Mosè e la vera alleanza dell’intimità

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Quando ho scelto di scrivere su Mosè, sapevo che probabilmente mi ero impelagata in un lavoro più grande di me. Dopo tutto, non sono una teologa o una pastora e non ho molti anni di conoscenza o di saggezza per parlare di una figura così importante della storia giudeo-cristiana. Ma quando ero più giovane, una delle cose che desideravo di più era poter conversare con Dio a tu per tu, come Mosè.

In Esodo 33:11 leggiamo che “il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico”.

Ho sempre desiderato questo tipo di rapporto con Dio: un’amicizia così intima che fosse come parlare faccia a faccia; sapere cosa Dio ti sta dicendo ed essere sicuro della sua presenza. Sono sicura che anche molti di voi vorrebbero questo tipo di rapporto.

Purtroppo, per molti di noi questa non è una realtà. Quando preghiamo Dio, spesso ci sembra che le nostre preghiere rimbalzino sul soffitto. Preghiamo con serietà e sincerità per sperimentare la presenza di Dio, solo per essere accolti da un completo e assoluto silenzio…

Ho scelto di scrivere di Mosè perché penso che possiamo facilmente fraintendere il viaggio di fede che Mosè ha fatto per tutta la vita con Dio. Ci concentriamo sugli ultimi anni della vita di Mosè, quando Dio gli parlava faccia a faccia, ma ci sfuggono le esperienze formative che hanno portato Mosè a quel punto. Ma è proprio in queste esperienze formative che vediamo la vera bellezza della chiamata di Dio che ha scelto Mosè per consegnare l’alleanza di Dio al popolo d’Israele.

 

I primi 40 anni di Mosè: la lotta per l’appartenenza, lo scopo e l’identità

Mosè non era “un bambino qualunque” (cfr. Ebrei 11:23; Esodo 2:2) e fu istruito in tutta la saggezza degli egiziani, diventando “potente in parole e opere” man mano che cresceva (cfr. Atti 7:20-22). Chiaramente, Mosè era un giovane intelligente, che parlava bene e mostrava grandi qualità di leadership. Tuttavia, nonostante fosse cresciuto in un palazzo, la sua vita non fu priva di difficoltà.

Non era un egiziano e questo gli veniva costantemente ricordato dai suoi rivali e coetanei.

Non era un ebreo e fu intenzionalmente escluso dalla loro comunità come un estraneo.

Non era il prossimo nella linea di successione al trono, ma era comunque intrappolato nelle formalità e nelle aspettative della gerarchia reale.

Non era libero, ma non poteva immedesimarsi nella schiavitù del suo stesso popolo.

Mosè si trovava in bilico tra due mondi senza un luogo a cui appartenere veramente.

Tuttavia, nonostante la sua lotta personale con l’appartenenza, Mosè riconobbe di avere il potere di fare la differenza e cercò di sfruttare la sua posizione unica per migliorare le condizioni del suo popolo, gli israeliti. In Ebrei 11:24-25, leggiamo che “per fede Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio che godere per breve tempo i piaceri del peccato”.

Ma quando Mosè cercò di riavvicinarsi al suo popolo, questi lo respinse. Non riuscivano a vedere Mosè come qualcosa di diverso da un egiziano privilegiato, cresciuto in un palazzo. Chi era quest’uomo con l’audacia di identificarsi con loro quando non aveva mai lavorato duramente in vita sua? Non sapeva nemmeno parlare correntemente la lingua ebraica! (cfr. Esodo 4:10). In Atti 7:25 ci viene detto: “or egli [Mosè] pensava che i suoi fratelli avrebbero capito che Dio voleva salvarli per mano di lui; ma essi non compresero”.

Perché il suo popolo lo avrebbe rifiutato quando poteva aiutarli? Confuso, Mosè cercò seriamente la guida di Dio per capire il suo scopo e la sua vocazione nella vita. Ma tutto ciò che udì da Dio fu un amaro silenzio. Preghiere su preghiere si scontravano solo con il vuoto e con una maggiore confusione.

L’agitazione interiore di Mosè e la sua lotta con l’appartenenza, l’identità e lo scopo si sono manifestati quando ha preso in mano la situazione per dimostrare la sua fedeltà, uccidendo un egiziano. A quel punto, Mosè fuggì, in preda alla vergogna, ai sensi di colpa e più confuso che mai sul fatto che Dio l’avesse veramente scelto o se fosse solo un impostore disilluso dal suo scopo divino.

Mosè si sentiva un completo e totale fallimento. Per tutta la vita aveva creduto che Dio lo avesse messo da parte. Si considerava il salvatore d’Israele: aveva la posizione, l’influenza, il potere e le capacità necessarie! Ma sentiva di aver deluso Dio.

Non si rendeva conto che le sue forze erano diventate la ragione stessa della sua caduta. Mosè cercava di fare tutto con le proprie forze, con le proprie capacità e seguendo i propri tempi. Non si rese conto che solo Dio poteva salvare il suo popolo.

Ma Mosè non aveva deluso Dio. Tutto questo faceva parte del piano di Dio per preparare Mosè a ciò che lo aspettava e per insegnargli che Dio non desidera grandi risultati dal suo popolo. Ciò che cerca è la collaborazione, l’intimità e la fiducia nella sua potenza salvifica.

 

I secondi 40 anni di Mosè: scoprire le risposte nel silenzio

Mosè era caduto in disgrazia e aveva perso tutto. Chi era se non il salvatore d’Israele? Qual era il suo scopo, se non quello di fare qualcosa di grande per Dio? Qual era il suo posto, se non con il suo popolo, Israele?

