La gentilezza: un atto sociale

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Una delle piccole gioie della mia infanzia era andare a trovare mia nonna materna nella casa sulla collina.

 

Viveva in una delle zone più pittoresche della Romania, Maramureș, su una collina che dominava i monti Maramureș, dove la nebbia baciava il suolo nei giorni d’estate e il bianco infinito faceva fermare il tempo in inverno.

Ogni volta che salivo sulle colline per raggiungere mia nonna, mi sembrava di andare in un luogo dove la bontà non conosce limiti. La sensazione di pura bontà era costituita dalle arachidi arrostite che mi aspettavano sulla stufa, dalla mia torta preferita, dai capelli accarezzati mentre mi addormentavo o dalle mani ruvide che impastavano senza sosta. Lo era, perché non lo è più, ma lo è proprio perché lo era…

Per me, mia nonna e la bontà erano e sono sinonimi. Guardando indietro, capisco che i luoghi fanno nascere le storie, ma più che i luoghi, le storie nascono dalle persone che si donano a Dio e agli altri. Non si impoveriscono, perché il pane spezzato in loro siamo noi, che ci nutriamo di ciò che ci hanno messo dentro e portiamo avanti la storia…

 

Qual è il contesto che rende la bontà un atto sociale?

“Non è bene che l’uomo sia solo” è una delle prime osservazioni contenute nelle pagine della Bibbia (Genesi 2:18). Nasciamo con il desiderio di stare insieme a nostra madre, cresciamo con il desiderio di stare con i nostri amici, abbiamo la nostra famiglia e vogliamo che sia il nostro piccolo paradiso, in modo che nella vecchiaia possiamo ancora stare con la nostra piccola tribù.

Gli esseri umani sono stati creati per diventare esseri sociali, ma l’individualismo e la frammentazione della vita quotidiana hanno sempre più minato questo desiderio. Pensiamo di stare meglio da soli, ma la Bibbia dice: “due valgono più di uno solo” (Ecclesiaste 4:9); è più facile per noi stare per conto nostro, ma nella Bibbia troviamo scritto: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20:35). Quali sono allora le fonti del nostro essere che possono ristabilire i legami invisibili tra noi e gli altri?

Ritornare al tempo in cui abbiamo imparato a diventare esseri sociali (cioè quando abbiamo comunicato con gli altri e ci siamo donati per scopi altruistici, non solo per amore dell’espressività e della creazione di una personalità, ma perché sapevamo che era la cosa giusta da fare) è il contesto in cui possiamo capire che la gentilezza è per definizione un atto sociale. Sappiamo di essere buoni solo quando facciamo del bene ai nostri simili, quando cerchiamo la loro presenza e quando soddisfiamo i loro bisogni. E il più delle volte non lo sappiamo, come una nonna che saluta i suoi nipoti con delle noccioline arrostite sul fuoco. Non pensa a se stessa come buona; diventa buona in relazione ai suoi nipoti. Le noccioline e la stufa, persino la nonna, sarebbero solo strumenti passivi senza l’atto sociale chiamato gentilezza.

 

Come impariamo a essere buoni e quando lo diventiamo?

Lo sviluppo delle abilità sociali inizia nei primi anni di vita. Lo sviluppo armonioso di un bambino tiene conto delle sue competenze sociali, emotive e cognitive, che costituiscono la base del successivo impegno sociale degli adulti. Il processo inizia nell’infanzia e prosegue nell’adolescenza, durante la quale si sviluppano strumenti comunicativi e relazionali con l’obiettivo di stabilire positive relazioni sociali che siano fonte di soddisfazione e appagamento.

Sebbene la letteratura consideri ancora l’intelligenza sociale come un concetto integrativo difficile da definire, esiste una dinamica nella vita del bambino che predice le scelte morali ed etiche successive. L’impegno sociale, la gioia di dare e la ricerca di un equilibrio tra la vita per sé e quella per gli altri non sono incidenti o miracoli. Mettono alla prova il nostro essere e ci danno la capacità di vedere la vita con occhi nuovi. Sono le grandi rivelazioni che hanno le persone buone.

Sappiamo quindi che l’impegno sociale dei bambini richiede una duplice prospettiva. Una è l’auto-orientamento. Principi come: “ama il tuo prossimo come te stesso” (Matteo 19:19) o: “tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro” (Matteo 7:12) non possono avere senso se un bambino non sa come costruirsi come persona. L’amore per se stessi è troppo spesso associato all’egoismo, mentre in realtà può significare una profonda conoscenza di sé, può implicare un controllo delle emozioni e del comportamento, una conoscenza delle proprie passioni e del funzionamento del mondo attraverso un processo di introspezione e autoriflessione. Quando i bambini imparano a essere riflessivi, il loro rapporto con il mondo esterno sarà ben calibrato.

L’altra direzione è quella del rapporto con gli altri, come risultato delle loro convinzioni su se stessi e sul mondo. Non possiamo chiedere ai bambini di dimostrare abilità relazionali tutte insieme senza introdurli nel mondo dell’empatia, del parlare di gentilezza, di dare, del significato della vita. L’empatia porta alla simpatia.

