La libertà religiosa in tempo di crisi

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La chiesa avventista mondiale risponde ad alcune domande sulla limitazione dei diritti civili nell’emergenza coronavirus.

 

Il Dipartimento Affari Pubblici e Libertà Religiosa (Aplr) della chiesa avventista mondiale ha ricevuto in queste settimane numerose domande sulla situazione particolare che tutti i Paesi vivono a causa della diffusione del coronavirus. Molti esprimono preoccupazione per le limitazioni alla libertà decise per bloccare il contagio. È importante quindi dare delle risposte.

Ecco cosa scrivono i dirigenti del Dipartimento Parl mondiale.
Mentre le autorità di tutto il mondo sono impegnate a contenere la diffusione globale del Covid-19, i governi di ogni livello – da locale a nazionale – hanno emesso nuove direttive e, in alcuni casi, senza precedenti, che toccano quasi ogni aspetto della nostra vita quotidiana. In molti Paesi, i governi hanno chiuso le attività non essenziali e limitato le riunioni pubbliche o le hanno vietate. In molti casi, hanno emesso ordinanze di rimanere a casa, che vengono applicate dalla legge.

Per coloro che sostengono i diritti civili, in particolare la libertà di religione o di credo, la realtà attuale solleva domande difficili. Fino a che punto e per quali motivi uno Stato può limitare la libertà di riunione, di movimento e altre libertà fondamentali? Un governo può davvero vietare gli incontri religiosi di persona e inviare la polizia per interrompere le adunanze della chiesa? Ciò non solleva gravi preoccupazioni per la libertà religiosa?

Nel corso delle ultime settimane, l’ufficio del Dipartimento Affari Pubblici e Libertà Religiosa della chiesa avventista mondiale ha ricevuto molte domande su quando e fino a che punto uno Stato può legittimamente limitare le libertà civili, compresa la libertà religiosa. Di seguito le risposte ad alcune delle domande più frequenti, insieme a quei principi che possono aiutare a comprendere i diritti civili nell’emergenza coronavirus.

 

Il governo non ha la responsabilità di proteggere i diritti civili fondamentali, incluso il mio diritto di credere secondo i dettami della mia coscienza e il mio diritto di riunirmi con gli altri per il culto?
Sì. Secondo la legge internazionale dei diritti umani, è chiaro che proteggere la libertà religiosa e altri diritti civili connessi è una responsabilità fondamentale dello Stato. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr), importante trattato internazionale ratificato da oltre 170 Paesi, elenca molti di questi diritti, tra cui la libertà di movimento (articolo 12), che è il diritto di lasciare qualsiasi Paese, di entrare nella nazione di appartenenza e di muoversi liberamente all’interno dei confini di qualsiasi Paese in cui si è legalmente presenti. Vi è anche il diritto di riunione pacifica e di libertà di associazione (articoli 21 e 22). E per coloro che sostengono la libertà religiosa, l’articolo 18 contiene una libertà cruciale: il “diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”. Secondo il Patto internazionale, “tale diritto include la libertà di avere o di adottare una religione o un credo a sua scelta, nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, e sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell’osservanza dei riti, nelle pratiche e nell’insegnamento”. Questi diritti civili fondamentali si riflettono anche, spesso con un linguaggio simile, nelle Costituzioni nazionali di molti Paesi del mondo.

 

Quindi, come può un governo vietare le riunioni religiose?
Brevemente possiamo dire che alcuni diritti civili fondamentali, compresi alcuni diritti di libertà religiosa, non sono assoluti in ogni circostanza. Mentre il governo della coscienza e delle convinzioni religiose non può mai essere imposto dallo Stato, ci sono alcune circostanze in cui la capacità di qualcuno di agire su tali convinzioni può, di fronte a una fondamentale necessità pubblica, essere soggetta a restrizioni ragionevoli e adeguatamente definite. Questa distinzione – tra coscienza interiore e azioni esterne – ha profonde radici nel diritto e nella filosofia ed è attualmente espressa sia nel diritto internazionale sia nelle legislazioni di molte nazioni.

