Com’è la tua reputazione?

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Uno degli insegnamenti della scuola di giornalismo che mi è rimasto impresso è che la comunicazione non è ciò che diciamo, ma ciò che l’altro capisce. Questo concetto non è fondamentale solo per chi lavora nella comunicazione. È un concetto valido per la vita; un concetto per noi come cristiani e come Chiesa.

Come persona che ha avuto la sua parte di shock culturale negli ultimi tre anni, dopo essersi trasferita in un altro paese, so per certo che quando si comunica non c’è niente di più frustrante che non essere capiti o essere fraintesi. Ed è ancora peggio quando questo provoca un danno alla nostra reputazione e credibilità.

Una buona reputazione e una buona credibilità sono due delle cose più preziose che si possano avere nella vita. Salomone era d’accordo, quando ha affermato: “La buona reputazione è da preferirsi alle molte ricchezze; e la stima, all’argento e all’oro” (Proverbi 22:1).

Anche se alcune persone dicono di non preoccuparsi di ciò che gli altri pensano di loro, come cristiani dovremmo tutti sforzarci di avere una buona reputazione. Altrimenti, come potremo svolgere con successo la missione che Dio ci ha affidata?

Non sto suggerendo di dedicare la nostra vita a compiacere gli altri: questo ci porterebbe a una crisi di salute mentale. Né dovremmo vivere una vita non-autentica, come i moderni farisei. Quando facciamo la cosa giusta solo per mantenere le apparenze, corriamo il rischio di cercare di piacere più agli uomini che a Dio. La Scrittura sottolinea che “bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti 5:29).

Scegliendo di vivere secondo le norme di Cristo, dobbiamo essere pronti al rifiuto da parte di questo mondo. Mentre era sulla terra, Gesù stesso ha sperimentato il rifiuto per essere rimasto fedele alla sua missione. “Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna” (Isaia 53:3). Poiché il suo cuore era al posto giusto, non si preoccupava della sua reputazione tra i malvagi.

Tuttavia, anche se non dovremmo preoccuparci della nostra reputazione davanti agli occhi malvagi di questo mondo, una parte importante della nostra testimonianza al mondo consiste nel dare un buon esempio cristiano a coloro che ci circondano.

Nella società odierna, frenetica e iperconnessa, il modo in cui ci comportiamo e quello che diciamo possono assumere proporzioni enormi e influenzare più che mai la percezione che gli altri hanno di noi. Di conseguenza, come membri di un unico corpo, il corpo di Cristo, queste percezioni saranno proiettate sulla nostra comunità.

Jonathan Bernstein, esperto di gestione delle crisi, spiega perché tutti noi abbiamo un ruolo nella reputazione dell’organizzazione/istituzione a cui siamo associati: “il fatto è che ogni dipendente ha un ruolo nella gestione delle crisi, che ci piaccia o no, perché ogni dipendente è un rappresentante, a un certo livello, dell’organizzazione stessa”.

Potreste non essere un dipendente della Chiesa, ma a prescindere dai titoli, siamo stati tutti chiamati a essere ambasciatori del regno di Dio. E, come tali, abbiamo tutti la responsabilità della reputazione della nostra Chiesa.

Proprio come un albero si riconosce dai suoi frutti, dobbiamo coltivare una buona reputazione (cfr. Atti 6:3), astenendoci da ogni apparenza di male (cfr. 1 Tessalonicesi 5:22), facendo attenzione a non diventare una pietra d’inciampo per gli altri, in modo che il nostro ministero non venga screditato (cfr. 2 Corinzi 6:3).

Essere consapevoli di ciò che diciamo, di come lo diciamo e di come gli altri potrebbero percepirlo è di estrema importanza per la missione della Chiesa. Le conseguenze di come comunichiamo, anche in un semplice commento su Facebook, possono essere eterne.

Alla scuola di giornalismo ci hanno insegnato che il processo di comunicazione può essere suddiviso in otto componenti essenziali, ma le prime quattro sono: la fonte, il messaggio, il canale e il destinatario. Ellen White spiega il nostro ruolo in questo processo: “Ogni cosa deve essere fatta nel nome e mediante l’autorità di Cristo. Cristo è la fonte; la chiesa è il canale di comunicazione” (Servizio cristiano, p. 20). Come canale di comunicazione, dobbiamo assicurarci di essere così ben collegati alla Fonte, affinché il suo messaggio possa raggiungere il destinatario senza perdersi nel rumore dei nostri difetti umani.

 

 

Di Juliana Muniz

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2022/07/15/hows-your-reputation/

Traduzione: Tiziana Calà

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