Lamentarsi o essere grati? A noi la scelta, in ogni momento, qualunque cosa accada.
Siamo così abituati alla lamentela che non ne riconosciamo nemmeno la presenza nelle nostre relazioni. Lamentarci è diventato parte di noi e, stando alle voci che circolano su Internet, ha delle conseguenze. Il brontolio ha il potere di distruggere i nostri neuroni.
Una ricerca online molto citata afferma che dovremmo prendere sul serio l’avvertimento dei sociologi di Stanford; anche mezz’ora di piagnucolio al giorno – fatto o ricevuto – è in grado di danneggiare in modo irreversibile i neuroni dell’ippocampo, “la parte del cervello adibita alla risoluzione dei problemi e alle funzioni cognitive”, come osserva, tra gli altri, FastCompany.
Il fatto, però, che l’ippocampo non sia coinvolto nella risoluzione dei problemi, bensì nell’immagazzinamento e nel recupero (cioè nella memorizzazione di nuove informazioni e nel trasferimento di ricordi recenti alla memoria a lungo termine) getta un dubbio su questo allarme che, nel frattempo, è già diventato virale. E a ragione. Una ricerca più approfondita su Google rivela che il titolo, accattivante nel suo mix di informazione e allarme, è in realtà un grossolano travisamento dei dati.
Cosa dice in realtà lo studio
Lo studio di Stanford non riguardava lamentele e stress quotidiani, ma lo stress che aveva raggiunto livelli cronici: la pressione costante che riscrive i parametri della nostra vita e li pone sotto il segno dell’ansia. Le lamentele sono effettivamente uno dei fattori che talvolta contribuiscono ad aumentare lo stress di ogni giorno, ma non erano l’oggetto del report. Inoltre, secondo l’autore, la ricerca non trae nemmeno conclusioni definitive sugli effetti dello stress. Il prof. Robert Sapolsky, coordinatore dell’indagine ha dichiarato che i risultati attuali “non provano che lo stress causi il restringimento del cervello”. Sono necessari altri studi a lungo termine prima di poter arrivare a una conclusione del genere, “magari analizzando il cervello dei soldati prima e dopo il coinvolgimento in una guerra”.
D’altra parte, è curioso il collegamento tra il piagnisteo e lo stress – che nessuna delle fonti “virali” sopra citate nega – dato che studi seri affermano che la lamentela è, in realtà, un meccanismo con cui cerchiamo di alleviare lo stress, non di esacerbarlo.
Perché ci lamentiamo
Una ricerca pubblicata nel 1992 aveva lo scopo di stimolare l’analisi empirica sul motivo per cui ci lamentiamo. Quali sono le sue funzioni nella comunicazione sociale?
I ricercatori hanno iniziato con un piccolo esperimento e hanno chiesto agli studenti di tenere un diario delle loro lamentele per tre giorni consecutivi, due volte nel trimestre. Gli studenti dovevano registrare l’oggetto della loro lamentela, il motivo per cui l’avevano espressa e la risposta che aveva suscitato. L’analisi dei diari ha mostrato che oltre il 75% delle lamentele non era di natura strumentale, cioè non erano finalizzate a cambiare una situazione particolare, ma si concentravano piuttosto sull’esprimere frustrazione o sul suscitare l’empatia degli altri. In altre parole: autocommiserazione.
Una delle funzioni del lamentarsi è quella di liberarci emotivamente dalla frustrazione. Non necessariamente dalla sua fonte, ma dal peso dei sentimenti negativi che provoca in noi; un piccolo sfogo. In stretta relazione, quando la fonte della frustrazione è associata a un evento, o a una situazione che sfugge al nostro controllo, lamentarsi può essere un modo per cercare di recuperare la sensazione di non aver mollato le redini. Lamentarsi, però, può anche contribuire indirettamente al controllo se, influenzando chi ascolta, modifica il suo comportamento nei confronti della fonte di frustrazione.
Secondo i ricercatori, spesso le lamentele sono finalizzate a ottenere comprensione dagli altri, a cercare la convalida o “l’accordo dell’ascoltatore con l’interpretazione soggettiva degli eventi da parte di chi si lamenta”; ma può anche darsi che, chi si lamenta, lo faccia per dire agli altri che una particolare situazione, un comportamento o altro, è al di sotto delle sue aspettative.
È interessante notare che, su una gamma di sei risposte possibili (accordo, disaccordo, empatia, tentativo di risolvere il problema, distacco e nessuna risposta) e sebbene l’oggetto del lamento variasse molto, da “obblighi” a “delusione” e da “ostacoli” a “desiderio di cambiamento”, la risposta più comune era “accordo” (nel 94% dei casi).
