Quando tre ragazzi impediscono un suicidio!

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Potresti aver già letto questa storia sui social media: “Alcuni studenti hanno fermato un uomo suicida, impedendogli di saltare”, ha riportato il Daily Mail del Regno Unito. Quel titolo era accompagnato dalla foto di tre ragazzi tutti seri: Shawn Young, Davonte Cafferkey e Sammy Farah, rispettivamente di 12, 13 e 14 anni.

Secondo quanto riportato dalla madre di Shawn, i ragazzi stavano “bighellonando” verso casa, di ritorno da scuola; stavano per attraversare un cavalcavia nella contea d’Hertfordshire, circa 50 km a nord di Londra, quando un adulto gli ha invitati a passare da un’altra parte, perché c’era un pazzo sul ponte.

Curiosi di vedere cosa stava succedendo, hanno continuato a camminare. È così che si sono imbattuti in un uomo di 21 anni, dall’aria distrutta, con una corda in mano. Aveva il volto rosso, piangeva in silenzio, pur respirando affannosamente e continuando a sudare. Legò la corda al ponte, gettò le chiavi e il suo telefono ai ragazzi, dicendo loro di non rispondere se il telefono avesse iniziato a squillare. Si mise la corda intorno al collo e si apprestò a scavalcare il parapetto.

Fu in quel momento che i ragazzi decisero di agire, proprio come da manuale, come sottolinea Carol Young. Cafferkey e Farah afferrarono l’uomo mentre Shawn corse a cercare aiuto. Il giovane diventò un peso morto, lì su quel ponte, proprio in mezzo all’autostrada trafficata. Continuava a perdere conoscenza mentre i ragazzi lo spronavano e lo incoraggiavano, urlandogli: “Non farlo! Pensa alla tua famiglia! Sei troppo giovane per morire!”.

Una famiglia grata

Alla fine, altri due passanti aiutarono i ragazzi a portare in salvo il giovane uomo, impedendogli di togliersi la via.

“Qualche settimana dopo”, ha riportato di recente Shawn alla rivista Message, “questo giovane uomo è venuto a casa di Devontae per conoscerci. Ci ha portato dei fiori e un biglietto di ringraziamento. Si è detto grato per quello che avevamo fatto, perché in quel momento non era lucido”.

La morale di questa storia, che per fortuna ha avuto un lieto fine, è rappresentata da quello che può derivare dal sostegno nei confronti di coloro che soffrono di malattie mentali. Questo perché, quando si ripensa a quanto successo, ci si rende conto che è stato un adulto a dire ai ragazzi di evitare di attraversare il ponte perché c’era un “pazzo” con chissà quali intenzioni. Al contrario, proprio come nella storia biblica del “buon Samaritano”, che mise a repentaglio la sua vita per soccorrere una persona nel bisogno, proprio all’opposto di coloro che, seppur più qualificati, erano passati oltre, i ragazzi scelsero invece di intervenire e di fare qualcosa.

“Shawn è stato cresciuto in un ambiente chiesa. È lì che ha sviluppato la sua fede e ha interiorizzato diversi principi”, ha detto la madre, che portava i figli nella comunità “religiosa” per rendersi utili, insegnando loro a prendersi cura di coloro che ne hanno più bisogno.

La salute a 360°

Come avventista del settimo giorno, credo che il messaggio della salute, in tutte le sue sfaccettature, come presentato nella Bibbia, sia estremamente importante; mi è stato insegnato ad avere “fiducia nel potere divino”, un approccio utile e speranzoso al benessere a 360°, che comprende anche la salute mentale.

“La fiducia nel potere divino incrementa le emozioni positive e aiuta a neutralizzare quelle negative, aiutando sia a migliorare la vita sia ad aumentare le capacità di affrontare gli eventi negativi”, scrive Lillian Kent, in un articolo intitolato “The Adventist ‘Health Message’ Unpacked”, (Svelato il ‘messaggio sulla salute’ del mondo avventista) www.ministrymagazine.org. “Le persone con queste convinzioni godono di maggiore benessere, felicità, speranza, ottimismo e gratitudine e hanno meno probabilità di sperimentare la depressione, il suicidio, l’ansia, la psicosi, l’abuso di sostanze, la delinquenza, la criminalità e l’instabilità coniugale”.

Tuttavia, tradizionalmente, le comunità di fede così come i fedeli stessi lottano per incorporare il supporto psicologico e psichiatrico con il credo o pratica nell’ambito religioso e spirituale. Da tempo, il divario tra scienza e fede si è ingrandito. Questo ha fatto sì che molti venissero lasciati da soli a lottare nel pregiudizio, nell’anonimato o in condizioni di abuso.

Secondo Clark Aist, Ph. D, ex direttore come supervisore dei servizi da cappellano e di riabilitazione della clinica di educazione pastorale, nell’ospedale Saint Elizabeth, a Washington, D.C, “la maggior parte dei servizi di culto non parla dei problemi mentali ed emotivi tra i fedeli”. “Non sono argomenti portati in preghiera, trattati nei sermoni né tantomeno nei momenti di dibattito. Questa congiura del silenzio serve a perpetuare i pregiudizi associati alle condizioni di salute mentale”.

Calcolando che le malattie mentali colpiscono “decine di milioni” di persone negli Stati Uniti, e che, secondo il Dipartimento di salute mentale, solo la metà delle persone colpite viene curata a tutti gli effetti, c’è ampio spazio per un maggiore dialogo, educazione e intervento sul tema. Secondo Aist, nelle nostre chiese, si stima che una famiglia su quattro abbia qualcuno che convive con una malattia mentale. Con questo ritmo, non possiamo più permetterci di stereotipare le malattie mentali o semplicemente pregare per una guarigione; bisogna rimboccarsi le maniche, darsi da fare e aiutare a prendersi cura di coloro che hanno bisogno di sostegno e assistenza.

Di Carmela Monk Crawford

Fonte: https://www.messagemagazine.com/editorial/hands-on-mental-health/ 

Tradotto da Tiziana Calà

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