Dio parla anche attraverso gli introversi

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Il mio battito cardiaco aumentava mentre cercavo di sopprimere il mio panico crescente. Lacrime calde spingevano per uscire mentre ascoltavo attentamente ciò che il predicatore stava dicendo. Si stava avvicinando al punto, ormai ne ero certa. Avevo imparato ad aspettarmi queste cose negli ultimi giorni delle settimane di preghiera. Il temutissimo appello.

“Vieni qui davanti, se senti che ti sta chiamando”.

Ed ecco l’appello.

Alcuni studenti intorno a me si alzarono lentamente e andarono davanti. Ero combattuta tra il mio desiderio di rispondere alla chiamata e la mia paura di andare davanti.

Nel profondo del mio cuore gridavo a Dio, affinché capisse che stavo rispondendo alla chiamata in maniera silenziosa, pregandolo di togliermi la paura di ciò che gli altri pensavano.

A volte mi alzavo, tutta ricurva, cercando di rendermi invisibile. Altre volte andavo davanti perché mi sentivo mancante rispetto a tutti i miei amici che si erano già alzati. Immancabilmente, il predicatore diceva: “Non pensare a nessun altro, fallo per te”. Ma io non riuscivo proprio.

Mi sentivo come se stessi tradendo Dio, visto che non riuscivo a fare questa semplice cosa che gli altri trovavano così facile ed edificante; che non riuscivo a farlo per Dio, quando invece i primi cristiani camminavano verso i leoni davanti a stadi di romani ruggenti.

Sentivo che se un appello ad andare davanti al pulpito era un qualcosa che mi chiamava, fare ciò che il pastore aveva detto, come andare davanti a tutti, era imperativo affinché la mia risposta fosse legittima.

Questo è stato il mio pensiero per anni, fino a un memorabile sabato. La mia chiesa di allora contava 3.000 membri e il pastore aveva fatto un appello. Ho iniziato a stressarmi, agitandomi sulla panca. Ovviamente non potevo andare davanti a tutta quella gente! Guardai mia madre terrorizzata e, in qualche modo, lei capì.

“Non devi andare per forza”, mi ha sussurrato.

“Non devo?” Ero sorpresa. Fu allora che cominciai a capire che non dovevo rispondere in nessun altro modo se non nel mio cuore, affinché la mia fede fosse reale.

Quando ero bambina, guardavo i pastori carismatici, incluso mio padre, entusiasti di condividere la loro fede e proclamare apertamente il proprio amore per il Signore e sapevo che un giorno sarebbe toccato anche a me. Tuttavia, crescendo, sono diventata dolorosamente consapevole del fatto che non sarebbe stato così. Non avrei mai potuto alzare le mani durante i canti, come fanno alcuni. Non potevo raccontare un messaggio per bambini ispirato a una mia esperienza personale con Gesù. Non potevo nemmeno condurre uno studio biblico. Sapevo che amavo Dio, volevo avere una relazione con lui e vivere una vita benedetta, ma non sapevo come mettere tutto questo in pratica quando non riuscivo nemmeno a parlare della mia relazione con Gesù con i miei amici o pregare ad alta voce in un modo che sembrasse sentito e reale. Il cambiamento per cui sarei diventata come tutte quelle persone estroverse sul pulpito della chiesa non è mai arrivato. Quando sono entrata nell’età adulta, mi sono chiesta cosa ci fosse di sbagliato in me.

Nella mia mente, sembrava esserci solo un modo, il modo pubblico, di avvicinarsi a Dio; e poiché vedevo ripetutamente questo modo, presumevo che fosse quello giusto. Un giorno, mentre leggevo “Reaching for the Invisible God” di Philip Yancey, lessi un paragrafo che cambiò drasticamente la mia prospettiva:

“Mi chiedo se le persone si dividano naturalmente in vari tipi di fede proprio come si dividono in tipi di personalità. Essendo un introverso che si avvicina con cautela alle altre persone, mi avvicino a Dio allo stesso modo… perché dovremmo aspettarci di avere la stessa tipologia o modo di affrontare la fede?”.

Non avevo mai considerato come la personalità potesse influenzare una relazione personale con Dio, e che potesse anche influenzare il modo in cui gli altri percepivano la relazione di qualcuno con Dio. Mi resi conto che coloro che proclamavano a gran voce l’amore di Gesù e ciò che lui stava facendo nella loro vita lo trovavano facile perché generalmente proclamavano a gran voce la maggior parte delle proprie cose personali. Si sentivano a loro agio con questo atteggiamento e con questa modalità. Non ho mai visto farlo da quelli che erano come me, perché… beh, proprio perché erano come me!

