E tutt’intorno… la morte

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Durante l’isolamento, il servizio di comunione virtuale della mia chiesa ha acquisito un nuovo significato.

 

Non ho mai visto un film dell’orrore in vita mia, ma, credetemi, ho un’idea piuttosto precisa di quali cose mi farebbero rabbrividire davanti a uno schermo!

La Bibbia ha alcune storie che sembrano degne di essere candidate per la sceneggiatura di un film dell’orrore. Una di queste è una storia dell’Antico Testamento, nel periodo in cui il popolo d’Israele era nel deserto: la storia dei serpenti velenosi.

Lasciatemelo dire, ho visto i serpenti velenosi solo nello zoo, per fortuna dietro spessi vetri protettivi. Anche allora, ho dovuto combattere il mio naturale bisogno di correre il più veloce e il più lontano possibile.

Non riesco nemmeno a immaginare come dev’essere stato per gli israeliti quando si sono ritrovati davanti a una massiccia invasione di serpenti che strisciavano nel loro campo.

I serpenti erano marrone scuro o verde chiaro? Quanto tempo ci è voluto perché qualcuno morisse dopo essere stato morso? Non c’era assolutamente nessun posto dove nascondersi?

Dio ha dato loro un rimedio! Stranamente, quel rimedio era un serpente, un serpente di bronzo su un palo.

Quando leggiamo questa storia, il nostro primo pensiero è: “Ah, sì, questo è Gesù!”. Con la nostra visione del Nuovo Testamento, siamo stati addestrati a pensare in questo modo.

Ma no, per questi poveri israeliti non è stata una lezione teologica sul Messia che verrà. Per loro è stata una visione terribile, anche se c’era una via di salvezza. Non volevano vedere un altro serpente nella loro vita, eppure dovevano guardare un serpente per essere guariti e salvati. La loro salvezza è arrivata proprio attraverso quella cosa che tanto detestavano.

Per qualche ragione, mi sono ricordato di questa storia biblica dopo un servizio video del venerdì sera con la mia chiesa. Perché?

Siamo tutti bloccati nelle nostre case. Tutti noi guardiamo il telegiornale ogni giorno. Viviamo tutti in mezzo alla paura della morte e della sofferenza. E ormai siamo tutti stanchi di queste terribili notizie sulla morte, così tanto diffusa e distruttrice nel mondo. Il nostro istinto è quello di fuggire da questa realtà e di pensare ad altre cose più allegre.

Questo significa che l’ultima cosa a cui vogliamo pensare quando ci riuniamo in chiesa è la morte. Eppure, questo è proprio quello per cui ci riuniamo insieme. Nel mezzo di questa pandemia mortale, ci siamo riuniti per ricordare una morte.

Non abbiamo fatto un vero servizio di comunione, perché la comunione implica lo stare insieme. Non potevamo stare fisicamente insieme, ma eravamo collegati attraverso la tecnologia e nello spirito.

Abbiamo fatto del nostro meglio per rimanere fedeli, anche durante l’isolamento nazionale, alla nostra chiamata cristiana di annunciare “la morte del Signore, finché egli venga” (1 Corinzi 11:26). Questa chiamata non è stata annullata, nemmeno ora.

Per noi, rimanere fedeli a questa chiamata significava che tutti noi, individualmente, avremmo sfornato del pane azzimo. Ci siamo ricordati di comprare del succo d’uva durante la nostra spesa settimanale. E quando ci siamo riuniti all’ora stabilita, il venerdì sera, eravamo pronti.

Abbiamo cantato inni di lode, abbiamo pregato, il nostro presidente dell’Unione Baltica ha condiviso la Parola, abbiamo pensato a Gesù e al suo corpo spezzato, e poi abbiamo mangiato il pane e bevuto il succo d’uva. Abbiamo proclamato la morte del Signore; ci siamo ricordati quella morte che ha il potenziale di dare la vita a tutti noi, la vita eterna.

Durante il servizio di culto ho pianto più volte. Non solo perché mi manca tanto la mia famiglia di chiesa. Ho pianto perché ho capito all’improvviso come sarebbe potuto essere per gli israeliti vivere in mezzo ai serpenti, con il pericolo sempre dietro l’angolo.

Ho capito quanto fosse difficile eppure quanto fosse cruciale per loro guardare quel serpente di bronzo anche mentre la gente moriva a destra e a sinistra. Quanto fosse confusa eppure quanto fosse reale la loro salvezza! E ho capito che la nostra unica speranza nel mondo, dove la morte sembra farla da padrona, risiede in un corpo sfigurato appeso a una croce. Gesù, ferito e silenzioso, è davvero l’unica speranza che abbiamo. Perché solo “mediante le sue lividure noi siamo stati guariti” (Isaia 53:5). Solo con la sua morte ci viene data la vita.

Questa verità mi ha improvvisamente colpito.

Siamo tutti in attesa di una cura umana, un vaccino contro il COVID-19. Aspettiamo il momento in cui potremo lasciare le nostre case, andare in chiesa e vivere di nuovo in comunione. Ma non dimenticherò mai la lezione che ho imparato durante questa pandemia: la cura viene dalla sofferenza, la vita viene dalla morte.

Sì! Cristo non rappresenta solo una storia di morte, ma anche la promessa di una gloriosa risurrezione, un messaggio che vale la pena proclamare.

 

 

Di Mervi Kalmus, Trans-European Division News

Fonte: https://www.adventistreview.org/death-all-around

Traduzione: Tiziana Calà

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