Quando l’ubbidienza corrisponde alla libertà

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L’impegno all’ubbidienza non è restrittivo

 

Nel timore del legalismo, molti di noi sono arrivati a definire erroneamente l’ubbidienza, come se l’ubbidienza, di per sé, costituisse un legalismo (quando invece non è così). Senza la necessità dell’ubbidienza in una vita di fede, la croce perde il suo valore. Pensateci: se l’ubbidienza non fosse richiesta per la vita eterna, allora Cristo non avrebbe avuto bisogno di morire al posto nostro per soddisfare i requisiti della legge. Non è l’ubbidienza il problema del legalismo. Il problema è pensare di poter ubbidire pienamente alla santa legge di Dio con le nostre forze.

Ma non è su questo che vorrei concentrarmi nei prossimi paragrafi. Tolta di mezzo la retorica anti-ubbidienza, emerge un’altra e, direi, più sottile errata caratterizzazione, in cui definiamo in modo troppo restrittivo l’ubbidienza.

Quando si tratta delle nostre azioni, c’è un bianco e un nero, un giusto e uno sbagliato, per così dire? Beh, sì, certo! Ma questo significa che c’è sempre una sola opzione per ciò che dovremmo fare in ogni situazione? No, affatto. Come sono arrivato a questa conclusione? Lasciatemelo spiegare con la mia parte preferita della Scrittura: Genesi 3.

Dio aveva posto Adamo ed Eva nell’incontaminato giardino dell’Eden con una sola indicazione: non dovevano mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Fu questa singolare restrizione che il nemico amplificò nella sua tentazione di Eva. “Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?” (Genesi 3:1) disse, ingrandendo la clausola come se fosse superiore a ciò che Dio aveva permesso.

In realtà, il comandamento di Dio era formulato prima di tutto in positivo, evidenziando tutto ciò che l’umanità poteva fare pur restando nell’ubbidienza. Aveva detto: “Mangia pure da ogni albero del giardino” (Genesi 2:16). Per la semplice proporzione tra i frutti permessi e quelli proibiti, l’opportunità di ubbidire superava di gran lunga la tentazione di peccare. Per quanto riguarda il frutto proibito, c’era solo una scelta giusta: non mangiarlo. Ma quando si trattava di scegliere cosa mangiare, il giardino era pieno di più possibilità di quante Eva potesse esaurirne in un solo giorno!

È troppo riduttivo definire l’ubbidienza in base a ciò che dobbiamo evitare di fare. Finché vivremo la nostra vita al limite di ciò che Dio ha proibito, troveremo i suoi comandamenti troppo restrittivi. Ma se decidiamo, per sua grazia, di non disubbidire, se stiamo lontani dall’albero proibito, allora la nostra mente si apre alla pletora di possibilità che abbiamo davanti. In altre parole, l’impegno all’ubbidienza non è restrittivo. Al contrario, è produttivo della massima libertà possibile. Una libertà libera dal senso di colpa, dal dolore e dalla paura e ricca di possibilità. Ecco com’è possibile essere “il più rigoroso osservatore della legge [di Dio]”, come dice Ellen White di Gesù, e tuttavia muoversi “in perfetta libertà”.

 

 

Di Sikhululekile Daco, redattore associato di Adventist Review

Fonte: https://adventistreview.org/magazine-article/when-obedience-is-freedom/

Traduzione: Tiziana Calà

Dalla schiavitù alla libertà
Parole che cambiano la vita

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