La piaga del razzismo

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Una storia ancora tutta da (ri)scrivere.

Quanto segue è tratto da una presentazione fatta da Ella Simmons, all’epoca Vicepresidente della Conferenza Generale degli avventisti del settimo giorno, e da Jennifer Woods, all’epoca Consigliera della Conferenza Generale degli avventisti del settimo giorno, durante un incontro tenutosi nel 2021.

 

Dovremmo iniziare riconoscendo che, sebbene ci siano stati molti progressi significativi, il razzismo negli Stati Uniti e nel mondo non è scomparso, ma ha assunto nuove dimensioni, nomenclature e codici. Io ho vissuto personalmente molte di queste fasi.

Ho vissuto le leggi di Jim Crow e i periodi di negazione, la falsa convinzione che il razzismo fosse stato sradicato negli anni ‘50. Ho vissuto il movimento per i diritti civili degli anni ‘60 e ‘70, quello che alcuni potrebbero definire un periodo di avanzamento negli anni ‘80 e ‘90 e il XXI secolo, quando tutti noi abbiamo dovuto riconoscere che la razza conta ancora nel mondo e che le ingiustizie continuano a colpire alcuni gruppi di persone.

Ricordo soprattutto le leggi e le pratiche avvilenti e distruttive dell’era Jim Crow, che è durata fino alla mia adolescenza. Le leggi Jim Crow erano un insieme di leggi statali e locali che legalizzavano la segregazione razziale. Queste leggi coprirono un periodo di circa 100 anni a partire dal 1865, dopo la Guerra Civile e la ratifica del Tredicesimo Emendamento alla Costituzione, che avrebbe abolito la schiavitù.

Le leggi Jim Crow furono create per identificare strutture ben precise e mantenere i neri “al loro posto”. Furono concepite per emarginare gli afroamericani, negando loro il diritto di votare, di lavorare, di ricevere un’istruzione e di usufruire delle opportunità offerte dalla nazione. Chiunque tentasse di sfidare le leggi Jim Crow veniva sottoposto ad arresti, multe pecuniarie, pene detentive, violenze e persino alla morte.

È essenziale riconoscere che il razzismo non è un’anomalia sociale di un’ideologia o di una perversione individuale, ma piuttosto una combinazione di strutture sistemiche e politiche, nonché di leggi che perpetuano le disuguaglianze e i risultati oppressivi basati sull’etnia, sul colore della pelle e su altri fattori legati o assegnati alla razza, con gli individui che agiscono all’interno di questi costrutti.

 

I primi ricordi

Prima di cominciare la terza elementare, i miei genitori mi informarono che avrei frequentato una nuova scuola. Ricordavo che i miei amici bianchi del nostro quartiere frequentavano quella scuola, mentre io frequentavo una scuola per persone nere, un po’ più lontana ma comunque raggiungibile a piedi. Quando mi dissero dove sarei andata a scuola, non mi opposi. Era più vicino a casa e avevo già degli amici lì. Questa decisione seguiva la sentenza “Brown contro l’ufficio scolastico di Topeka” del 1954, che era stata applicata anche a Louisville, nel Kentucky, la mia città natale.

Sentivo che sarebbe stata una nuova avventura per me. I miei genitori lo sapevano bene, ma non volevano allarmarmi sul fatto che nella nostra città e nel nostro quartiere c’era chi non vedeva di buon occhio che io e i miei amici neri frequentassimo la scuola per soli bianchi. Andavo a scuola con i capelli raccolti in trecce e nastri graziosi, portando con me la cartella e il cestino del pranzo. Non c’erano folle inferocite, ma i miei genitori non si fidavano della calma apparente. Mi sorprese scoprire che mi accompagnarono tutti i giorni; mentre io pensavo di andare a scuola da sola, per i primi periodi loro mi seguirono di nascosto. Durante tutto il tragitto, non si facevano vedere, per farmi credere di essere da sola. Volevano che sviluppassi un senso di sicurezza, di indipendenza e di coraggio di fronte alla paura, pronta ad affrontare nuove sfide. Fu un anno positivo perché la mia insegnante, una donna bianca cristiana del Sud, mi mostrò amore, mi fece sentire apprezzata e mi protesse da alcuni dei lati più brutti della desegregazione.

In prima media dovevo rappresentare la mia classe e la mia scuola a livello statale e nazionale; mi avrebbero scattato una foto che avrebbe fatto parte di una raccolta dei risultati scientifici degli studenti. Ero felicissima. Dal momento in cui avevo ricevuto un piccolo set di chimica per Natale, avevo pensato che sarei potuta diventare una ricercatrice. Ora anche il mondo esterno mi avrebbe vista così. Arrivò il giorno in cui il team del Dipartimento di Stato per l’Educazione venne a fare le fotografie. Tutto andò bene. Ero soddisfatta del mio risultato e lo era anche la mia insegnante. Ma più tardi fui chiamata alla cattedra dall’insegnante, che mi spiegò che c’era stato un problema con la fotografia e che bisognava rifarla. Continuò a spiegare come meglio poteva, ovviamente non senza difficoltà, che sarebbe stata la mia compagna di laboratorio, la mia migliore amica, a essere fotografata in rappresentanza della nostra classe. Lei era bianca.

Questo razzismo era più sottile di quello di una folla agitata, ma era più devastante se proveniva dalla mia insegnante e dai leader del nostro sistema educativo. Come undicenne, conoscevo la vera motivazione dietro questa scelta: una ragazza nera non poteva essere il volto del distretto scolastico o dello stato. In quel momento, vero o falso che fosse, ho appreso che una bambina nera di Louisville, nel Kentucky, non poteva diventare una ricercatrice. Quel giorno è morta una piccola scienziata.