Stress e gratitudine
Uno studio pubblicato nel 2003 ha ribadito le conclusioni tratte dagli psicologi già negli anni ’80, quando avevano iniziato a osservare correlazioni tra gli atteggiamenti positivi e di apprezzamento, e la qualità della vita delle persone. Tuttavia, come ogni studio correlazionale (metodologia di ricerca che mira a osservare se due variabili sono correlate tra loro, ndr), l’inconveniente della vecchia ricerca consisteva nel fatto di non riuscire a stabilire quale fosse l’influenza: se la gratitudine producesse benessere o se il benessere producesse gratitudine.
Lo studio del 2003 ha proposto un modo nuovo per fare chiarezza: ha cercato un sistema più semplice e meno ambiguo per determinare la relazione causale, impostando un esperimento basato sulla relazione. I ricercatori hanno assegnato a caso oltre 100 studenti universitari a tre gruppi. Il primo gruppo è stato incaricato di elencare cinque cose per cui era stato grato nell’ultima settimana, e di farlo per dieci settimane consecutive. Il secondo gruppo ha elencato cinque aspetti che li aveva irritati ogni settimana, mentre il terzo gruppo ha registrato cinque eventi accaduti nello stesso periodo di tempo. Alla fine, i ricercatori hanno misurato il benessere mentale dei partecipanti utilizzando diversi indicatori e hanno scoperto che il gruppo che prendeva nota delle proprie benedizioni aveva una resistenza mentale e un benessere generale significativamente migliori rispetto agli altri due gruppi.
Uno studio condotto su un piccolo numero di persone (45), pubblicato nel 1998, ha affermato che l’eliminazione del pensiero negativo abituale (cioè il tornare ripetutamente su un tema negativo “preferito”) ha ridotto del 23% i livelli di cortisolo nel sangue. Alcuni hanno indicato che la pratica della gratitudine deve avere lo stesso effetto, ma questa ipotesi non ha potuto essere verificata in uno studio successivo su un numero maggiore di soggetti (119), pubblicato nel 2016. Tuttavia, ricerche più recenti hanno riscontrato nuovamente un miglioramento della qualità di vita complessiva attraverso una migliore qualità del sonno e una riduzione della pressione sanguigna.
La cultura della gratitudine
Non dobbiamo aspettarci che la gratitudine sbocci in mondo naturale dal cuore, in ogni circostanza. Deve essere coltivata e praticata per creare un percorso neurale che si traduca nell’abitudine di essere grati piuttosto che insoddisfatti.
Il prof. Robert Emmons dell’Università di Yale, autore del libro Gratitude as a Psychotherapeutic Intervention (La gratitudine come intervento psicoterapeutico), riassume tre consigli pratici per dare inizio a una vita più grata.
“Uno dei primi passi nella pratica della gratitudine è l’attenzione” afferma il professore. Iniziate a notare tutte le cose della vostra vita che date per scontate. Avete dormito bene? Qualcuno è stato gentile con voi? Avete guardato il cielo e vissuto un momento di tranquillità? Notate tutte queste cose e raccoglietele come un tesoro di positività. Ma, sottolinea l’insegnante, ricordate che prestare attenzione significa anche riconoscere che i momenti difficili o dolorosi possono essere istruttivi per la vostra vita, in modo da potere essere grati anche per quelli.
Scrivete in un diario o in una lettera i vostri motivi di gratitudine. Questa pratica vi aiuterà a organizzare i pensieri, ad accettare le esperienze, a contestualizzarle e a ricordarle nei momenti più complicati. Un diario della gratitudine vi porterà a estrarre, o a dare un significato, alle esperienze quotidiane. Se le considerate come doni, le incornicerete e darete loro un bellissimo senso.
Quando è espressa, la gratitudine ci mette in relazione con gli altri. Se ci fermiamo un attimo a pensare, sicuramente individueremo le tante persone che hanno reso la nostra vita migliore di quella che sarebbe stata senza di loro. Condividere la nostra gratitudine, se siamo in grado di farlo, è una situazione di reciproco vantaggio per noi e per loro.
Gli scienziati devono ancora esplorare fino a che punto le lamentele, come meccanismo adattivo, riducano effettivamente lo stress. Ma fino ad allora, approfittiamo di ciò che già sappiamo con certezza: l’opposto del lamentarsi, cioè esprimere gratitudine, ha benefici per la salute.
Sì, la gratitudine non è probabilmente il rimedio definitivo per l’inquietudine interiore del presente. Siamo lieti, però, per il suo effetto: vale la pena praticarla ogni giorno, anche se a volte non è solo la mancanza di gratitudine a ostacolarci, ma qualcosa di così contraddittorio come una moltitudine di scelte.
Di Alina Kartman
Fonte: https://hopemedia.it/come-la-gratitudine-puo-salvarci-da-noi-stessi/
Traduzione: V. Addazio