Perdonare un nazista

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Maggio 1944. Il treno si fermò alla stazione e le gemelle Eva e Miriam, con il padre, la madre e le sorelle Edit e Aliz, uscirono alla luce del sole. C’era la guerra in Europa e i nazisti avevano radunato loro e migliaia di altri ebrei della Romania, li avevano stipati in vagoni bestiame e li avevano portati in Polonia.

 

Eva ricorda che “la luce del giorno che splendeva su di noi [era] come una benedizione”. Fu solo una breve benedizione. Sua madre chiese al padre: “Auschwitz? È Auschwitz? Cos’è questo posto?”.

Ogni pensiero fu interrotto da “Schnell! Schnell!” quando le SS ordinarono ai prigionieri rimasti di uscire dai vagoni bestiame e di salire sul binario. Si scatenò un po’ di confusione quando le guardie portarono le persone da una parte o dall’altra. Gli uomini furono separati dalle donne, i bambini dai genitori. La gente piangeva, urlava, i cani da guardia ringhiavano e abbaiavano.

 

“Zwillinge! Zwillinge! Gemelle! Gemelle! In pochi secondi una guardia che stava passando di fretta si fermò di fronte a noi. Fissò Miriam e me con i nostri vestiti uguali”.

“Sono gemelle?”, chiese alla mamma.

Lei esitò. “È una cosa buona?”.

“Sì”, disse la guardia.

“Sono gemelle”, rispose la mamma.

Senza una parola, afferrò Miriam e me e ci strappò via dalla mamma.

“No! Mamma! Mamma! No!”

Nessuno poteva sentirci nel caos di quel binario della stazione, il “binario di separazione”.

“Presto ci saremmo trovate faccia a faccia con Josef Mengele, il medico nazista conosciuto come l’angelo della morte. Era lui che sul binario sceglieva chi doveva vivere e chi doveva morire. Ma noi non lo sapevamo ancora. Sapevamo solo di essere improvvisamente sole. Avevamo solo 10 anni.

“E non vedemmo mai più papà, mamma, Edit o Aliz”. Il tatuaggio A-7063 sull’avambraccio sinistro le sarebbe rimasto impresso per il resto della vita.

 

“Mi sono rifiutata di morire”

Le bambine si unirono alle circa 1.500 coppie di gemelli sottoposte a esperimenti medici ad Auschwitz sotto la guida di Mengele. Eva ha ricordato di essere stata separata dalla sorella e di essere stata sottoposta a un’iniezione di una sostanza sconosciuta che probabilmente le fece salire la temperatura.

I medici di Auschwitz la osservarono attentamente, come se stessero aspettando che accadesse qualcosa. Eva ricorda le parole di Mengele dopo che la febbre l’aveva colpita. “Ridendo sarcasticamente, disse: Peccato che sia così giovane. Le restano solo due settimane di vita”.

“Sapevo che aveva ragione. Ma mi rifiutavo di morire. Così feci una promessa silenziosa: avrei dimostrato che il dottor Mengele si sbagliava. Sopravviverò e ritroverò Miriam”. Lei sopravvisse, ma vennero utilizzate in una serie di esperimenti, tra cui l’essere messe nude in una stanza per sei-otto ore, tre volte alla settimana, cosa che davvero avvilente.

 

27 gennaio 1945

Entrambe le bambine sopravvissero fino alla liberazione da parte delle truppe russe. Eva le descrive così: “Avevano dei sorrisi ampi, da orecchio a orecchio”, dichiara. “E la cosa più importante per me era che non assomigliavano ai nazisti. Siamo corsi da loro. Ci hanno dato cioccolatini, biscotti e ci hanno abbracciato forte. E questo è stato il mio primo assaggio di libertà”. Era quattro giorni prima del loro 11° compleanno.

Quando il campo fu liberato, le due sorelle vennero affidate alle suore che diedero loro molti giocattoli. “Per me fu in qualche modo un insulto, perché non capivano che non ero più una bambina e non giocavo più con i giocattoli… Sono sicura che fecero del loro meglio, ma non capivano davvero, a 11 anni, a cosa eravamo sopravvissute. Non ho mai più giocato con i giocattoli. La mia infanzia è stata persa per sempre ad Auschwitz”.

