Quando Dio si è descritto, si è chiamato “la Parola”

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Che siate credenti praticanti, credenti occasionali o, al contrario, atei, non potete fare a meno di essere colpiti dal fatto che una delle prime immagini di Dio che abbiamo nella Scrittura è un’immagine inaspettata per quei tempi: l’immagine di Dio che scrive.

 

Dio scrive nella lingua degli ebrei appena liberati dall’Egitto e ordina a Mosè, dicendo “scrivi questo fatto in un libro” (Esodo 17:14). Tuttavia, Dio non è l’unico a scrivere. Quando parla delle qualità che il futuro re d’Israele dovrebbe avere, aggiunge che dovrebbe saper scrivere per poter copiare personalmente il libro della Legge (cfr. Deuteronomio 17:18). Poi apprendiamo che anche il sacerdote doveva saper leggere e scrivere, perché a volte doveva scrivere per il servizio del santuario (cfr. Numeri 5:23). E se questo sembra troppo da chiedere agli schiavi liberati da una terra in cui solo una piccola élite sapeva leggere e scrivere, vi ricordo che la legge di Mosè diceva che ogni uomo che voleva divorziare dalla propria moglie doveva “scrivere” un certificato di divorzio per la moglie e consegnarglielo prima di mandarla via (cfr. Deuteronomio 24:1).

In nessun momento la Bibbia sostiene l’idea che la scrittura o la lettura siano riservate a pochi eletti. Al contrario, tutti dovrebbero avere una conoscenza ragionevole in questo campo. La Bibbia parla di scrittura e lettura con la stessa facilità con cui lo facciamo noi oggi, anche se non avevano né carta né strumenti di scrittura sofisticati. Davide scrisse a Ioab (cfr. 2 Samuele 11:14), Ieu scrisse agli anziani della città (cfr. 2 Re 10:1), e anche Izebel scrisse (cfr. 1 Re 21:11); persino il giovane catturato da Gedeone fornì a quest’ultimo i nomi degli anziani della città per iscritto (cfr. Giudici 8:14). Tutti questi casi utilizzano un linguaggio che sembra rendere coloro che vissero allora contemporanei a noi, anche se i personaggi biblici vissero in tempi in cui interi popoli non avevano ancora scoperto questa forma di comunicazione.

Non dobbiamo dimenticare che mentre per la maggioranza dei popoli circostanti l’oggetto più sacro del loro tempio era la statua della loro divinità, per gli ebrei l’oggetto più sacro del santuario era l’arca, nella quale si trovavano due pietre incise su entrambi i lati dal dito di Dio. Per gli ebrei, la scoperta di Dio era legata alla scrittura; il loro Dio era il Dio che scrive. Inoltre, i credenti dell’Antico Testamento erano convinti che Dio scrivesse anche in cielo, tanto che Mosè, per amore dell’onore di Dio, chiese che il suo nome fosse rimosso dal libro scritto in cielo se ciò avesse significato la salvezza per il suo popolo (cfr. Esodo 32:32). Davide sapeva che tutti i giorni voluti per lui erano scritti nel libro di Dio (cfr. Salmo 139:16), e Daniele profetizzò un giorno in cui sarebbe stato pronunciato il giudizio e i libri sarebbero stati aperti (cfr. Daniele 7:10).

Anche il Nuovo Testamento è pieno di riferimenti alla scrittura e alla lettura. Non solo Giovanni chiama Gesù il logosdivino, la Parola che era in principio con Dio e che “era Dio” (cfr. Giovanni 1:1), ma gli autori del Nuovo Testamento scrivono lettere, fanno ricerche approfondite, portano libri e chiamano beati coloro che leggono (cfr. Apocalisse 1:3). Gesù stesso scrive e legge, cita a memoria passi dell’Antico Testamento e riconosce ciò che è “scritto” come autorità suprema nella sua vita (cfr. Matteo 4:4 e non solo). Qui possiamo anche ricordare l’apostolo Paolo, che chiedeva a Timoteo di portargli dei rotoli, “specialmente le pergamene” (2 Timoteo 4:13), e che poteva facilmente citare i poeti greci, suggerendo che i loro scritti non gli erano sconosciuti (cfr. Atti 17:28).

Tuttavia, oltre alla semplice conoscenza delle lettere, la Scrittura aggiunge un elemento indispensabile: la comprensione. “Capisci quello che stai leggendo?”, chiese Filippo all’eunuco etiope che leggeva con attenzione il libro del profeta Isaia (Atti 8:30). A uno studioso interessato alla verità Gesù chiese non solo: “Nella legge che cosa sta scritto?”, ma anche: “Come leggi?” (Luca 10:26).

