Dio piange quando piango io?

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Nei momenti in cui il dolore ci accompagna e ci troviamo soli nel cuore della notte, Dio piange con noi?

 

Quando eravamo bambini, il pianto fungeva da codice universale, traducendo ogni disagio, bisogno o paura in un linguaggio inconfondibile. Ma quando siamo cresciuti, abbiamo cominciato a vedere il pianto, soprattutto in pubblico, come una vulnerabilità, un’inutile esibizione che ci esponeva al disprezzo del mondo.

Mi trovavo vittoriosamente su un grande pagliaio. A quei tempi, assorbivo la bellezza dell’estate da ogni poro. Correvo, mi arrampicavo e giocavo in ogni angolo del giardino. Avevo scoperto una tavola di compensato appoggiata al lato del pagliaio, una rampa perfetta per le avventure di un bambino di 7 anni. Sono scivolato giù per la tavola dalla cima del mucchio alcune volte, ma in una delle discese il mio piede si è impigliato in qualcosa, facendomi atterrare con la mano su una roccia, di cui non mi ero accorto fino al momento dell’impatto. Ho sentito un dolore intenso che scendeva lungo l’avambraccio. Ho iniziato a piangere in modo forte e incontrollato, e il mio pianto ha agito come un meccanismo fisico di sollievo dal dolore. I miei genitori sono corsi da me, mi hanno calmato e mi hanno portato in ospedale. Mi ero rotto il braccio.

Ma il pianto non è solo una risposta al dolore fisico. È anche un’indicazione dell’intensità dei nostri stati interiori, un barometro dell’anima e una valvola che ci permette di scaricare lo stress e il dolore emotivo.

 

Deluso da Dio

A due decenni dall’inizio della mia vita, l’orizzonte delle possibilità sembrava illimitato. Con giovanile ottimismo, credevo che il mio potenziale non avesse bisogno di una direzione fissa; tutto era possibile, ogni strada era aperta. Era un senso di invincibilità nato dalla convinzione che il tempo, generosamente concesso, mi avrebbe permesso di esplorare ogni vetta delle mie aspirazioni.

I videogiochi della mia adolescenza avevano creato un’illusione di continuità, una sorta di possibilità perpetua di ricominciare. Ogni errore, ogni fallimento sembrava una battuta d’arresto temporanea, qualcosa che potevo correggere con un semplice riavvio. Ma presto fui costretto ad affrontare la realtà dell’inesorabilità del tempo e delle conseguenze irreversibili delle mie scelte.

Se da un lato gli anni da studente mi hanno portato benefici reali, facendomi scoprire le meraviglie del mondo attraverso la cultura e l’arte, dall’altro mi hanno fatto sprofondare in un mare di delusioni e di profonda disillusione. In quei momenti ho atteso una risposta, un segno, un indizio da parte di Dio. Ma non ho sentito nemmeno il più piccolo sussurro. Il silenzio assordante di Dio mi deluse e lo sentii come un’assenza, almeno della sua empatia o del suo interesse per me. Sebbene avessi sentito ripetere più volte le parole “a Dio non importa”, ero riluttante a pronunciarle. Finché…

Il mio rapporto con Dio si è evoluto come un sentiero tortuoso, con alti esaltanti e bassi misteriosi. Ci sono stati momenti in cui ero completamente pieno di fede e altri in cui le domande rimanevano senza risposta. Ho divorato biografie di persone che avevano avuto incontri così rivelatori con Dio da trasformare radicalmente la loro vita e riempirla di significato. Nel mio caso, le epifanie spettacolari sembravano mancare; era come se il mio viaggio spirituale si svolgesse a un ritmo faticoso, moderato e mediocre. Finché non ho trovato lui, Gesù.

 

La scoperta

Ero sul palco, stavo cantando. Guardavo le sagome del pubblico, interrotte dai fasci di luce dei riflettori, e pensavo alla profondità dei testi che stavo integrando nelle armonie. Man mano che i miei occhi si spostavano da un lato all’altro della sala, cominciavo a vedere come se tutto avesse un aspetto strano, deformato. Ma non mi sono fatto prendere dal panico. Pensavo di avere semplicemente un granello di polvere o una ciglia nell’occhio. Continuai a cantare e a sbattere eccessivamente le palpebre, ma la mia vista non accennò a migliorare. Pensavo che fosse la lente a contatto e che se l’avessi tolta, la mia vista sarebbe tornata normale. Ma niente è servito. Tutto ciò che guardavo con l’occhio destro aveva un aspetto ondulato o circolare.

