Qual è l’obiettivo della tua vita?

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Lezioni di vita dalla pancia di un pesce.

Qual è l’obiettivo della nostra vita su questa terra? L’eredità che riceveremo? Le nostre famiglie? Le nostre passioni e i nostri sogni? Mentre mi avvicino all’età adulta, mi chiedo chi o quale sia l’obiettivo della mia vita.

Proseguendo nel mio viaggio introspettivo, ho scoperto che vivendo per me stesso, mi trovo a dover sopportare da solo il peso di essere imperfetto. Vivendo per me stesso, sono troppo autoindulgente, finendo per comportarmi come un fariseo. Vivendo per me stesso, mi rendo conto che è impossibile lavorare per Dio se continuo costantemente a guardarmi allo specchio, invece di guardare in alto alla ricerca di un sostegno e di una guida.

Vivere per l’umanità ci porta a realizzare sogni e speranze che restano però vuote. Vivendo per il mondo, mi sento sprofondare nel conformismo, senza raggiungere il pieno potenziale che Dio vorrebbe per me. Vivere per il mondo va contro la missione che Cristo ha dato all’umanità, spianando la strada per raggiungerlo.

1 Pietro 2:9 dice: “Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”.

Quando si vive per se stessi, si rimane nelle tenebre, risucchiati nell’egoismo, persi, senza Cristo. Ma quando si vive per Dio, si entra nella luce di Dio, permettendogli di risplendere in noi e attraverso di noi.

L’Antico Testamento presenta un personaggio chiamato Giona, che rappresenta tante delle nostre paure individuali e altrettanti dubbi sull’essere chiamati da Dio e servire a uno scopo più grande.

Giona scappa dalla chiamata di Dio, fisicamente ed emotivamente, finendo in una tempesta che rischia quasi di porre fine alla sua vita e a quella di altri. Quando Giona capisce di essere scappato da Dio, finisce nella pancia di un grande pesce che, a sua insaputa, era stato mandato da Dio.

La lotta di Giona con Dio si basava su quello che Giona provava e sentiva; non voleva predicare, non voleva rinunciare alla sua vita. Quello che Giona non capiva, era che rifiutando Dio, stava rifiutando anche migliaia di cuori che non conoscevano Dio. Il capitolo 2 di Giona (versetti 6 e 8) racconta della lotta interiore che Giona ha dovuto affrontare vivendo per se stesso, nell’egoismo, prigioniero su questa terra. “Le acque mi hanno sommerso; l’abisso mi ha inghiottito; le alghe si sono attorcigliate alla mia testa. […] Quando la vita veniva meno in me”.

Il linguaggio metaforico di questo passaggio ha un grande significato anche ai giorni nostri, quando siamo persi nei problemi quotidiani della vita; i grandi problemi che rovinano le famiglie e le amicizie, le difficoltà della vita che ci gettano continuamente nello sconforto.

Nell’antica cultura dell’Oriente antico, le acque rappresentano il caos e la dimora dei nemici di Dio (grazie papà per questa intuizione).

Giona si era perso, combattendo una battaglia spirituale contro se stesso, nel tentativo di non compiere la volontà del Signore. I mari del caos lo circondavano, proprio come le tentazioni circondano noi ora. Mentre Giona annaspava nel mare del caos, i pesci inviati da Dio lo proteggevano, salvandolo dall’avversario e dalla morte. Gli elementi naturali, Satana e il cuore ostinato di Giona non potevano impedire a Dio di salvare suo figlio. Quando Giona scappò da Dio, è entrato nell’oscurità, impendendo ad altre persone di ricevere la buona notizia di Dio.

Essere chiamati a servire Dio vuol dire mettere da parte i propri desideri, in favore del regno dei cieli. Perché quando lavori per Cristo, non solo porti altre persone a Lui, ma contribuisci alla missione di Dio.

QUELLO CHE GIONA NON CAPIVA, ERA CHE RIFIUTANDO DIO, STAVA RIFIUTANDO ANCHE MIGLIAIA DI CUORI CHE NON CONOSCEVANO DIO.