Quale sorta di interesse pubblico potrebbe giustificare un’interferenza governativa così straordinaria? L’articolo 18 dell’Iccpr afferma che la libertà di agire secondo le proprie convinzioni può essere “sottoposta unicamente alle restrizioni previste dalla legge e che siano necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico e della sanità pubblica, della morale pubblica o degli altrui diritti e libertà fondamentali”.

Disposizioni simili si trovano in molte Costituzioni nazionali, in cui un interesse pubblico convincente può dare all’autorità statale di imporre limiti ai diritti civili, incluso il diritto di esercitare la propria libertà religiosa.

Pertanto, di fronte a una pandemia globale, senza precedenti negli ultimi tempi, possono essere giustificati limiti alle dimensioni degli incontri pubblici e restrizioni alla libertà di movimento – misure che sono motivate da gravi problemi di salute pubblica – anche se tali limitazioni incidono sulla possibilità che i credenti si riuniscano per il culto.

La maggior parte delle comunità religiose ha prontamente accettato queste restrizioni come parte del più ampio sforzo comunitario per combattere la diffusione di Covid-19. Le persone di fede, in quanto membri premurosi e responsabili della società, sono pronti a fare tutto il necessario per allentare la pressione sulla sanità pubblica e proteggere le persone particolarmente vulnerabili alle malattie, e quindi accettano volentieri i limiti temporanei sulla possibilità di riunirsi “come al solito”.

 

Ma questo non apre la possibilità a un governo di esagerare o abusare del suo potere, e arrivare a limitare la libertà religiosa in modi non giustificati?
Sebbene, in base al diritto internazionale e alle leggi di molte nazioni, uno Stato possa limitare un diritto civile nell’interesse della sicurezza pubblica o del benessere, ciò non significa che questo potere sia illimitato o che uno Stato sia autorizzato a esercitarlo in modo arbitrario e discriminatorio.

In base alla Dichiarazione universale dei diritti umani, all’Iccpr e ad altri trattati internazionali che difendono i diritti umani, i tribunali hanno definito dei criteri per determinare se le azioni dei governi che limitano le libertà sono legittimi. Allo stesso modo, i tribunali della maggior parte delle nazioni applicano test specifici per garantire che le restrizioni ai diritti civili costituzionalmente protetti siano legali. Sebbene la formulazione e i metodi di questi test differiscano da Paese a Paese, in termini molto generali tendono ad essere modellati da alcuni principi chiave. Le restrizioni ai diritti civili saranno, in generale, legittime se sono necessarie per soddisfare un interesse pubblico convincente, se sono proporzionate alla necessità e al modo meno invadente per rispondere a tale necessità e se non sono discriminatorie negli intenti e nell’applicazione.

Nell’attuale pandemia, quindi, qualsiasi restrizione alle libertà civili deve, in generale, essere rigorosamente concepita e direttamente collegata a un obiettivo legittimo di salute pubblica, attuata in modo uniforme, ed essere il mezzo meno restrittivo possibile per salvaguardare la salute di tutti.

È, certamente, una linea sottile che i governi devono percorrere nel tentativo di sostenere le libertà civili e di agire in modo responsabile per tutelare la salute pubblica. E non sono decisioni facili da prendere.

Tuttavia, qualsiasi uso dell’emergenza Covid-19 come copertura per colpire una particolare minoranza religiosa o etnica, o per sopprimere le voci dissenzienti, non può mai essere giustificato. Inoltre, una sospensione radicale e di durata indeterminata dei diritti civili da parte di un governo, in modi non collegati alle questioni di salute pubblica, rappresenta anche un uso pericoloso e illegittimo del potere statale. In alcune parti del mondo, i timori di abusi governativi non sono immaginari, ma sono già documentati.

Le persone di fede possono aiutare, in questo momento difficile, accettando restrizioni legittime e temporanee, rimanendo vigili su abusi o discriminazioni nei confronti di qualsiasi gruppo di minoranza e sostenendo il pieno ripristino dei diritti civili ogni volta che le restrizioni siano revocare in sicurezza.

 

Oltre alle restrizioni della libertà di riunirsi per il culto, l’attuale crisi Covid-19 solleva altre questioni relative agli affari pubblici della nostra chiesa e al ministero della libertà religiosa?
Sì. Esistono diverse situazioni che la pandemia Covid-19 ha creato o esacerbato, che dovrebbero riguardare le persone di fede.
– Stereotipi razziali, molestie e bullismo.
– Comunità vulnerabili.