Nessuno dei loro familiari sopravvisse. Le sorelle emigrarono in Israele nel 1950. Eva e suo marito, anch’egli sopravvissuto all’Olocausto, si trasferirono negli Stati Uniti negli anni ‘60.

 

1993

Eva fu invitata a tenere una conferenza davanti ad alcuni medici di Boston. “Mi chiesero se potessero invitare anche un medico nazista. Pensai che fosse una richiesta folle”. Qualche anno prima Eva aveva partecipato a un documentario su Auschwitz, in cui era presente anche il dottor Hans Munch, che era stato medico ad Auschwitz, ma non aveva partecipato agli esperimenti medici di Mengele. Quando lei lo contattò, lui accettò di registrare un’intervista video con lei a casa sua.

Quando si recò in Germania per l’intervista, aveva paura di incontrarlo. “Quando sono arrivata a casa sua, mi ha trattato con il massimo rispetto. Gli ho chiesto se avesse visto le camere a gas. Mi rispose che era un incubo con cui aveva a che fare ogni giorno della sua vita. Mi sorprese che anche i nazisti avessero degli incubi”.

Durante la visita, Eva gli chiese di accompagnarla ad Auschwitz per firmare un documento che confermasse ciò che era accaduto. Voleva che fosse un ex nazista a farlo, perché gli “storici” revisionisti stavano iniziando a negare l’orrore dei campi di sterminio. Lui accettò.

 

27 gennaio 1995

Insieme ad altre persone, Eva e il medico si riunirono ad Auschwitz in occasione del 50° anniversario della liberazione di coloro che erano ancora in vita, sopravvissuti ai campi di concentramento. Per mesi Eva aveva cercato un regalo di ringraziamento significativo per Munch, senza successo.

“Poi mi è venuta in mente l’idea di una lettera di perdono. Sapevo che sarebbe stato un regalo significativo, ma è diventato anche un regalo a me stessa, perché ho capito che non ero una vittima impotente e senza speranza”.

“Quando ho chiesto a un’amica di controllare la mia ortografia, mi ha sfidato a perdonare anche il dottor Mengele. All’inizio ero irremovibile: non avrei mai potuto perdonare il dottor Mengele, ma poi ho capito che ora avevo il potere, il potere di perdonare. Era mio diritto usarlo. Nessuno poteva togliermelo”.

Ad Auschwitz, come parte della commemorazione, Eva e i suoi due figli, il dottor Munch, sua moglie, i suoi figli e un nipote si sono incontrati presso le rovine delle camere a gas. Eva ha raccontato: “Il dottor Munch ha firmato il documento sul funzionamento delle camere a gas, ha letto la mia lettera di perdono e l’ha firmata. Quando l’ho scritta, ho sentito che un fardello di dolore mi veniva tolto. Non ero più in preda all’odio, ero finalmente libera”.

“Il giorno in cui ho perdonato i nazisti, in privato ho perdonato anche i miei genitori che avevo odiato per tutta la vita per non avermi salvato da Auschwitz. I bambini si aspettano che i genitori li proteggano; i miei non ci sono riusciti. E poi ho perdonato me stessa per aver odiato così tanto e così a lungo i miei genitori”.

“Il perdono in realtà non è altro che un atto di autoguarigione e di auto-rafforzamento. Io lo chiamo una medicina miracolosa. È gratuita, funziona e non ha effetti collaterali”.

 

4 luglio 2019

Eva è morta per cause naturali a pochi chilometri da Auschwitz, dove stava conducendo un viaggio educativo estivo attraverso il campo di concentramento. Aveva 85 anni.

 

 

Di Bruce Manners, redattore in pensione di Signs of the Times Australia; ha ricoperto questo ruolo dal 1989 al 2003. Vive a Melbourne, in Australia.

Fonte: https://st.network/analysis/top/forgiving-a-nazi.html

Traduzione: Tiziana Calà

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