla sua Chiesa

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Avete mai conosciuto qualcuno che non abbia mai avuto una discussione? Io sì. È successo durante una lezione della Scuola del Sabato dei giovani sul matrimonio e il monitore stava descrivendo come in tutti i suoi anni di matrimonio lui e sua moglie non avessero mai avuto una discussione. Ma davvero? Stava cercando di essere un esempio per i giovani su appuntamenti e matrimonio, e si è rivelato un disastro fin dall’inizio, causando confusione e notevole disaccordo da parte dei giovani. Forse avrebbe dovuto condurre la lezione con sua moglie: almeno non ci sarebbero state discussioni!

Come sarebbe la vita senza discussioni? Sarebbe beata, pacifica, armoniosa? Ci ritroveremmo tutti con le stesse acconciature ed espressioni, come tanti soldatini che abitano un’utopica beatitudine standardizzata e priva di sfumature? Le discussioni hanno un ruolo nella nostra assimilazione e applicazione della verità? Ci saranno discussioni nel regno dei cieli o semplicemente scapperemo da Gesù ogni volta che ci sarà un dialogo che entra in conflitto con la nostra comprensione o opinione?

Naturalmente, in questo caso il diavolo si nasconde nei dettagli. Che cosa intendiamo esattamente per “discussione”? Anche se le discussioni possono essere accese, una discussione di per sé è fondamentalmente “l’atto o il processo di argomentare, ragionare o discutere”.

È la nostra risposta a una discussione che può diventare accesa!

Molti conoscono l’espressione “ambasciator non porta pena”; in altre parole, non prendetevela con il messaggero, ma valutate ed esaminate il messaggio. Spesso al giorno d’oggi è troppo comodo confondere il messaggio e il messaggero, perché crediamo che “crocifiggere” il messaggero screditerà il messaggio. Purtroppo, quando lo facciamo, non permettiamo di esaminare l’integrità del messaggio, il che è un problema se il messaggio è importante. Né incoraggiamo l’esame delle nostre posizioni che potrebbero richiedere una sorta di equilibrio o di correzione!

La nostra Chiesa non è estranea alle discussioni.

La cosa ci sorprende? È qualcosa che potremmo aspettarci o è un’indicazione di un problema più profondo? Come sarebbe la teologia senza le discussioni? Sarebbe possibile?

Il cristianesimo, come praticamente tutti i movimenti religiosi, è intriso di discussioni e disaccordi che risalgono a millenni fa. Mentre molti concludono che questo è un male, io vorrei suggerire che le discussioni sono il semenzaio del pensiero e senza di esse la vita risulterebbe inappagata e inaffidabile, semplicemente perché la libertà epistemica che Dio ci ha dato significa necessariamente che la nostra comprensione della realtà dipenderà dal nostro livello di conoscenza, maturità ed esperienza, il tutto influenzato dal mondo peccaminoso in cui viviamo. In altre parole, siamo destinati ad avere disaccordi e discussioni man mano che matura la nostra comprensione della verità e della realtà, soprattutto per quanto riguarda la teologia.

Non solo, ma una caratteristica fondamentale del governo di Dio è la libertà epistemica di pensiero e di espressione. Israele significa “lottare con Dio”! Il Dio della Bibbia ci invita a “lottare” con fiducia e rispetto con lui mentre, nella nostra immaturità, assimiliamo la verità rivelata nella nostra comprensione ed esperienza. Perché allora dovremmo sorprenderci se alcune delle nostre discussioni teologiche contengono disaccordi a volte anche aspri?

Prima di continuare la nostra valutazione del tema, potrebbe essere utile inquadrare l’argomentazione in un contesto relativo alla Chiesa. Uno degli scopi principali della Chiesa è quello di rivelare il carattere e il regno di Dio a tutta la creazione intelligente, sia a livello locale sia universale. Il risultato di questa rivelazione per noi è la salvezza per coloro che scelgono di seguire Dio. Questo ha senso perché la “Chiesa” potrebbe essere considerata una manifestazione a valle della “famiglia”, creata a immagine di Dio nell’Eden. Quindi, lo scopo della famiglia e della Chiesa (entrambe composte da individui) è quello di rivelare il carattere e il regno di Dio, inizialmente all’interno della nostra immediata cerchia di influenza, e infine all’universo intero.

“Lo scopo della vita cristiana è di portar frutto, cioè riprodurre il carattere di Cristo nel credente […]. Il cristiano è il rappresentante di Cristo nel mondo per la salvezza di altri suoi simili” (Ellen White, Parole di vita, p. 39).

Questa affermazione è in linea con Galati 5:22-23, che descrive il frutto dello Spirito, il cui risultato netto è prodotto dallo Spirito che guida la vita del credente nella dimostrazione di Cristo.

Non ci vuole molta immaginazione per capire che ogni aspetto della nostra vita comporta una sorta di rivelazione, o dimostrazione, di chi siamo e di cosa produce in noi una qualche reazione. Inoltre, guardando al di là della nostra vita e alla società in generale, possiamo vedere che la dimostrazione è parte integrante della nostra civiltà.