Nel corso della storia, in tempi di crisi, una reazione umana istintiva è stata spesso la stigmatizzazione e cercare un capro espiatorio, ciò ha portato a tragici risultati. Oggi vediamo in gioco dinamiche simili e, da quando il Covid-19 ha iniziato ad attirare l’attenzione globale, si è verificata un’esplosione di casi di abuso e discriminazione nei confronti di coloro che sono di fisionomia asiatica.

Cosa possiamo fare? Combattiamo voci, teorie complottiste e l’uso del linguaggio stigmatizzante. Non ci sono giustificazioni per qualsiasi tentativo, diretto o indiretto, di collegare l’attuale pandemia a un particolare gruppo etnico o razziale. Sebbene l’origine del virus sia stata collegata a una posizione geografica, ciò non significa che le persone appartenenti a un particolare gruppo etnico siano a maggior rischio di infezione o di diffusione del coronavirus. È semplicemente sbagliato usare etichette dispregiative razziali o etniche, incolpare un qualsiasi gruppo per il virus o trattare le persone di origine asiatica in modo diverso; e non deve essere mai tollerato. Tali azioni sono incompatibili con una visione biblica del mondo, in cui ogni essere umano è un figlio speciale e molto amato del Creatore.

Abbiamo l’opportunità, in questo momento difficile, di parlare per coloro che subiscono discriminazioni e stigmatizzazioni, e di promuovere un discorso civile che sia definito dalla compassione e dal rispetto per la dignità umana.

Esistono numerosi gruppi particolarmente vulnerabili al Covid-19. Le organizzazioni umanitarie attirano già l’attenzione sul potenziale disastro che si profila negli affollati centri di detenzione per immigrati e nei campi profughi di tutto il mondo, dove le distanze sociali e le buone pratiche igieniche sono quasi impossibili. La vita di uomini, donne e bambini, intrappolati in una terra di nessuno legale, dipende totalmente dalle decisioni delle autorità pubbliche di adottare misure immediate per garantire la loro sicurezza e fornire un’adeguata assistenza sanitaria. Possiamo e dobbiamo parlare a loro nome. Hanno pochissimi modi per far sentire la propria voce, ma possiamo difenderli con i nostri leader pubblici e rappresentanti eletti.

Allo stesso modo, le persone che vivono in comunità povere hanno un maggiore rischio di infezione perché le loro abitazioni sono affollate, dipendono dai trasporti pubblici e hanno necessità di continuare a lavorare indipendentemente da rischi e pericoli. E se si ammalano, coloro che sono intrappolati nella povertà hanno meno possibilità, rispetto ad altri, di avere accesso a un’assistenza sanitaria di qualità. Chi vive in comunità a basso reddito ha maggiori probabilità di essere esposto al virus, peggiori conseguenze sulla salute e grandi difficoltà economiche. Tutto ciò deve far riflettere.

Le organizzazioni che distribuiscono alimenti e forniscono assistenza ai senzatetto e alle persone a basso reddito suonano già il campanello d’allarme poiché la domanda per i loro servizi è cresciuta notevolmente.

Cosa fare? Possiamo offrire sostegno finanziario o di altro tipo alle associazioni locali e alle organizzazioni umanitarie internazionali come l’Agenzia Avventista per lo Sviluppo e il Soccorso (Adra). Possiamo anche esortare i leader eletti a dare priorità ai bisogni di coloro che sono a basso reddito nella nostra società.

 

Conclusione
In tempi difficili come questo, è facile essere condizionati dalla paura: per le proprie famiglie, per la salute e per ciò che il futuro potrebbe portare. “Prego” conclude il direttore Parl della chiesa mondiale “affinché nel rispondere alle sfide nella pandemia Covid-19, come chiesa e come singoli seguaci di Cristo, scegliamo di impegnarci con compassione e con il desiderio di essere sale e luce nella nostra società ferita. Al posto della paura, possa la pace di Dio, che trascende ogni comprensione, custodire i nostri cuori e le nostre menti (cfr. Filippesi 4: 6-7) mentre affidiamo le nostre ansie a Colui che ha il futuro nelle sue mani”.

 

 

Fonte: Il Messaggero Avventista

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