Tuttavia, nella Scrittura non troviamo solo libri scritti, ma anche libri bruciati. Durante i due anni di permanenza di Paolo a Efeso, alcuni dei nuovi convertiti che in passato avevano praticato la stregoneria portarono i loro libri, del valore di oltre 50.000 pezzi d’argento, e li bruciarono davanti a tutti. Non ci viene detto da nessuna parte che l’apostolo abbia chiesto loro di farlo o li abbia costretti a consegnarli. Fu una loro decisione per dimostrare che non volevano più avere nulla a che fare con quello stile di vita (cfr. Atti 19:19).

Nonostante la prospettiva della Bibbia sul valore della lettura e della scrittura, oggi i cristiani sono talvolta più associati al rogo della famosa Biblioteca di Alessandria e “all’indice dei libri proibiti” che alle immagini sorprendenti di cui sopra. In definitiva, come deve rapportarsi un cristiano alla lettura?

 

Cosa dovrebbe leggere un cristiano?

Alcuni ritengono che i cristiani debbano leggere solo la Bibbia e la letteratura devozionale. Tuttavia, se esaminiamo attentamente la Bibbia, scopriremo che l’enfasi è su cosa leggere piuttosto che su cosa non leggere. Né Gesù né gli apostoli ci hanno fornito un elenco di titoli proibiti. Contrariamente ai pregiudizi odierni, la Bibbia pone l’accento sulla libertà individuale e sulla capacità del lettore di scegliere tra il bene e il male. Come nel giardino dell’Eden, la strada verso l’albero proibito è aperta a chiunque voglia scegliere qualcosa di diverso da ciò che sa essere giusto. Un’idea espressa da Paolo è questa: “Ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è utile” (1 Corinzi 6:12). Dobbiamo riconoscere che non sono solo i cristiani ad avere, o a dover avere, criteri concreti per la scelta delle loro letture. Nessuno crede che ogni libro sia buono per ogni lettore. Quindi la semplice esistenza di criteri di scelta non è una restrizione della libertà, ma proprio la garanzia che la nostra libertà non sarà compromessa.

Pertanto, un principio importante di cui tenere conto nel valutare le nostre letture è il valore che la Bibbia attribuisce all’essere umano, e in particolare alla nostra mente. “Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa”, dice Salomone (Proverbi 4:23), e Paolo afferma che dobbiamo essere “trasformati mediante il rinnovamento della [nostra] mente” (Romani 12:2). Poiché viviamo in un conflitto universale tra il bene e il male, è molto importante che la nostra mente sia in grado di prendere ogni giorno le decisioni migliori. La nostra mente (o cuore, come la chiama la Bibbia) ha bisogno di essere nutrita con quelle letture che possono aiutarla a crescere, a comprendere meglio il mondo che la circonda e a sviluppare prospettive accurate sulla realtà. Ed è qui che entra in gioco il secondo principio: l’unità della verità.

Salomone disse: “Cessa, figlio mio, d’ascoltare l’istruzione, se ti vuoi allontanare dalle parole della scienza” (Proverbi 19:27). Abbracciare l’identità cristiana significa abbracciare un sistema di valori basato sull’autorità della Scrittura. La Scrittura è e deve rimanere lo standard supremo di verità. Certo, non tutti gli autori che leggiamo condivideranno la nostra concezione della verità o del mondo, ma dobbiamo accettare che ciò che leggiamo non ha solo lo scopo di trasmettere informazioni, ma anche di impartire valori e principi di vita. Se questi valori differiscono da quelli che abbiamo adottato e trovato nella Bibbia, vale sempre la pena di valutare se ha senso continuare a leggere, in che misura e per quale scopo.

Un altro criterio da considerare è l’utilità pratica di un testo. La Bibbia dice che “nessuno di noi vive per se stesso” (Romani 14:7). Gesù Cristo ha lanciato al mondo intero la grande sfida di amare Dio e amare il prossimo, che cambia radicalmente il paradigma egoistico della società.

Mentre leggiamo, chiediamoci come ciò che stiamo leggendo possa aiutarci ad amare di più Dio e il nostro prossimo.

Quando leggiamo in questo modo, siamo pieni di entusiasmo nel raccontare agli altri ciò che abbiamo scoperto.