Per i primi 40 anni della sua vita, Mosè ha lottato con il silenzio di Dio riguardo alle sue idee su come Dio avrebbe dovuto operare nella sua vita. Ma nei 40 anni successivi Mosè dovette lottare con se stesso, imparando, attraverso il silenzio di Dio, a scrollarsi di dosso le proprie percezioni e convinzioni su Dio e a riscoprire la fede nella sua vera forma. Nei 40 anni successivi, Mosè imparò dai suoi errori, scoprendo cosa fossero la vera umiltà e la fiducia in Dio.

Mosè visse come un nomade, un estraneo tra gli stranieri. Si trovò di fronte a una nuova realtà. La sua vita era diventata solo questo: un pastore? Avrebbe vagato per sempre nel deserto figurato della comunità, senza mai riuscire a trovare un posto a cui appartenere? Era stato troppo presuntuoso sulla volontà di Dio per la sua vita?

Ma in questi anni nel deserto, Mosè è cresciuto umile e ha sviluppato uno spirito di mitezza e di affidamento quotidiano a Dio attraverso il silenzio. Mentre scioglieva lentamente le sue idee preconcette su ciò che Dio cercava da lui, gli occhi di Mosè si aprirono al vero cuore di Dio. Mosè scoprì che non aveva bisogno di un popolo a cui appartenere o di una comunità che gli desse un’identità; poteva trovarla completamente in Dio. Imparò che non aveva bisogno di ottenere qualcosa perché Dio lo amasse; Dio lo amava così com’era: un peccatore spezzato, vergognoso e pentito.

Mosè si trasformò durante questi 80 anni di silenzio, imparando che l’intimità con Dio non deriva necessariamente dal “sentire” la voce di Dio, ma dal camminare quotidianamente con lui. E quando finalmente, a 80 anni, Dio parlò a Mosè in modo udibile, Mosè riconobbe la voce di Dio perché aveva imparato ad ascoltare Dio nel silenzio.

Queste esperienze formative hanno trasformato Mosè nel leader di cui Dio aveva bisogno per redimere il suo popolo. Mosè aveva trovato la sua identità e la sua appartenenza a Dio, aveva imparato ad ascoltare Dio in mezzo alla confusione e al silenzio e aveva sperimentato il vero amore di Dio, e ora poteva insegnare a Israele a fare lo stesso.

 

I successivi 40 anni di Mosè: l’intercessione e la rivelazione dell’alleanza di Dio

Gli ultimi 40 anni della vita di Mosè non furono una passeggiata. Mosè fu costantemente deriso, respinto, rimproverato, ignorato e messo alla prova come servitore di Dio, anche da coloro che gli erano più vicini. Tuttavia, Mosè non vacillò nella sua fede in Dio, nonostante il pesante fardello e le frustrazioni che a volte lo opprimevano.

Mosè vedeva oltre le prove e le difficoltà del presente, avendo acquisito una prospettiva di eternità. Ciò che sta più a cuore a Mosè è la salvezza del suo popolo e il suo rapporto con Dio. Per lui questo contava più di ogni altra cosa, persino della sua stessa salvezza!

Lo vediamo chiaramente quando Mosè intercede per Israele dopo che il popolo si era costruito degli idoli d’oro. In Esodo 32:32 Mosè supplica a nome d’Israele davanti a Dio, dicendo: “perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!”.

Mosè era disposto a rinunciare alla propria posizione in cielo, alla propria salvezza, se questo significava poter salvare Israele.

Vi suona familiare?

L’ultima volta che Mosè appare nella Bibbia non è sul letto di morte, ma piuttosto alla trasfigurazione di Cristo.

Qui, Mosè è stato in grado di offrire un incoraggiamento sincero a Gesù nel suo momento di grande difficoltà. Mentre il Figlio di Dio stesso lottava con il suo scopo divino, con il senso di appartenenza, con la lotta contro il rifiuto e con il peso del suo fardello spirituale di essere responsabile della fede di moltitudini come loro intercessore, Mosè poteva entrare in empatia. Come suo amico di sempre, Mosè fu in grado di rassicurare Gesù affinché guardasse all’eternità spirituale di tutta l’umanità al di sopra delle sue lotte attuali. Gesù fu rianimato dalla testimonianza di Mosè, che condivideva la profonda preoccupazione per la fede dell’umanità, disposto a mettere la salvezza di persone immeritevoli e ribelli al di sopra della propria.

 

L’alleanza

La vita di Mosè è stata una testimonianza e una dimostrazione del vivere l’alleanza di Dio di intimità, amore e fedeltà, molto prima che gli venissero dati i dieci comandamenti. Mosè aveva compreso il significato dell’alleanza di Dio: conoscere il cuore di Dio.

Questo era lo scopo dell’alleanza: avvicinare il popolo a Dio affinché potesse comprendere il suo cuore e sperimentare il suo amore. Dio voleva una vera relazione di intimità con il suo popolo… e lo vuole ancora oggi. In questa vita, affronteremo molte lotte, come fece Mosè. Alcuni lotteranno con il silenzio di Dio in tempi di grande angoscia. Altri potrebbero trovarsi di fronte a una grande confusione circa il loro scopo, la loro identità o il loro senso di appartenenza. Altri ancora potrebbero essere sopraffatti o sentirsi esauriti dalla responsabilità di guidare le persone nella fede. Ma possiamo sempre trarre incoraggiamento dall’alleanza di Dio con noi, confermata dal ministero, dal sacrificio e dalla risurrezione di Gesù.

 

 

Di Olivia Fairfax, assistente alla redazione di Adventist Record

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2024/12/03/moses-and-the-true-covenant-of-intimacy/

Traduzione: Tiziana Calà

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