Denis Prager, nel suo commentario sull’Esodo, “The Rational Bible”, suggerisce che il peggior peccato per un rappresentante di Dio è commettere il male in nome di Dio. Infatti, commentando il terzo comandamento, fa notare che il verbo spesso tradotto con “prendere” (tisa), significa “portare”, il che renderebbe il comandamento: “Non portare il nome del Signore, Dio tuo, invano”. Egli identifica poi chi porta il nome di Dio invano come “qualsiasi persona che afferma di agire in nome di Dio mentre fa l’opposto di ciò che Dio vuole: il male […]”. Quando una persona commette il male, ciò si riflette negativamente su di essa. Ma quando una persona commette il male in nome di Dio, si riflette negativamente anche su Dio”.

Ma cosa c’entra tutto questo con le discussioni? Vorrei suggerire che il modo in cui discutiamo o abbiamo disaccordi ci offre l’opportunità di rappresentare o “portare” Dio a coloro con cui stiamo discutendo e a coloro che osservano le nostre discussioni.

Quindi, è possibile che il modo in cui discutiamo sia più importante della discussione stessa?

In che modo Gesù ha affrontato le discussioni tra i suoi discepoli? Mentre si discuteva di potere e posizione, Gesù spostò i paletti costruiti socialmente e culturalmente: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35).

Non si parla di tolleranza, diversità, uguaglianza, osservanza dei comandamenti, fede, teologia, posizione o potere. Anzi, sembra suggerire che la cartina di tornasole della nostra relazione con Dio, la prima tavola della legge, venga rivelata dall’applicazione della seconda tavola della legge, come ci relazioniamo con gli altri.

Più avanti nello stesso Vangelo, durante il Padre Nostro di Giovanni 17, Gesù colloca questa direttiva nel contesto dell’unità con il Padre; la stessa “unità” che egli ha condiviso con il Padre è il punto di riferimento per “l’unità” che dobbiamo avere gli uni con gli altri, “un’unità” che viene dimostrata dall’amore reciproco per gli altri, nonostante il disaccordo!

In effetti, l’unità all’interno di una camera d’eco di pensieri riflessi non sembra essere unità in senso biblico. Gesù non ha detto che il mondo saprà che siamo suoi discepoli grazie alle nostre identiche espressioni di pensiero, ma perché abbiamo amore gli uni per gli altri nonostante le nostre diverse espressioni di pensiero e di disaccordo, mentre individualmente e collettivamente “Israele” (che lotta con Dio) approfondisce la propria comprensione di chi è Dio e del modo migliore per esprimere e applicare tale rivelazione.

Sospetto che il dono del disaccordo rimarrà nella Chiesa fino al ritorno di Gesù. È probabilmente uno dei meccanismi migliori in questo mondo peccaminoso per mettere a punto la nostra dipendenza da Gesù quando ci relazioniamo con coloro con cui abbiamo un disaccordo, che sia questo percepito o meno. Cosa fare allora se riteniamo che il punto di conflitto sia importante?

In primo luogo, è di vitale importanza non chiudere la discussione. Annullare la discussione non sembra rispecchiare l’apertura e l’onestà che caratterizzano il Dio che ci invita a “Israele” (lottare) con lui. Se sentite che le vostre emozioni stanno cambiando, se sentite che vi state alterando, è meglio che ne prendiate atto e che vi congediate dalla discussione in modo da poter rivedere la situazione in un secondo momento. Un paio di domande da considerare potrebbero essere: il punto in conflitto è di vitale importanza per me o per Dio? Capisco davvero la posizione “contraria” percepita, o ho semplicemente costruito una rappresentazione errata facilmente deridibile?

La crescita dal conflitto è possibile solo quando consideriamo la possibilità di non avere un quadro completo.

Indipendentemente dalla crescita o dal risultato dei nostri migliori sforzi per comprendere le questioni teologiche che consideriamo di vitale importanza, ci saranno sempre delle differenze. Che cosa facciamo allora? Potrei suggerire rispettosamente di lasciar fare a Dio, che vede il quadro generale e forse ci sta chiamando a perseverare collettivamente nella pazienza. Ho la sensazione che egli sia in grado di separare il grano teologico dalla zizzania. Dopo tutto, lo stava facendo molto prima che io arrivassi sulla terra. Naturalmente, il mio problema più grande è quello di lasciar fare a Dio perché, proprio come pensava Abramo, credo che Dio abbia bisogno di una mano.

Quindi, invece di non avere discussioni, il che potrebbe riflettere una sorta di cultura autoritaria in cui il disaccordo è visto come una sfida dissenziente all’autorità o al potere, accogliamo le discussioni nascenti come un dono datoci dal cielo; un’opportunità per comprendere meglio la verità come percepita dagli altri, “portando” una dimostrazione del carattere e del governo di Dio sulla terra e non solo.

 

 

Di Randall Ibbott, consulente informatico freelance di Central Coast, Australia.

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2023/04/14/disagreement-gods-gift-to-his-church/

Traduzione: Tiziana Calà

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