Quando diventare missionario non è la tua scelta
Ero arrabbiata con Dio. Pensavo che stesse cercando di rovinare la mia vita. I miei genitori mi avevano appena detto che sentivano che Dio li stava chiamando a essere missionari, ma io non volevo essere una missionaria. Avevo già pianificato la mia vita, e non prevedeva di andare a servire in mezzo al nulla con i miei genitori!
Pensavo anche che fosse impossibile trasferirsi all’estero, perché la salute di mia madre era molto cagionevole; da un paio d’anni era su una sedia a rotelle a causa della sindrome da stanchezza cronica. I miei genitori decisero di mettere la salute di mia madre alla prova della loro vocazione e, durante un servizio di unzione, lei fu immediatamente guarita.
Non potevo negare la chiamata di Dio alla mia famiglia. Anche se mi sentivo ancora un po’ riluttante, li ho accompagnati per la formazione missionaria, trasferendomi dal Regno Unito agli Stati Uniti. Diventare una bambina missionaria sarebbe stato un punto cruciale nella mia vita, portando doni e benefici che non potevo ancora immaginare.
Una scelta imposta?
I figli dei missionari vengono lanciati in un’avventura che di solito non scelgono loro stessi. Appartengono a una categoria demografica chiamata “ragazzi di terza cultura” (RTC), ossia persone che crescono in più culture e si spostano di frequente, spesso a causa del lavoro dei genitori.
Essere un RTC missionario presenta sia sfide uniche da affrontare sia benedizioni da vivere, come possono testimoniare numerosi RTC oltre a me, tra cui Anna, che è stata in Germania, e Stephen, che è stato in Europa e negli Stati Uniti.
Una grande benedizione è che la vita missionaria spesso offre nuove esperienze e opportunità di crescita, sia personale sia spirituale.
Anna amava il suo ambiente multiculturale e ricorda in particolare la visita a una grande comunità di rifugiati africani. Era una delizia per lei gustare il cibo piccante mentre si sedeva per terra e mangiava con le mani. La sua famiglia fece anche diversi viaggi in Romania dopo la caduta di Ceausescu, per portare aiuti a ospedali e orfanotrofi. Questi viaggi hanno avuto un profondo impatto sulla giovane Anna, che dichiara: “Il mio cuore è stato aperto dalla compassione del Signore (il fatto che lui soffrisse con noi) e ho desiderato diventare la sua compassione in questo mondo distrutto”.
Anna considerava un vantaggio anche gli errori commessi come RTC. Tutti i suoi errori le hanno insegnato a fare affidamento sull’aiuto e sulla guida di Dio, aiutandola a essere disposta a liberarsi del proprio discernimento in cambio di quello di Dio (cfr. Proverbi 3:5).
Stephen ha anche apprezzato l’esposizione a culture e visioni del mondo diverse, imparando ad ascoltare con mente aperta e ad apprezzare la bellezza condivisa dell’esperienza umana. “Essere un RTC mi ha permesso di individuare un terreno comune con gli altri, indipendentemente da dove mi trovo nel mondo”, afferma.
Anch’io sono cresciuta come RTC. Sono sempre stata timida, ma la mia esperienza missionaria mi ha permesso di sbocciare. Vincere le paure, superare le barriere linguistiche e trovarmi a diventare un’insegnante di inglese mi ha aiutato a diventare sicura di me. La mia vita spirituale si è trasformata e arricchita vedendo il gran conflitto svolgersi in modi più chiari.
Sfide e difficoltà
Per quanto ci siano dei vantaggi nell’essere un bambino missionario, ci possono essere anche delle sfide dolorose.
Anna ha vissuto in 23 “case” nei suoi primi 23 anni di vita (compreso un camper). Questo continuo sradicamento l’ha lasciata desiderosa di un posto in cui sentirsi veramente a casa. Ha cercato di colmare questa mancanza in modi malsani, prima che Dio la aiutasse a capire la sua vera compassione per lei e prima che le mostrasse che aveva una casa nel suo cuore.
