La rivoluzione francese e la nascita dell’avventismo

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Considerata la “madre delle rivoluzioni”, di cui si celebra il 230° anniversario, ha fatto nascere un vero e proprio interesse per il libro dell’Apocalisse, che ha raggiunto il suo apice con la nascita della chiesa.

Il 14 luglio 1789, la Bastiglia, fortezza-prigione di Parigi e simbolo dominante dell’autorità reale francese, venne conquistata durante una rivolta popolare. Le pietre del grande muro alto 24 metri e spesso 3 che formavano la prigione vennero tolte, una dopo l’altra (James Maxwell Anderson, Daily Life During the French Revolution, 2007. p. 11; Max Gallo, Revolução Francesa, v. 1, 2012. p. 148). La caduta della Bastiglia segna la fine di una delle monarchie più potenti al mondo; è l’evento che inaugura e separa l’età moderna da quella contemporanea, oltre a essere l’evento chiave che rappresenta l’intera rivoluzione francese (Mark Almond, Uprising!Mitchell Beazley, 2002, p. 32).

Nel suo immediato contesto cronologico, la rivoluzione francese ebbe un impatto diretto su Haiti, che nel 1791 diede inizio a un’insurrezione per combattere la schiavitù, culminata nell’indipendenza del paese avvenuta nel 1804. Intorno al 1790, gli shock ideologici che seguirono, a partire dagli sviluppi radicali in Francia, ebbero delle ripercussioni perfino sull’altra sponda dell’Atlantico. Le idee francesi di sovranità popolare e l’effetto delle guerre rivoluzionarie fecero sì che il desiderio di indipendenza raggiunse il nord del Messico, l’Argentina e il Cile (p. 38).

L’ideologia rivoluzionaria francese ha anche influenzato le emergenti nazioni nell’Europa del XIX secolo, al punto che adottarono, proprio come la Francia, una bandiera tricolore. Tra il 1789 e il 1917, la politica europea ruotava intorno a movimenti a favore o contro i principi rivoluzionari del 1789 o la loro versione più radicale del 1793 (E. J. Hobsbawm, The Age of Revolution: Europe 1789-1848, 1996. p. 53).

A distanza di 230 anni, è ancora possibile rilevare i progressi di quella che è passata alla storia come la “madre di tutte le rivoluzioni” nella crescita globale delle repubbliche liberali e delle democrazie, nella diffusione del laicismo e nello sviluppo delle ideologie moderne. In sintesi, le riproduzioni ideologiche che seguirono, proiettate a partire dalla rivoluzione francese, hanno fatto sì che si trattasse di uno degli eventi più importanti della storia.

D’altra parte, sembra che la rivoluzione francese abbia influenzato anche un altro settore, forse più insospettabile. I conflitti sociali, politici e religiosi avvenuti intorno al 1790 hanno suscitato l’interesse di molti studiosi per quanto riguardava le descrizioni bibliche relative alla fine del mondo (George. R. Knight, William Miller and the Rise of Adventism, 2010. p.13). Più precisamente, l’anno particolarmente violento del 1793, iniziato con la decapitazione del re e terminato in un periodo di terrore, ha aumentato a dismisura lo studio del libro dell’Apocalisse negli Stati Uniti e in Inghilterra.

Nel febbraio del 1793, il predicatore americano Elhanan Winchester (1751-1797) pubblicò il libro “The Three Woe-trumpets”, che associa gli eventi della rivoluzione all’11° capitolo del libro dell’Apocalisse, sostenendo che la rivoluzione francese fosse il compimento delle profezie trattate in questo libro delle Scritture e che la settima tromba stava per suonare (v. 15), annunciando il grande cataclisma finale e la seconda venuta di Gesù Cristo (Elhanan Winchester, The Three Woe Trumpets, 1793, pp. 37-38).

Analogamente, il teologo inglese Joseph Priestley (1733-1804), in una predicazione pubblicata nel febbraio del 1794, collegava il terremoto descritto in Apocalisse 11:3 con la divisione della Babilonia mistica, che sarebbe stata composta da paesi europei. La decima parte sarebbe stata la Francia, che con la rivoluzione aveva interrotto il dominio papale (Joseph Priestley, Present State of Europe Compared with Ancient Prophecies, J. Johnson, 1794, pp. 25-26).  La predicazione sottolinea la seconda venuta di Gesù, che coincide con l’inizio dei mille anni (p. 19). Allo stesso modo, Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), poeta, filosofo e teologo inglese, scrisse una poesia nel 1796, in cui collegava il libro dell’Apocalisse alla rivoluzione francese e il periodo dei mille anni alla redenzione universale (S. T. Coleridge, & E. H. Coleridge (ed.), The Complete Poetical Works of Samuel Taylor Coleridge, v. 1, 1912, pagg. 108-123).

Alla fine del XVIII secolo, con il substrato della rivoluzione, emerse un elemento chiave per delimitare incisivamente le profezie degli ultimi tempi. In generale, la violenza e la portata del disastro francese hanno fatto sì che gli studiosi di entrambe le sponde dell’Atlantico guardassero le profezie bibliche di Daniele e dell’Apocalisse. Diversi studiosi della Bibbia hanno sviluppato un particolare interesse per le profezie del tempo riferite all’anno 1798. Nel febbraio dello stesso anno, Berthier, generale di Napoleone, marciava verso Roma, detronizzando Papa Pio VI. Ecco perché, per molti, il 1798 divenne un punto di riferimento che collegava la storia secolare con le profezie bibliche (William Miller and the Rise of Adventism, p. 13-14).

