Perfetti e pronti per Gesù

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Provare (o meno) a essere “perfetti”

Alla fine dell’adolescenza ho cercato di convincere altre persone della possibilità, e del bisogno, di vivere una vita perfetta e senza peccato. Poiché Gesù ci chiama a essere perfetti, come è perfetto il nostro Padre celeste (Matteo 5:48), il dover aspirare alla perfezione mi sembrava cosa ovvia. La Scrittura descrive la santità come un prerequisito per vedere il Signore (Ebrei 12:14). L’indisponibilità della chiesa a lottare per la perfezione senza peccato, quindi, sembrava ritardare e ostacolare la realizzazione del ritorno di Gesù.

Alla domanda se io stesso fossi perfetto, rispondevo che le mie debolezze e imperfezioni non costituivano un ostacolo contro la possibilità e la necessità di raggiungere la perfezione. Tuttavia, conoscevo poco dell’inutilità di quella discussione. Inoltre, non riuscivo a cogliere la gravità del peccato e la profondità della perfezione. Come me, molte persone hanno vissuto, e ancora vivono, delle lotte per trovare il giusto equilibrio tra la legge e il Vangelo.

Tali lotte hanno segnato la storia della nostra chiesa, a partire dal 1840 fino a oggi. Andare oltre gli estremi del perfezionismo e della grazia senza legge non è un compito facile, ma le riflessioni sul vivere con Gesù si riveleranno in fin dei conti certamente fruttuose.

 

La perfezione come amore disinteressato
Senza riflettere più nel dettaglio sulla profondità sia del peccato sia della perfezione, tendiamo spesso a considerare il peccato semplicemente come un insieme di azioni sbagliate e la perfezione come un insieme di azioni giuste. Superare il peccato e raggiungere la perfezione sembra quindi essere una semplice meta. Ma tale ragionamento non riesce a cogliere la profondità e la vera natura del peccato e della perfezione.

Quando ero più giovane, la parola “perfetto” in Matteo 5:48 sembrava indicare “l’assenza di peccato”. Mi ci sono voluti anni per comprendere il contesto dell’affermazione di Gesù. La sua chiamata a essere “perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”, conclude il discorso dell’amore nei confronti dei propri nemici, un concetto che viene presentato in più occasioni (versetti 43-48). Luca riporta questa chiamata come segue: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Luca 6:36). Gesù definisce quindi la perfezione come amore disinteressato, incentrato sull’altro.

Purtroppo, ci concentriamo troppo spesso sul lato proibitivo dei Dieci Comandamenti. Ci manca un senso adeguato della portata dell’amore divino, delle sue implicazioni per la cura e il benessere della nostra umanità (genitori, coniuge, figli, impiegati, estranei, ecc.), degli animali e, in effetti, di tutta la flora e la fauna che ci circonda e che Dio, nell’amore, ci ha dato fin dall’inizio per il nostro bene. Osservare correttamente i comandamenti di Dio ci coinvolge in modo ampio e profondo, attraverso la nostra vita, il tempo, l’onore, le relazioni familiari, la proprietà, la reputazione e la salute mentale (vedere Esodo 20:2-17; Deuteronomio 5:6-21). Dio ci libera, affinché possiamo essere strumenti della Sua grazia redentrice per gli altri.

L’apostolo Giovanni definisce il peccato come la violazione della legge (1 Giovanni 3:4), e io consideravo questa affermazione pensando al peccato coma a una semplice azione. Ancora una volta, mi ci sono voluti anni per comprendere il contesto di quella frase: l’intera lettera parla di amore disinteressato, in contrapposizione con l’odio per gli altri. Il vero amore non è egocentrico. Dio è amore (1 Giovanni 4:8) e, come figli di Dio, anche noi siamo chiamati ad amare.

Questa visione mi ha portato a una conclusione scioccante. Il rispetto della legge di Dio e lo sforzo di vincere il peccato diventa esso stesso peccaminoso, se mi occupo principalmente delle mie azioni giuste e sbagliate. Osservare in maniera egocentrica i comandamenti, guidati da motivi egoistici e dal mancato interesse per l’altrui benessere, è un’impresa peccaminosa che travisa il carattere di Dio.

 

La sicurezza in Cristo
Un cristianesimo orientato al comportamento suggerisce che la lotta contro il peccato è la battaglia primaria di un cristiano. Ellen White ha osservato, tuttavia, che “la più grande battaglia” che dobbiamo combattere è quella di consegnare la nostra volontà a Dio (1). In effetti, non possiamo nemmeno dare a Lui la nostra volontà e il nostro cuore. Possiamo solo chiedere a Dio di prendere il nostro cuore e di lavorare in noi (2). Quando accettiamo Cristo e accettiamo che lo Spirito Santo operi in noi, Egli genera nuova vita nei nostri cuori (Romani 6:4, 11-14; 8:9-11; Galati 2:20-21; Efesini 2:5-6; Colossesi 1:27; 3:1-10).

Questa continua “nuova vita nell’anima” dimostra che l’esperienza cristiana supera la mera fede intellettuale in Gesù e il semplice consenso cognitivo alle credenze della Chiesa. Una pretesa di grazia divina, senza anelito per l’opera trasformativa dello Spirito Santo nella propria mente e nella propria vita, ignora la chiamata di Cristo al pentimento (metanoia = cambio d’animo), presente in Matteo 4:17. L’etica della nuova vita dei discepoli di Gesù, descritta in Matteo 5-7, deriva da un cambiamento di mentalità, qualcosa che solo lo Spirito Santo può produrre.