Crescendo, Stephen scoprì che a volte aveva difficoltà a prendere decisioni. Eccelleva nell’adattarsi ad ambienti in continuo cambiamento, rispondendo a situazioni di forte stress e a motivatori esterni. Ma il lavoro interiore di fare certe scelte per se stesso (dove vivere, per quanto tempo e cosa conta davvero al di fuori del lavoro) poteva sembrare paralizzante.
Le ricerche dimostrano che i bambini missionari sono particolarmente a rischio di esperienze infantili avverse (esperienze potenzialmente traumatiche all’interno della loro famiglia e dell’ambiente circostante) (1). Ci possono essere pericoli nel vivere in un paese ostile e difficoltà nell’adattarsi a una cultura diversa, ma ci sono anche altre sfide che i missionari sperimentano. Per esempio, uno studio ha rilevato che due ragazzi missionari su cinque si sentivano non amati o non importanti per i loro genitori. E avevano una probabilità quattro volte maggiore rispetto ai loro coetanei americani di subire abusi emotivi (2).
Esistono tuttavia dei modi per mitigare questi rischi. Quando i genitori, la comunità e l’organizzazione di provenienza del bambino sono consapevoli dei rischi e imparano a sostenere i RTC, possono fornire protezione ed esperienze positive che aiutano i RTC a costruirsi un futuro sano.
Le conseguenze della crescita di un RTC possono variare da positive a negative, ma a prescindere dagli alti e bassi, la grazia di Dio è sempre presente per il bambino missionario.
Una chiamata inclusiva
Dio mi ha rivelato che anche se aveva chiamato i miei genitori in missione, si è ricordato di me in quella chiamata. Sebbene abbia avuto la mia parte di dolore da elaborare, seguire Dio mi ha portato a vivere molte avventure nel sud-est asiatico, negli Stati Uniti, in Inghilterra e ora in Corea. Sono stata plasmata in meglio e mi sono stati dati molti doni, tra cui una crescente consapevolezza della gentilezza e della creatività di Dio nella mia vita.
Come io ho sperimentato la compassione di Dio, così è stato per Anna e Stephen.
Anna commenta: “Dio rimane fedele anche quando noi siamo infedeli”.
E Stephen si è reso conto che, a differenza delle relazioni spesso temporanee che ha sperimentato spostandosi come RTC, l’amicizia di Dio è costante. Infatti, sostiene: “Dio ha più grazia verso di noi di quanta ne potremmo mai comprendere. Quando ti sembra che non ci sia nulla per te, Dio si fa vivo. Quando non sai chi sei, Dio ti ricorda la tua identità. Quando respingi Dio con frustrazione, lui non te lo rinfaccia mai. Il modo in cui Dio si è continuamente fatto vivo per me, indipendentemente dalla posizione del mio cuore, non è altro che una grazia in abbondanza”.
Sebbene i RTC possano spesso scoprire che la loro avventura inizia in un modo che sfugge al loro controllo, la chiamata di Dio è anche per loro. Anche se si sentono a volte trascurati, fuori posto o soli, Dio non li dimentica. Si prende cura di loro con amore. Il suo cuore soffre per il loro dolore. Dio lavora con loro e attraverso di loro, proprio come fa con i loro genitori missionari. E la bontà e la misericordia di Dio accompagneranno i ragazzi missionari per tutti i giorni della loro vita (cfr. Salmo 23:6).
- Crossman, Caution and Hope for Missionary Kids, tratto da Caution and Hope for Missionary Kids.
- Crossman e L. McCall, Mitigating Risk Factors for Missionary Kids, tratto da Mitigating Risk Factors for Mission Kids.
Di Lynette Yoon, un’insegnante di inglese e scrittrice originaria del Regno Unito, ma cresciuta in tre nazioni diverse. Ha sposato un altro ragazzo di terza cultura e vive in Corea del Sud con il marito pastore, dove servono la loro comunità locale e di immigrati.
Fonte: https://adventistreview.org/experiences/missions/grace-for-missionary-kids/
Traduzione: Tiziana Calà