Depressione e sistema immunitario

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“A colui che è fermo nei suoi sentimenti tu conservi la pace, la pace, perché in te confida”, scriveva il profeta Isaia; alcuni sono giunti alla conclusione che coloro che non sperimentano la pace lo fanno perché non hanno una mente sana o una fede salda.

 

La pace o, in senso più ampio, il benessere emotivo, si basa su un sistema di sostegno in cui ragione e fede risultano complementari. Ma questi due elementi non raccontano l’intera storia. E questo è più facile da osservare nel dolore emotivo che i servitori di Dio sperimentano.

La vocazione di pastore non mette al riparo da eventuali disturbi emotivi. Infatti, una ricerca (americana) mostra che i servitori di Dio soffrono di depressione come qualsiasi altro membro della popolazione mondiale. I pastori sono ancora più esposti a certi fattori di stress che la popolazione generale non è costretta ad affrontare.

Un nuovo studio è stato recentemente pubblicato dall’AdventHealth University in collaborazione con l’ospedale avventista Altamonte Springs. Questa ricerca offre ai ministri di culto appartenenti a qualsiasi denominazione cristiana l’opportunità di partecipare a uno studio regionale incentrato sullo stato emotivo dei ministri di culto nello stato sudorientale della Florida.

“All’interno e all’esterno dei luoghi di culto, i leader religiosi svolgono un ruolo significativo nella vita di molte persone. Sono una spalla su cui piangere e una fonte di ispirazione”, ha dichiarato Orlando Jay Perez, vicepresidente della rete sanitaria AdventHealth. “Per questo è importante che anche i loro bisogni mentali, spirituali ed emotivi vengano soddisfatti, e il nostro desiderio riguardo a questo studio è che aumenti la comprensione di questi bisogni”.

“Le condizioni di malessere mentale ed emotivo sono in aumento e coinvolgono moltissime persone”, ha dichiarato Martin Shaw, ricercatore principale dello studio. “Sebbene il gruppo dei ministri di culto sia una categoria poco studiata, è fondamentale acquisire una maggiore conoscenza del suo benessere mentale ed emotivo e dei modi per attenuare i problemi presenti. Il nostro obiettivo finale è capire meglio come prendersi cura e sostenere i ministri di culto e le comunità che servono”.

Il ricercatore ha anche dichiarato che lui e il suo team prevedono risultati che riveleranno che i pastori/sacerdoti sono una categoria che necessita di interventi relativi alla salute e al benessere generale.

 

I pastori e il malessere mentale

Uno studio di LifeWay Research ha evidenziato il fatto che la salute mentale dei pastori negli Stati Uniti non è affatto migliorata, statisticamente, nell’arco di 10 anni, fino al 2014, quando la ricerca è stata pubblicata. Secondo questo studio, all’epoca più di un pastore su cinque aveva a che fare con un qualche tipo di disturbo mentale.

Un altro studio, condotto dal reverendo Andrew Irvine del Knox College di Toronto, in Canada, ha sondato le opinioni di diversi ecclesiastici anglicani, presbiteriani, luterani, battisti e pentecostali. Sono stati inviati più di 1.250 sondaggi al 30% degli ecclesiastici canadesi appartenenti alle denominazioni citate. I ricercatori hanno ricevuto circa 338 risposte e i risultati sono stati tutt’altro che positivi.

La maggior parte degli intervistati ha dichiarato di sentirsi sola, insoddisfatta ed esausta a causa delle lunghe ore di lavoro. Alcuni hanno addirittura parlato di una vera e propria “crisi d’identità”, dicendo di sentirsi direttori piuttosto che pastori.

La maggior parte degli intervistati ha dichiarato di avere due giorni di riposo nel proprio contratto di lavoro, ma di averli trascorsi per lo più lavorando. La mancanza di tempo libero è stata associata nello studio alla convinzione di alcuni pastori di “essere indispensabili e che la chiesa crollerebbe in loro assenza”.

Un altro studio pubblicato qualche anno fa, condotto su 1.726 pastori metodisti dello stato americano della Carolina del Nord, ha completato l’immagine sopra descritta: il tasso di ansia dei pastori raggiunge il 13,5%, di cui il 7% soffre di depressione oltre che di ansia – una possibile causa di questi risultati è il fatto che “i pastori hanno creato uno stile di vita così profondamente legato al loro ministero che il loro stato emotivo dipende dalla salute del loro ministero”.

“È inquietante che una percentuale così alta di ministri di culto soffra di depressione mentre cerca di ispirare le proprie chiese e i propri fedeli, guidando comunità e programmi di cambiamento sociale o anche cercando di fornire consulenza ai membri delle proprie comunità”, ha dichiarato la coordinatrice della ricerca, Rae Jean Proeschold-Bell. “Preferiremmo affidare questo tipo di responsabilità a una persona senza alcun disturbo a livello mentale, anche se è molto probabile che proprio la sfida che queste responsabilità comportano possa essere la causa di questi alti tassi di depressione”, ha concluso la ricercatrice.

 

Nessuno si vergogna di prendere un raffreddore

La religione non dovrebbe proteggere sia i pastori sia i fedeli dalla depressione?