Questo mi ha avviata in un viaggio per imparare che Dio capisce gli introversi della chiesa.

Una delle mie storie bibliche preferite è la chiamata di Mosè. Faccia a faccia con la presenza di Dio in un pruno ardente, Mosè è titubante quando Dio lo chiama a tornare in Egitto. Chiede: “Chi sono io per andare dal faraone […]?” (Esodo 3:11) e “E se non mi credono?” (cfr. 4:1). Infine, Mosè sostiene di essere “lento di parola e di lingua” (4:10). Dio assicura ancora una volta a Mosè che sarà con lui; tuttavia, Mosè continua a esitare, implorando Dio di mandare qualcun altro. Ricordate che Mosè aveva vissuto nel deserto per 40 anni. Era difficile sostenere una conversazione dopo pochi mesi di isolamento, ma dopo 40 anni prendere d’assalto il palazzo e accusare il faraone? Che impresa! Anch’io avrei implorato il Signore di cambiare idea.

E alla fine Dio dice: “Non c’è Aaronne tuo fratello, il Levita? Io so che parla bene. E, per l’appunto, egli esce a incontrarti; e, quando ti vedrà, si rallegrerà in cuor suo. Tu gli parlerai e gli metterai le parole in bocca. Io sarò con la tua bocca e con la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare”. (4:14-15). Avete capito cos’era successo? Dio disse a Mosè che Aronne era già in viaggio, pronto a incontrarlo! Dio sapeva che Mosè si sentiva inadeguato, che aveva paura di parlare, di alzarsi e combattere per il suo Dio. Poiché Dio comprendeva sia i punti di forza sia le debolezze di Mosè, aveva già predisposto l’aiuto di cui Mosè aveva bisogno.

Gli introversi portano alla chiesa una serie di abilità molto diverse rispetto a quelle degli estroversi. Entrambi hanno punti di forza e debolezze, ed entrambi sono ugualmente importanti. Mentre gli estroversi possono essere gli addetti all’accoglienza, dando a tutti il benvenuto all’ingresso, o i predicatori che fanno applaudire la congregazione, gli introversi lavorano dietro le quinte. Può essere un introverso colui che saluta quella persona tranquilla e goffa che è seduta da sola, trascurata dagli altri. Può essere un introverso colui che pianifica il servizio di culto. Gli introversi possono preferire scrivere rispetto a parlare, e suonare la chitarra piuttosto che cantare. E la silenziosa pensosità dell’introverso può portare nuove intuizioni in uno studio biblico. Siamo tutti parte del corpo di Cristo, e mentre alcuni di noi potrebbero essere la bocca, altri potrebbero essere le orecchie. Tutti sono ugualmente necessari.

Adesso, non rispondo mai agli appelli se non mi sento a mio agio. Rispondo nel mio cuore, con la consapevolezza che Dio mi conosce e capisce. Mi sento più vicina a Dio quando sono sola, o nella natura, e ho riconosciuto che va bene non sentirsi vicini a Dio quando si prega ad alta voce in un grande gruppo, quindi non mi costringo a farlo. E invece di lamentarmi della mia mancanza di fiducia nel condurre uno studio biblico, mi concentro sui dialoghi a tu per tu con le persone. Ho imparato che ciò che gli introversi portano alla chiesa è altrettanto importante rispetto a ciò che portano gli estroversi. Soprattutto, ho imparato che Dio sa e capisce.

Tuttavia, mentre mi tengo ancora in disparte, cerco allo stesso tempo di spronarmi. Quando posso, cerco sempre di parlare della mia relazione con Dio. Ho scoperto dei modi di stare sul pulpito che non mi creano sentimenti di panico, come il teatro e la musica. E sto imparando a condividere la mia fede attraverso la scrittura.

Se siete come me, vi incoraggio ad appoggiarvi ai vostri punti di forza, piuttosto che cercare di essere come quelli che sentite di dover essere. Dio conosce il vostro cuore, e vi mostrerà i modi per seguirlo e per essere un pescatore di uomini, anche quando avete paura di quegli uomini e preferireste essere nascosti sotto le reti.

 

 

Di Ashley Jankiewicz, studentessa alla Avondale University; ha una vivida immaginazione e una passione per la scrittura

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2022/04/22/god-speaks-through-introverts-too/

Traduzione: Tiziana Calà

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