Giona 2:7 dice: “Sono sprofondato fino alle radici dei monti; la terra ha chiuso le sue sbarre su di me per sempre; ma tu mi hai fatto risalire dalla fossa, o Signore, mio Dio!”.

Nel momento peggiore della vita di Giona, quando la terra lo tratteneva con forza, è stato Dio a tirarlo fuori dalle tenebre portandolo alla luce. Dio ha l’abitudine di risplendere quando meno ce lo aspettiamo, garantendoci un cambiamento anche quando pensiamo di essere in una strada senza uscita.

Il capitolo 2 (versetti 3 e 10) mostra la fedeltà di Dio e la liberazione di Giona: “Io ho gridato al Signore, dal fondo della mia angoscia, ed egli mi ha risposto; dalla profondità del soggiorno dei morti ho gridato e tu hai udito la mia voce. […] La salvezza viene dal Signore”.

In un mare di depressione, dubbi e preoccupazioni, Dio ha salvato Giona, senza mai lasciarlo. Dall’inizio alla fine, Dio è stato con Giona, come è e sarà con noi, sempre. La fedeltà di Dio nei confronti di Giona è una testimonianza che ci dimostra che Dio non mancherà di liberarci.

Se Dio non fallisce mai, perché abbiamo così tanta paura ad affidarci a Lui? Perché siamo così esitanti a sacrificarci per Dio?

Dio aveva chiamato Giona a sé ma in questa chiamata, Giona ha trovato l’obiettivo stesso della sua vita. Come afferma 1 Pietro 2:9, noi siamo la stirpe eletta del Signore. Giona era il profeta scelto da Dio per proclamare la Parola, come ognuno di noi è scelto per ascoltare la chiamata che Dio ci fa personalmente e per vivere una vita per Lui.

Che cosa ha dovuto sacrificare Giona per vivere una vita per Cristo? Rinunciare a ciò che si ama, al proprio obiettivo di vita, al proprio status o a un reddito maggiore: ecco la lotta che ci troviamo ad affrontare al giorno d’oggi. Quando scappiamo da Dio, rifiutando di rispondere alla sua chiamata, affermiamo di non essere disposti a rinunciare a quello che il mondo ci offre. Fare questo sacrificio ci viene difficile, eppure Dio si è così velocemente sacrificato per noi. Quanto è stato facile per Dio rinunciare al suo unico Figlio per un mondo imperfetto che non lo voleva nemmeno? Io non sono un genitore, non riesco pienamente a capire questo concetto (e perfino un genitore umano non può capirlo appieno). Quello che so è che l’amore sacrificale di Dio ci ha liberato dal peccato, donandoci la vita eterna.

Vivere per Dio non solo cambierà il modo in cui riuscirete a influenzare gli altri, ma anche il modo in cui amerete. Romani 5:8 dice che nonostante l’umanità abbia peccato, Gesù ha dato la sua vita per noi; si è umiliato, ubbidiente fino alla morte, sacrificando la sua vita per i nostri peccati. Quando viviamo per noi stessi, per gli altri o per una passione che abbiamo, dimentichiamo le benedizioni che abbiamo ricevuto dalla grazia di Dio e il suo amore per noi.

Quando penso alla vita con Dio, riconosco che questa sarà molto più dolce, perché con lui non sarò mai solo. Capisco che con lui la mia vita non sarà superficiale, ma ricca di benedizioni celesti.

So che mi unisco a un regno dove la missione supera di gran lunga qualsiasi altra storia di supereroi, perché la salvezza è il lieto fine. Quando Dio ti chiamerà, quale sarà la tua risposta? Sceglierai di vivere per te stesso, ti accontenterai di condurre una vita normale? O vivrai per Dio, servendolo e lavorando per una missione più grande?

 

Di Charé De Waal, studente di 12 anni, vice rappresentante della Avondale School, nel Nuovo Galles del Sud.

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2019/10/03/who-are-you-living-for/
Traduzione: Tiziana Calà

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