Lo sviluppo armonioso dell’impegno sociale di un bambino richiede un approccio olistico che gli consenta di comprendere e apprezzare la gioia del dare. Imparando a dare, stabilendo dei limiti e praticando la partecipazione volontaria, possiamo aiutare i bambini a sviluppare un autentico coinvolgimento sociale e a contribuire al benessere degli altri e di se stessi. Questo processo richiede un ambiente di apprendimento favorevole e modelli di ruolo adeguati.

 

Cosa dovrebbero sapere i genitori sullo sviluppo sociale dei bambini?

 

  1. Il potere dell’esempio. Le abilità sociali si acquisiscono attraverso l’osservazione o l’imitazione del comportamento, la raccolta di informazioni, i cicli di tentativi ed errori, ecc. Fate quello che vorreste vedere fare ai vostri figli!
  2. Il ruolo dei contesti. Inserite i vostri figli in contesti in cui l’impegno sociale è valorizzato: i loro coetanei lo sottolineeranno o, al contrario, alimenteranno il loro disinteresse.
  3. Il gioco e la capacità di relazione. Il gioco si basa su un contratto sociale: giocare bene, seguire le regole e reagire in modo appropriato al risultato per essere accettati dagli altri e avere amici. È anche il gioco della vita quando si tratta di relazioni.
  4. I confini del dare. La gioia di dare deriva dal mantenere un equilibrio tra i propri bisogni e quelli degli altri. Mantenere la propria dignità e accettare che non possiamo sfamare tutte le persone bisognose che incontriamo in un determinato giorno aiuterà i bambini a capire che ogni giorno ha uno scopo. Oggi dò da mangiare a una persona, domani pianto un albero. Dare significa costruire splendidamente il proprio io, non seppellirlo nel senso di colpa dell’avere. Devo avere qualcosa per poter benedire. Sono benedetto perché io possa avere qualcosa da dare.
  5. Il tatto sociale. Nei vari contesti della vita, i bambini devono capire cosa significa essere un buon cittadino del mondo: le differenze di razza, di genere, di classe o di stabilità finanziaria non ci pongono al di sopra degli altri. Coltivare il tatto sociale implica la capacità di comunicare in contesti diversi in modo da non danneggiare le persone o minare la loro dignità.
  6. La risoluzione dei problemi. Le controversie tra fratelli, compagni di scuola o amici possono essere l’occasione giusta per capire che i problemi sono opportunità per offrire comprensione ed empatia e per cercare di trovare il bene comune senza compromettere i principi personali.
  7. Il carattere. Lo scopo di un atto caritatevole o il modo in cui si reagisce a un evento sociale mostrano il carattere della persona, che è la somma dei suoi valori.
  8. L’equilibrio mentale ed emotivo. Lavorando per il bene degli altri, i bambini si calibrano in relazione agli altri, sentendosi soddisfatti e appagati. Inoltre, l’esempio del nostro Creatore è una chiara illustrazione delle leggi dell’universo: “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16).
  9. Le relazioni con gli altri. Un bambino felice avrà o sarà sempre un amico intimo. Le prime amicizie ci mettono in relazione con il mondo circostante, mostrandoci che esistono connessioni invisibili tra di noi.
  10. Il senso della vita. Fin da piccoli i bambini si pongono domande come: “Chi sono? Da dove vengo? Dove sto andando?”. Il pensiero dell’eternità è in noi (cfr. Ecclesiaste 3:11). Anche i più piccoli lo sanno. Spiegare a un bambino il proprio posto nel mondo e nell’universo di Dio implica una responsabilità sociale, il desiderio di augurare agli altri il meglio e di crescere con grazia per il mondo a venire, un mondo in cui la divinità è una Trinità, un’unità sociale costruita sull’amore e sul dono reciproco.

 

Le abilità sociali si riferiscono a un ampio gruppo di capacità che ci permettono di interagire e comunicare con gli altri. Gli elementi cognitivi, l’ambiente e il comportamento degli altri aiutano i bambini a sviluppare un senso del mondo. Essi daranno al mondo ciò che hanno imparato, visto e sentito. Una visione armoniosa del mondo porterà a risultati positivi nello sviluppo, tra cui l’accettazione dei coetanei, i risultati scolastici e la salute mentale.

Le abilità sociali, o la loro mancanza, possono avere un ruolo nell’insorgere di problemi internalizzanti ed esternalizzanti, emergendo come fattori protettivi e di rischio. L’assenza o l’uso inappropriato di queste abilità può portare alla formazione di false visioni della realtà. Un posto migliore per i nostri figli inizia con il contributo che ci vedono dare, è la realtà che ci vedono costruire.

 

Di Crina Poenariu, moglie e madre di due figli, dottoressa in filologia e dottoranda in scienze dell’educazione, nonché operatrice di Hope TV Romania e Voice of Hope Radio Station Romania. Insieme al marito, negli ultimi cinque anni ha coordinato il progetto educativo della Transylvania International School e, più recentemente, una scuola a distanza negli Stati Uniti.

Fonte: https://st.network/analysis/top/kindness-a-social-act.html

Traduzione: Tiziana Calà

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