Utilizzando il principio che afferma che, nelle profezie bibliche, un giorno corrisponde a un anno, coloro che stavano esaminando le Scritture hanno interpretato la prigionia del Papa come la “ferita a morte” di Apocalisse 13:3 e il compimento dei 1.260 giorni/anni di Daniele 7:25 e di Apocalisse 12:6,14 e 13:5 (p. 14). La giustapposizione degli eventi relativi al decennio del 1790 e dei versi sopra menzionati ha fornito la “stele di Rosetta” ai commentatori biblici.

L’anno 1798 è stato identificato come punto di intersezione tra profezia e storia (Ernest Robert Sandeen, The Roots of Fundamentalism, 1970, p. 7). Ed è a partire da quella data che sono nate numerose pubblicazioni che trattavano il tema dei 1.260 giorni profetici (L. E. Froom, The Prophetic Faith of Our Fathers, v. 2, 1948, pp. 765-780). Tra questi, ricordiamo “Remarks on the Signs of the Times” di Edward King (1735-1807), stampato nel 1798, poco dopo l’incarcerazione di Pio VI. (E. King, Remarks on the Signs of the Times, 1798, p. 16).

In seguito all’interpretazione standardizzata dei 1.260 giorni, un certo consenso venne raggiunto sul fatto che la profezia di Daniele 12:4 si fosse già compiuta, con il conseguente sopraggiungimento degli ultimi tempi. Questo era il ponte escatologico verso i 2.300 giorni di Daniele 8:14 (William Miller and the Rise of Adventism, p. 14). LeRoy Froom ha documentato cinquantotto esponenti in quattro continenti, che tra il 1800 e il 1844 hanno affermato che la profezia dei 2.300 giorni profetici si sarebbe realizzata tra il 1843 e il 1847. In pratica, l’interpretazione dell’evento che si sarebbe verificato in quella data era variabile. (L. E. Froom, The Prophetic Faith of our Fathers, v. 4, 1954, pp. 403-405).

In sintesi, a causa di diversi fattori correlati, come l’Illuminismo (XVIII secolo), la rivoluzione americana (1766-1783), la rivoluzione francese (1789-1799) e il secondo grande risveglio (1790-1830), i decenni intermedi tra il XVIII e il XIX secolo convergono verso una rinascita globale senza precedenti per quanto riguarda il livello di interesse negli studi biblici sul ritorno di Gesù. Diversi interpreti protestanti sono stati convinti dallo studio delle profezie bibliche che Gesù Cristo sarebbe tornato al loro tempo.

Tuttavia, fu William Miller (1782-1849), membro di una chiesa battista a Low Hampton, New York (Stati Uniti), a svolgere uno dei più accurati calcoli cronologici della profezia biblica del suo tempo. Nella sua interpretazione, dimostrò quello che credeva fosse l’imminente ritorno di Gesù (Alberto R. Timm, The sanctuary and the three angels[tesi di dottorato], 1995. p. 1-4). Nei suoi primi anni di studio (1816-1818), William Miller cercò di comprendere e conciliare i periodi profetici, come i 2.300 giorni di Daniele 8:14; i 1.290 giorni e i 1.335 giorni di Daniele 12:11-12, così come i 1.260 giorni di Apocalisse 11:3 e 12:6 (vedi Daniele 7:25; Apocalisse 11:2; 12:14; 13:5). Questo lo portò alla conclusione che era possibile che Cristo sarebbe tornato nel 1843.

Gli avventisti del settimo giorno formano il ramo più importante del movimento millenario nordamericano che emerse tra il 1830 e il 1840, periodo segnato dalla forte ondata del secondo grande risveglio (1790-1830). Da allora in poi, il movimento millerita ha cominciato a sviluppare un nuovo sistema di interpretazione delle profezie, portato poi avanti dagli avventisti sabbatisti.

Subito dopo la delusione del 22 ottobre 1844, gli avventisti sabbatisti cominciarono a studiare intensamente le Scritture, definendo, il 21 maggio 1863, il loro sistema dottrinale.

Alla fine del XVIII secolo, la rivoluzione francese è stata utilizzata come solida metafora di una forza radicale capace di superare ogni ostacolo. Come un turbine, travolgeva tutto ciò che la forza umana poteva mettergli davanti. Nessuno restava “impunito”. La rivoluzione francese condusse molti uomini alla rovina, nonostante questi pensassero essere i principali protagonisti della rivolta (Joseph de Maistre, Considérations sur la France, 1844, p. 15-16).

Tuttavia, contro questo movimento devastante, carico di violenza e distruzione, Apocalisse 18:1 presenta un’altra rivoluzione nel futuro: un grande movimento mondiale, simboleggiato da un angelo che detiene una grande autorità e illumina tutta la Terra. Questo angelo è una metafora che rappresenta ogni persona che aspetta il ritorno del Signore, ma allo stesso tempo accelera la realizzazione di questo evento attraverso una preparazione quotidiana che si fa solo sul campo di battaglia della missione. E quando verrà il momento in cui questo messaggio finale sarà stato proclamato in tutto il mondo, il potere di questa parola sarà più grande di qualsiasi rivoluzione.

Flávio Pereira Da Silva Filho, professore di teologia biblica, pastore e giornalista

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