La Bibbia aggiunge anche un criterio estetico alle nostre scelte di lettura. Paolo dice che dobbiamo ispirarci a “tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode” (Filippesi 4:8). Potremmo anche aggiungere l’immagine che Gesù usa nei Vangeli, quella del mercante che cerca “belle perle” (Matteo 13:45). Dobbiamo sviluppare il nostro senso estetico, perché tutto ciò che viene dalla mano di Dio è bello, e le nostre letture devono educarci a pensare in questo modo. Dovrebbero aiutarci a imparare a esprimerci con grazia, a comportarci con gentilezza ed eleganza e a comportarci in modo degno di colui per il quale Dio ha pagato un prezzo così alto.

 

Il modo in cui leggiamo è importante quanto ciò che leggiamo

All’inizio degli anni ‘40 fu pubblicato un libro con un titolo che sarebbe presto diventato un bestseller: “How to Read a Book”, scritto dal professore e filosofo americano di origine tedesca Adler Mortimer. Il libro fu poi sostanzialmente rivisto dall’autore e ripubblicato nel 1972, questa volta in collaborazione con Charles Van Doren. I due libri hanno venduto oltre mezzo milione di copie e hanno ispirato molti altri scrittori da allora e fino ad oggi.

Sorprendentemente, nella prefazione all’edizione riveduta, Mortimer osserva che uno dei problemi fondamentali della società all’epoca del primo volume (1940) rimane lo stesso nell’anno dell’edizione riveduta (1972), ossia che tutta l’educazione formale alla lettura termina con la scuola primaria. Purtroppo la situazione non è diversa nel campo della letteratura religiosa. L’ingresso nella grande famiglia cristiana non comporta automaticamente nuove capacità di lettura. Il cristiano deve quindi sapere non solo cosa leggere, ma anche come leggere.

Per questo dobbiamo ricordare che, dal punto di vista cristiano, Dio è la fonte della verità (cfr. Giovanni 14:6). Le persone hanno una comprensione limitata della verità, quindi dobbiamo mantenere un “concetto sobrio” su noi stessi e sugli altri (Romani 12:3). Per evitare di trarre conclusioni sbagliate, dobbiamo partire dalle giuste premesse. Queste sono la comprensione del contesto in cui l’autore ha scritto, i destinatari originali, il genere letterario dell’opera e l’uso che l’autore fa di alcuni termini chiave. Anche se usiamo la stessa lingua, a volte il significato delle parole può essere diverso per pubblici diversi, o diverso per noi, a seconda del nostro livello di formazione in un determinato campo. Dobbiamo poi prestare attenzione al modo in cui l’autore costruisce le sue argomentazioni, al filo logico del libro.

Spesso siamo così presi dal testo e dalle conclusioni che l’autore trae che non ci accorgiamo che si basano su argomenti come “si dice”, “si crede”, “siamo tutti d’accordo che…”. Dobbiamo considerare le qualifiche degli autori nel campo in cui scrivono e il modo in cui citano il lavoro di altri. La mancanza di citazioni corrette, le citazioni imprecise o l’estrapolazione di affermazioni dal loro contesto originale possono essere segni di disonestà, un argomento abbastanza forte per interrompere la lettura del libro in questione. Infine, ma non per questo meno importante, dobbiamo verificare fino a che punto le conclusioni o le raccomandazioni sono accurate e attuabili, e la direzione in cui tendono a portarci.

 

Non si vive di solo pane

La lettura è senza dubbio più di un esercizio rilassante. È una sfida al cambiamento. Ogni libro è un incontro con l’autore e con i personaggi o i protagonisti del libro e, volenti o nolenti, scambiamo con loro idee, valori e prospettive di vita.

Per questo abbiamo bisogno dei libri, per vedere il mondo con gli occhi degli altri, per capirlo meglio, per essere utili agli altri e per imparare a essere felici. La scrittura è anche, parafrasando Michelangelo, un’ala che Dio ci ha lasciato per raggiungerlo. I cristiani possono essere orgogliosi di avere un Dio appassionato di scrittura e possono dimostrare il loro senso di orgoglio attraverso buone abitudini di lettura e scrittura. Solo così impareranno a usare quest’ala per volare verso il cielo.

 

 

Di Adrian Neagu, che ritiene che la nostra spiritualità sia direttamente influenzata dalle nostre abitudini di lettura.

Fonte: https://st.network/analysis/top/when-god-described-himself-he-called-himself-the-word.html

Traduzione: Tiziana Calà

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