Un’altra parte molto importante della nostra esperienza cristiana è la garanzia della salvezza. Eppure, proprio in questo punto fondamentale di partenza, la nostra comprensione spirituale è a volte incomprensibilmente debole. Non riusciamo a capire il fondamento stesso della nostra sicurezza. Puntare alla perfezione e superare i peccati non potranno mai essere una base sicura per la nostra sicurezza di essere salvati, perché “avvicinandoci al Cristo avvertiamo sempre più la nostra colpevolezza” (3). Realizzeremo di più la nostra impotenza e il bisogno che abbiamo di Lui.

La vera sicurezza, quindi, non può venire dalla fiducia nella crescita del nostro carattere. La giustificazione per i meriti di Cristo è l’unica base essenziale e oggettiva per noi, qualcosa che accettiamo attraverso la fede (Efesini 2:4-10; Romani. 3:23-24; 4:16; 5:1; 6:23; 8:1; 2 Corinzi 5:14-21; Galati 2:16-21; Giovanni 1:29; 1 Giovanni 2:2:2; 1 Timoteo 4:10; Tito 2:11). Quando ci pentiamo dei nostri peccati e li confessiamo a Gesù, possiamo fare completo affidamento a Lui e alla Sua Parola, confidando che ci ha perdonato e che ci sta cambiando (1 Giovanni 1:9).

 

Guarda e vivi
Nella sessione della Conferenza Generale del 1883 Ellen White attaccò il legalismo avventista e coloro che “parlavano di paure e dubbi” in merito alla loro salvezza. A tal proposito, ha infatti affermato: “Fratelli, avete espresso molti dubbi; ma avete seguito la vostra Guida? Dovrete fare a meno di Lui prima che possiate perdere la vostra strada, perché il Signore vi ha coperto da ogni parte (4)”. Facendo riferimento al dialogo di Gesù con Nicodemo, che ricordava l’episodio del serpente nel deserto, ha sottolineato che “tutti coloro che volgevano lo sguardo a quel serpente, ovvero il mezzo che Dio aveva fornito loro, erano guariti; così nella nostra condizione di peccatori, quando ci troviamo nel bisogno, dobbiamo ‘guardare e vivere’”. E ha proseguito, riassumendo: “Non guardare te stesso, ma volgi il tuo sguardo all’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (5)”.

Osservare il proliferare del peccato intorno a noi e rendersi conto della nostra stessa insufficienza ci avvicinerà a Gesù. La vita di coloro che si aggrappano a Gesù e confidano nel suo potere di lavorare in loro sarà caratterizzata da una crescente perfezione nell’amore centrato sugli altri. Cercare di determinare quanto siamo migliorati nell’ambito della perfezione è uno sforzo destinato all’inutilità.

In primo luogo, non avremo mai una prospettiva obiettiva di noi stessi prima del ritorno di Cristo. Cercare di concentrarci su noi stessi produrrà solo disperazione spirituale ed emotiva. In secondo luogo, solo Dio può generare in noi la vera perfezione, riempiendo i nostri cuori con il suo amore, per mezzo dello Spirito Santo (Romani 5:5). Concentrandoci su Gesù, distogliamo lo sguardo da noi stessi, permettendogli così di lavorare in e attraverso di noi.

 

Pronti per Gesù
La Bibbia collega la fine del piano della salvezza di Dio ad almeno due eventi: l’annuncio del Vangelo in tutto il mondo (Matteo 24:14), e la necessità di un giudizio sugli empi (Atti 17:31). Ellen White considerava l’annunciare il Vangelo in tutto il mondo e la proliferazione del male come due eventi paralleli. Ha detto che Cristo verrà “quando il popolo di Cristo rifletterà perfettamente il suo carattere” (6). Questa frase conclude un capitolo (7) che ritrae Cristo come colui che aiuta i bisognosi e condivide il messaggio con tutti, attività che Ellen White considerava come delle vere e proprie manifestazioni dell’amore disinteressato di Cristo. Quindi prendere solo questa frase, che spesso viene citata in riferimento a una vita senza peccato, non rende giustizia alla complessità del contesto che c’è dietro.

La storia della redenzione ha un solo eroe: Gesù. Essere perfetti in Lui significa che lo Spirito produce il suo frutto in noi, rivelando attraverso di noi l’amore per il benessere e la salvezza degli altri, lo strumento più potente dell’evangelizzazione. Questo amore attira le persone a Gesù, velocizzando l’impresa di annunciare il Vangelo in tutto il mondo. Quando Gesù ci trova ad aspettarlo in maniera attiva, vuol dire che siamo pronti per il suo ritorno.

 

(1) Ellen G. White, “Con Gesù sul monte delle beatitudini”, p. 161; Ellen G. White, “Fundamentals of Christian Education” (Nashville: Southern Pub. Assn, 1923), p. 216.
(2) Ellen G. White, “Parole di vita”, p. 104.
(3) Ellen G. White, “La via migliore”, p. 64.
(4) Ellen G. White, “The Christian’s Refuge”, Review and Herald, 15 aprile 1884.
(5) Ellen G. White, “Effectual Prayer”, Review and Herald, 22 aprile 1884.
(6) Ellen G. White, “Parole di vita”, p. 40.
(7) Ibid., pp. 36-40.

 

Di Denis Kaiser, insegnante di storia della chiesa presso la Facoltà Avventista della Andrew University
Fonte: https://bit.ly/38FHKVk
Traduzione: Tiziana Calà

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