La fine di qualcosa è meglio del suo inizio?

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La domanda: “La fine di qualcosa è meglio del suo inizio?”, dà una diversa sfumatura all’affermazione di Salomone, che nella Bibbia è considerato l’uomo più saggio che sia mai vissuto.

 

Quando ho letto per la prima volta la sua affermazione, mi sono chiesto perché Salomone avrebbe fatto questa affermazione. Probabilmente non avevo sperimentato abbastanza finali o inizi a quel punto della mia vita.

Prima di dirvi perché ho trasformato l’affermazione di Salomone in una domanda, vorrei aggiungere qualcosa. Sono affascinato dalle cose finite/compiute. Ogni volta che guardo la TV, parlo al telefono o prendo un aereo, sono affascinato dal fatto che queste cose funzionano e svolgono funzioni che sembrano più simili alla stregoneria: 3,6 miliardi di persone possono guardare le stesse immagini nello stesso momento, o due persone che si trovano in diverse parti del mondo possono parlare tra loro come se fossero nello stesso posto.

O semplicemente l’idea di volare. E, sì, da questo punto di vista, sembra che la fine di queste cose sia una buona cosa. Ma ciò che mi affascina ancor più del prodotto finito è il processo con cui è giunto fino a noi. Sono affascinato dall’ingegneria dei sottosistemi che sono presenti in queste cose, ma più di tutto, sono affascinato dai loro inizi.

Pensate al fatto che, a un certo punto della storia, quando il mondo non poteva immaginare tutte le prestazioni dei dispositivi che ho appena descritto, ci sono state alcune persone che hanno pensato che quelle funzioni potevano essere eseguite. Ecco perché ho trasformato l’affermazione di Salomone in una domanda. Per quanto buona possa essere la fine di una cosa, almeno per alcuni, non è così affascinante come il suo inizio.

Se penso alla fine di qualcosa nel contesto in cui vivo, mi rendo conto che le cose hanno una fine solo apparente. In realtà viviamo in un mondo di versioni. Così, il telefono che possiedo è solo la sua versione del 2019 e negli ultimi due anni sono uscite almeno due nuove versioni. Posso dire che la fine del mio modello di telefono è stata una cosa buona? Avrei potuto dirlo nel 2019. Nel 2020 avrei potuto dire che il mio telefono è accettabile, mentre nel 2021 ho scoperto di avere un telefono con prestazioni sempre più insoddisfacenti, rispetto alla velocità con cui la tecnologia evolve nell’ecosistema telefonico.

I team di sviluppo dei prodotti non vedono mai la fine di una cosa, vedono solo la fine di una versione che è valida per un breve periodo di tempo. Questa fine apparente è solo la fine di una tappa verso qualcosa di ancora migliore. L’evoluzione delle cose non ha fine. Ciò che è certo è un nuovo inizio.

Da questo punto di vista, mi piacciono gli inizi e li considero molto più vantaggiosi della fine. Credo che questo mio fascino di iniziare qualcosa di nuovo il più spesso possibile mi abbia fatto diventare quello che sono oggi.

Perché mi piacciono così tanto gli inizi? Può essere dovuto alla loro incertezza, che porta alla curiosità. Quando si lavora abbastanza su qualcosa, la sua fine diventa prevedibile e tutte le cose vanno in una certa direzione, tutto diventa chiaro e piatto. Questo tipo di operatività delle cose porta a uno stato stazionario, nel quale si comincia a fare le cose per abitudine, in automatico, senza recepire e percepire nessuna sfida. Gli inizi, invece, sono sempre pieni di suspense, pieni di prove, errori, fallimenti, ma anche di nuove soluzioni.

Gli inizi sono pieni di instabilità, eppure io ho sempre scelto gli inizi anche di fronte a finali buoni ma noiosi. Per me, gli elementi che rendono gli inizi migliori delle fini sono le sollecitazioni che portano informazioni. In altre parole, si può imparare molto di più da un inizio fallimentare che da una fine stabile. Per evolvere abbiamo bisogno di non-stabilità: quando abbiamo l’opportunità di iniziare qualcosa di nuovo, di farlo e basta!

Il primo giorno di un nuovo lavoro o il primo giorno di un nuovo progetto mi provoca sempre uno stress benefico, uno stress causato dal potenziale di successo. E proprio l’instabilità che mi provoca l’inizio mi fa iniziare ad accumulare più informazioni possibili sulle sfide che ho davanti.

Prendo queste informazioni dai libri, da coloro che hanno più esperienza o da inizi successivi, fino a quando arrivo a stabilizzare le idee iniziali. Quindi, come regola generale, ogni volta che mi viene chiesto di iniziare qualcosa di nuovo che non era precedentemente nel mio campo di azione, dico sempre “sì”. Gli inizi mi sfidano e mi danno sempre una nuova prospettiva sul mondo.

Un esempio è proprio questo articolo. Non scrivo questo tipo di articoli, ma non posso rifiutare una sfida. Per me, il fatto di far pubblicare questo articolo non è la parte interessante. Il suo inizio, le sue idee, lo stress di non sapere da dove e come cominciare, il processo di pensiero su cosa scrivere e le domande interne sulla struttura di un tale articolo hanno reso il suo inizio estremamente interessante. Tutto questo processo mi ha causato uno stress benefico, stress dal quale ho potuto estrarre informazioni che mi aiuteranno, in futuro, a strutturare altri testi di questo tipo.

Penso di attirare questi inizi; mi piace leggere articoli che non sono nel mio immediato campo professionale. Questi micro-inizi mi portano fuori dalla mia bolla e mi danno una prospettiva diversa sul mondo. Infatti, in un mondo che ha più inizi che fini, l’idea dell’apprendimento permanente è un’idea che può portare un individuo sempre più lontano in una professione. E l’apprendimento permanente non è altro che un inizio perpetuo di conoscenza.

L’ultimo esempio è la crisi pandemica e le crisi di tipo “cigno nero” in generale: eventi che hanno una bassa probabilità molto bassa di verificarsi, ma che hanno un impatto estremamente alto. In tali crisi, coloro che non sono abituati agli inizi non saranno in grado di uscirne vittoriosi. Tuttavia, se abbiamo una tradizione di inizi, avremo anche i meccanismi interni per ricominciare e per estrarre le informazioni necessarie da questi tipi di crisi, al fine di essere più resilienti in quelle successive. Gli inizi costanti creano resilienza a qualsiasi cambiamento improvviso.

La velocità del cambiamento intorno a noi ci fa vivere in un mondo dove le cose non hanno fine, ma solo nuove versioni. In un mondo simile, l’adattamento costante è la chiave del successo. Ecco perché mi piacciono molto gli inizi e li considero molto meglio dei buoni ma noiosi finali, perché sono in grado di generare nuove idee, conoscenza e un’evoluzione intellettuale.

Gli inizi mi rendono molto più resiliente e pronto a ricominciare sempre, non importa che tipo di evento possa verificarsi in futuro. E forse, per alcuni, l’inizio di una cosa è meglio della sua fine.

 

 

Di Razvan Craciunescu, docente al Politecnico di Bucarest e coordinatore del primo laboratorio di ricerca per la tecnologia 5G in Romania. È appassionato di innovazione e delle tecnologie del futuro.

Fonte: https://st.network/analysis/top/is-the-end-of-something-better-than-its-beginning.html

Traduzione: Tiziana Calà

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