Dall’ottico mi è stata data la diagnosi che non avrei mai voluto sentire: distacco della retina, con la raccomandazione di un intervento chirurgico d’urgenza. Avevo 24 anni e stavo per perdere la vista dall’occhio destro. Quando mi resi conto delle implicazioni, per qualche istante persi i sensi. Quando mi ripresi, sudavo copiosamente e non riuscivo a stare in piedi da solo. Fino al giorno dell’operazione ho pianto, pregato e fatto molte offerte a Dio per ottenere la guarigione miracolosa.

La notte prima dell’operazione, fui pervaso da un silenzio riposante. Mentre cercavo una promessa biblica che mi aiutasse a dormire, mi sono ricordato dei versetti biblici che avevo imparato con mio padre alle elementari. Mi è tornato in mente il versetto più breve che tutto il nostro gruppo aveva imparato, perché volevamo aggiungere un altro versetto alla nostra lista di versetti biblici imparati a memoria: “Gesù pianse” (Giovanni 11:35).

Quella sera ho pensato molto a questo versetto. Perché Gesù pianse quando sapeva che avrebbe fatto un miracolo e avrebbe risuscitato Lazzaro? Ho trovato la risposta nelle parole di Gesù stesso: “E per voi mi rallegro di non essere stato là, affinché crediate” (Giovanni 11:15). Anni prima ero arrabbiato con Dio per avermi lasciato cadere, deluso perché non aveva risposto ad alcune mie preghiere. Avevo sospettato una sua negligenza o indifferenza. Ma ora capivo che, sebbene Dio avesse il potere di evitare la sofferenza, sceglieva di soffrire con noi per aiutarci a crescere spiritualmente e a comprendere più profondamente la sua natura e le sue intenzioni.

Il mattino seguente mi recai con la mia famiglia in sala operatoria ed ero pieno di paura. Sebbene fossi sereno, la mia immaginazione (anticipando ciò che mi sarebbe potuto accadere sul tavolo operatorio) mi fece perdere di nuovo i sensi. L’operazione è andata bene, ma poiché la retina era in uno stadio avanzato di distacco, ho avuto bisogno di un secondo intervento sei mesi dopo. Sebbene fossi entrato in clinica molto più fiducioso, è bastato vedere la porta d’ingresso e i brutti pensieri sono tornati a galla. Mi accasciai, di nuovo privo di sensi. Avevo sviluppato una paura acuta del mio problema.

Per quanto sia coraggioso in altri ambiti, ci sono ancora problemi che mi fanno battere il cuore… ma devo solo ricordare a me stesso che Dio ha il controllo, che ha scelto di soffrire con me e di sostenermi, e allora so che, indipendentemente da come il mio corpo reagisce allo stress, tutto andrà bene. Anche se la paura può essere opprimente, la fede mi ricorda che non sono solo.

 

Cose che vorrei aver saputo a 20 anni:

  1. Il pianto non è una forma di debolezza, ma un linguaggio dell’anima e un modo per liberare il dolore.
  2. Il tempo non è così generoso come sembra e le scelte hanno conseguenze irreversibili.
  3. Dio non è indifferente, ma è con noi in modo misterioso.
  4. Dio sceglie di soffrire con noi per aiutarci a crescere spiritualmente.
  5. Anche nei momenti più bui, non sono solo, ma sostenuto da Qualcuno di più grande.

 

Gesù piange ancora oggi

Quattro giorni dopo la sepoltura di Lazzaro, Gesù si trovava con Marta e Maria. Pur sapendo che presto avrebbe trasformato il loro dolore in gioia, pianse con loro, commosso dal loro profondo dolore. Questo perché egli non solo vede il nostro dolore, ma lo sente.

Quindi, quando sentite il mondo crollare intorno a voi e il dolore che vi opprime, ricordate che Gesù sta piangendo con voi! Egli comprende la vostra sofferenza meglio di chiunque altro e vi offre il suo sostegno.

Il dolore è inevitabile nella nostra vita, ma più potente dell’oppressione del dolore è il conforto di Gesù. Se noi, nelle nostre imperfezioni, possiamo offrire conforto a chi soffre e piangere con chi piange, allora Colui che ci ha creato e ci conosce intimamente può fare molto di più.

Tutto questo mi fa pensare alla storia di un uomo che, ripensando alla sua vita, vide due serie di impronte nella sabbia, che rappresentavano lui e Gesù che camminavano insieme. Ma nei suoi momenti peggiori notò solo una serie di impronte. Deluso, chiese a Gesù perché lo avesse abbandonato quando aveva più bisogno di lui. Con uno sguardo amorevole, Gesù rispose: “Quelle orme che vedi sono le mie. Non ti ho lasciato in quei momenti. Ti stavo portando in braccio”.

 

 

Di Flaviu Tereșneu, che vorrebbe aver capito prima che l’amore di Dio si manifesta pienamente nei momenti difficili della vita.

Fonte: https://st.network/analysis/top/i-didnt-know-that-god-cries-too.html

Traduzione: Tiziana Calà

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