Gli studi hanno dimostrato che il razzismo è spesso definito come pregiudizio individuale. Ma, in realtà, il razzismo è impresso in artefatti culturali, discorsi teologici, realtà istituzionali, idee storicamente derivate e modelli culturali, che contribuiscono tutti alle attuali disuguaglianze razziali. Anche la chiesa avventista ne è stata colpita.

 

Una storia sfortunata

Nel 1918 la Conferenza Generale degli avventisti del settimo giorno istituì una mensa per i dipendenti e per gli ospiti. Arriviamo al 13 agosto 1941. Gli ufficiali della Conferenza Generale si riunirono in merito a una lettera indirizzata alla signorina Arthelia Watlington. I verbali rivelano che la signorina Watlington era una stenografa universitaria chiamata a lavorare presso l’ufficio della Conferenza Generale per G. E. Peters (allora direttore dell’opera in favore dei neri). La lettera spiegava che avrebbe dovuto portarsi il pranzo, poiché la mensa non serviva le persone di colore.

Nel marzo 1949 il Comitato della Conferenza Generale e la rivista Review and Herald si riunirono per discutere della mensa. Studiarono la politica relativa al consumo della mensa. Si parlò di come la presenza di membri di colore avrebbe potuto rappresentare un problema, vista la regola presente fino a quel momento. I verbali riportano l’accordo per consenso in cui si afferma che la mensa doveva servire tutti i lavoratori delle istituzioni avventiste, i lavoratori sul campo e gli studenti del seminario, indipendentemente dal colore o dalla razza.

Ma non è finita qui. Il titolo di un giornale afroamericano di Baltimora del 1° aprile 1951 è molto eloquente. Il titolo recita: “Gli avventisti scoprono che la religione non riesce a controllare le leggi Jim Crow”. E continuava: “Lunedì alcuni importanti avventisti del settimo giorno hanno scoperto che il pensiero di Jim Crow non conosce limiti religiosi. Dopo la cena nella mensa vegetariana avventista di Takoma Park, che in precedenza serviva solo bianchi, a loro [un gruppo di neri] è stato detto, in effetti, di non tornare più. Il vicedirettore della caffetteria ha detto che la loro presenza avrebbe potuto scoraggiare gli avventori bianchi”. La caffetteria in questione si trovava nell’edificio della rivista Review and Herald.

 

Cosa avrebbe fatto Gesù?

Gesù sfidò l’ordine sociale del suo tempo. Abbatté i muri dei pregiudizi che prescrivevano sfere di relazioni accettabili e affrontò direttamente i peccati del razzismo nelle sue molteplici forme. In effetti, ciò lo spinse in Samaria, dove ebbe un appuntamento divino con una donna samaritana. In quell’incontro Gesù superò i pregiudizi nazionali, razziali, etnici, tribali, di genere, di classe sociale, religiosi e storici.

Noi, come membri della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per distinguere noi stessi e la chiesa dall’eredità di quello che chiamerei bigottismo biblico: la storia radicata del razzismo e della separazione che è stata perpetrata nel mondo dal cristianesimo e da altre religioni mondiali per placare i razzisti nei loro sforzi di mantenere l’illusione della supremazia razziale o etnica, il controllo sociale e il vantaggio economico sugli altri popoli del mondo. Siamo portatori della Parola. Dobbiamo sforzarci con tutto il cuore e con tutte le nostre risorse per distinguerci da questa forma di cristianesimo.

Dobbiamo riconoscere, come chiesa globale e diversificata, che siamo impegnati a essere agenti di pace e di riconciliazione nella società, modellando e sostenendo la verità biblica sulla nostra comune ascendenza. Dobbiamo riconoscere che siamo ambasciatori in questo mondo diviso, pronti a portare parole di riconciliazione, a sostenere e nutrire coloro che sono emarginati e maltrattati a causa del loro colore, casta, tribù o etnia. Inoltre, dovremmo accettare e abbracciare il nostro impegno cristiano di vivere attraverso la potenza dello Spirito Santo come una chiesa attenta e amorevole, fondata su principi biblici.

Alcuni sono nati nella chiesa, ma io sono entrata nella chiesa attraverso lo studio della Bibbia. Ricordo come mi sono sentita quando ho scoperto le verità bibliche. Mi sono innamorata di Gesù. Penso che in qualche modo ci siamo allontanati da questo valore. Abbiamo dimenticato il nostro primo amore. Dobbiamo ritrovare quel primo amore, quel calore, quella passione per Gesù e per ciò che ci chiama a essere e a fare. Se amiamo davvero Gesù, non possiamo odiarci a vicenda. Se crediamo davvero che Gesù è il Figlio di Dio, non possiamo pensare che qualcuno sia inferiore a qualcun altro. Dobbiamo riconoscere l’inganno e il peccato satanico per quello che sono. Dobbiamo convertirci di nuovo, ricominciare da capo e fare tutto ciò che è in nostro potere per essere come Gesù.

 

 

Di Ella Simmons; è stata Vicepresidente generale della Conferenza Generale degli avventisti del settimo giorno. È andata in pensione nel 2022, ma continua a essere una volontaria attiva della chiesa.

Fonte: https://adventistreview.org/magazine-article/in-the-midst-of-racism/

Traduzione: Tiziana Calà

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