Uno dei più rinomati ricercatori che studiano il rapporto tra religione e salute mentale, Kenneth Pargament, sostiene che la religione può permettere alle persone di scoprirsi più forti dopo aver attraversato un evento stressante o addirittura traumatico. Ma lo stesso scienziato, che è professore emerito di psicologia presso la Bowling Green University nello Stato dell’Ohio, avverte che non tutti gli approcci religiosi nei confronti dello stress sono benefici.

Kenneth Pargament ha individuato tre tipi di strategie con cui i credenti utilizzano la religione per affrontare le situazioni difficili. La prima strategia delega a Dio l’intera responsabilità di risolvere il problema (deferente); la seconda strategia attribuisce tutta la responsabilità all’individuo, che può scegliere di usare il potere che Dio gli ha dato per risolvere il problema da solo (auto-direttiva); la terza strategia è quella collaborativa, in cui l’individuo e Dio collaborano insieme per risolvere il problema.

Secondo gli studi, i maggiori benefici psicologici si ottengono adottando la terza strategia. Questa è stata correlata a un livello più alto di autostima e a un livello più basso di depressione, probabilmente anche perché comporta un’interazione positiva con la religione, enfatizzando il potere benefico (anziché punitivo) di Dio, che perdona e aiuta.

Il numero di studi che dimostrano che la religione può essere un alleato per affrontare i problemi della vita è in continuo aumento. Tuttavia, a causa della mancanza di una comprensione sfumata di questo beneficio, molti pensano che la religione sia o debba essere sufficiente per trattare qualsiasi tipo di problema di salute.

L’identificazione delle cause fisiologiche della depressione aiuta a smorzare questo disturbo. Anche se la psichiatria è ancora lontana dallo stabilire in modo inequivocabile le misure per i disturbi mentali, i progressi compiuti finora invitano a riconoscere senza mezzi termini la depressione come una malattia che non dipende dalla volontà di una persona e nemmeno da squilibri chimici, come si è creduto per decenni. “L’idea di uno squilibrio chimico appartiene a schemi di pensiero del secolo scorso”, ha affermato il neurologo Joseph Coyle, della Harvard Medical School. “Le cose sono molto più complesse di così”.

“È molto probabile che la depressione venga influenzata da altri tipi di anomalie oltre a quelle dei neurotrasmettitori”, hanno osservato Hal Arkowitz e Scott Lilienfeld per la rivista Scientifc American. “Tra i problemi associati alla malattia ci sono irregolarità della struttura e del funzionamento del cervello, disturbi del circuito neurale e numerosi fattori psicologici, come i fattori di stress quotidiano”.

“Naturalmente, tutte queste influenze operano in ultima analisi a livello fisiologico. Tuttavia, per comprenderle dobbiamo analizzare il problema da diverse angolazioni”, hanno affermato gli autori.

Ecco perché, dato che oggi sempre meno persone sono pronte a ignorare i consigli medici e ad affidarsi esclusivamente alla fede per guarire, per quanto riguarda il malessere mentale, i credenti dovrebbero essere più disposti a considerare, senza alcuna vergogna o timore, che non c’è competizione tra il trattamento scientifico (psicoterapia ± farmaci ± modifica del proprio stile di vita) e l’aiuto religioso; la religione non deve solo uscirne vincitrice, ma deve far parte di una collaborazione molto appropriata.

 

Forte, ma non sempre sufficiente

Esistono quindi fattori strutturali, funzionali, chimici, sociali e di stile di vita e, oltre a questi, fattori spirituali che possono giocare un ruolo nella prevenzione e nello sviluppo di un malessere mentale. Attribuire l’insorgenza della depressione a fattori spirituali può portare, in molti casi, a ignorare altri fattori che, come la scienza ha già dimostrato, possono avere un’influenza decisiva.

Questo ha un doppio effetto negativo. Da un lato, si tratta di colpevolizzare crudelmente la vittima quando non si rivolge a un consulente per verificare se ha adottato modelli di pensiero religiosi distruttivi e quando non viene aiutata a decostruirli. D’altra parte, un’attenzione esclusiva alla religione nega alla persona sofferente l’accesso a soluzioni praticabili che potrebbero provenire da altre fonti, se la fonte della depressione si rivela diversa dagli errori spirituali.

Se la fonte della depressione di un credente è, per esempio, la mancanza di sostegno sociale, sarebbe cinico per qualcuno suggerire che la persona dovrebbe piuttosto pregare in maniera più intensa e fedele. È come andare in un villaggio colpito dalla povertà e dalla fame e dire alle persone di pregare affinché Dio riempia miracolosamente i loro stomaci. Nell’attesa, con la massima fede possibile, che egli manifesti la sua potenza, non dimentichiamo un aspetto spirituale di buon senso: nemmeno Gesù si è nutrito con un miracolo quando aveva fame.

 

 

Di Alina Kartman, redattrice senior di ST Network e Segni dei tempi Romania

Fonte: https://st.network/analysis/top/depression-and-the-souls-immune-system.html

Traduzione: Tiziana Calà

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