Lezioni dall’ospedale

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Da qualche settimana sono ospite di una struttura ricettiva annessa a un ospedale, per essere al fianco delle persone che amo.

Ho osservato molte cose.

Vedo le persone che arrivano dopo aver visitato i loro parenti malati o in fin di vita con un’aria emotivamente affaticata, logorata. Si possono vedere le rughe incise ogni giorno un po’ più a fondo sui loro volti: l’ansia, persino la disperazione, è palpabile.

Si può sentire la pesantezza che circonda questi posti.

Ci sono singhiozzi nelle ore più tranquille, provenienti dalle stanze o dai bagni, fin dalle prime ore del mattino. Non si tratta di piccoli singhiozzi, ma di singhiozzi forti e strazianti. In qualche modo le cose sembrano più cupe e tristi di notte, quando tutto è fermo e silenzioso. Persone che guardano i loro cari attraversare sofferenze inimmaginabili, che scivolano via da loro.

Ho visto un padre e una figlia spremere a mano del succo d’arancia per la moglie e la madre in terapia intensiva: c’è così tanto amore spremuto in quel succo. Ho sentito le loro voci crollare quando l’addetto alle pulizie chiedeva: “Come state oggi?”, mentre loro rispondevano: “Bene, grazie”, asciugandosi discretamente una lacrima.

Ho visto un uomo intorpidirsi nella sala TV ogni sera, per sfuggire temporaneamente al dolore di vedere la propria compagna indebolirsi ogni giorno di più, durante la chemio.

Ho visto una coppia di sorelle che trasportavano la loro mamma, che sta morendo di cancro ai polmoni, portandola fuori più volte al giorno per fumare.

Gli sguardi preoccupati, le persone che dormono su letti di fortuna, che vanno a prendere questo e quello per cercare di rendere gli ultimi giorni più confortevoli. Persone sedute in modo impacciato, che non sanno cosa dire, ma che fanno del loro meglio per mostrare amore e sostegno con la loro presenza.

Mentre la nostra famiglia canta canzoni di speranza e dell’amore di Dio, vedo un uomo in sedia a rotelle che indugia vicino alla porta, con le orecchie tese per catturare qualche parola di vita e di speranza.

Qui le persone hanno DAVVERO bisogno di speranza. Vorrei solo abbracciare tutti e dire loro che andrà tutto bene… ma non va bene… non proprio.

Probabilmente anche i nostri volti sono un po’ abbattuti, ma noi siamo i più “fortunati”; nella nostra stanza c’è la pace, la pace portata dalla comprensione, la pace che il mondo non può dare. Cantiamo di un regno dei cieli e parliamo di riunirci in un mondo in cui non ci sarà più dolore, né sofferenza, né addii. L’amore riempie la stanza: qui non c’è paura.

Sì, ci sono lacrime al pensiero di perdere una persona che amiamo; ma non ci addoloriamo come chi non ha speranza. Abbiamo un’ancora solida, fissata su una roccia ancora più solida e inamovibile, anche se la tempesta infuria intorno a noi, e il vento e le onde si abbattono su di noi, la nostra ancora resiste.

La fine della vita ci insegna cosa è importante e cosa no. Vedo la gioia quando si ricordano le molte vite che sono state toccate dalla vita del nostro caro, il valore dato alle relazioni e alla famiglia. La soddisfazione e la gioia che il nostro caro ha ricevuto nel pregare, chiedendo un’ultima benedizione su ogni membro della famiglia e sui suoi figli. Il calore di un abbraccio, lo stringersi le mani, le parole d’amore e di apprezzamento dette mentre le persone sono ancora in grado di sentirle e apprezzarle. La gioia nelle cose più semplici: un uccello fuori dalla finestra, un bel fiore, un dolce frutto, un altro giorno di vita con la persona amata. Amici lontani e vicini che ci offrono amore, sostegno e preghiere.

Impariamo a vivere e a trovare la gioia nel “presente”, perché è proprio questo: un presente, un dono. Potremmo non avere un domani.

Il mio cuore soffre per le stanze vuote, dove le persone muoiono da sole senza un volto amico, senza parole affettuose, senza una mano calda che faciliti il cammino verso la fine e senza speranza dopo la morte.

Quanto deve essere buio e solitario.

Il dolore, la malattia, la sofferenza non sono mai stati fatti per noi. Siamo stati creati per godere di un mondo buono, molto buono, e siamo stati creati per le relazioni. Con gli altri e con il nostro Creatore. Avremmo dovuto conoscere e sperimentare solo il bene. Ma proprio per amore, siamo stati creati con il libero arbitrio, la capacità di dire “sì” all’amore… così come di dire “no”.

Ci è stata venduta una menzogna e noi l’abbiamo comprata, e la compriamo ancora oggi: ignorare Dio, fare i propri interessi, diventare la propria divinità personale, sperimentare il bene e il male.

Conoscevamo già il bene, ma volevamo conoscere il bene E il male, e così il vaso di Pandora è stato aperto e il male di ogni tipo ha riempito il nostro mondo.

Ne sono scaturite miserie e disgrazie indicibili, sofferenze inimmaginabili. Sarebbe tutto un disastro se non fosse che il Creatore aveva un piano, prima ancora che ci smarrissimo, per riscattarci dalla rovina che abbiamo causato, per ripristinare tutto ciò che è andato perduto, per porre fine al male, alla sofferenza, alla malattia, al dolore, agli addii e alla morte. Ha messo l’eternità nei nostri cuori, è andato a preparare un posto per noi e tornerà per riportarci a casa a vivere nella pace, nell’amore e nella gioia eterna… e anche se tutto ciò che abbiamo fosse questa vita e non ci fosse l’eternità, sceglierei COMUNQUE OGNI volta la pace, l’amore, la gioia, il conforto e la speranza che la conoscenza di lui porta.

Il cielo è una persona, e quella persona, e il suo amore, la sua pace e la sua gioia, sono nel nostro cuore… qui e ora. Queste cose non dipendono dalle circostanze, quindi nessuno può portarle via.

Nel frattempo, egli cammina accanto a noi, nelle valli più buie. Conserva le nostre lacrime e un giorno le asciugherà personalmente e non ci saranno più lutto, morte, dolore o CANCRO!!!

Che quel giorno arrivi presto.

 

 

Di Julie Baum, che vive a Port Macquarie.

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2023/10/04/lessons-from-the-hospice/

Traduzione: Tiziana Calà

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