Una scelta, conseguenze eterne
Il secondo capitolo della Genesi termina con una frase con cui probabilmente oggi non termineremmo un capitolo se stessimo scrivendo un libro: “L’uomo e sua moglie erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna” (Genesi 2:25). L’uomo e la donna erano nudi l’uno di fronte all’altra, senza vergogna o paura di essere feriti dall’altro.
In altre parole, potevano essere nudi l’uno di fronte all’altra a livello fisico, mentale e spirituale, presentandosi come sono realmente, senza temere di essere sminuiti, feriti, usati, emarginati, disprezzati, abusati e così via (l’elenco è lungo). Il resto del capitolo mostra inoltre che all’inizio della storia umana la vita era davvero significativa, profonda, limpida, positivamente complessa e diversificata.
L’uomo e la donna godevano di libertà. Potevano mangiare da tutti gli alberi del giardino in cui il Creatore li aveva collocati. Il male era confinato a un solo albero. Il male non si era ancora diffuso ovunque nel mondo, come oggi, come un virus che si diffonde rapidamente e che porta scompiglio a ogni angolo.
Creati per la vera vita con il Creatore
Dio ha creato l’uomo e la donna come controparte, come suoi interlocutori. L’uomo e la donna hanno incontrato il loro Creatore e hanno conversato con lui faccia a faccia (cfr. Genesi 3:8). Quando Dio creò l’uomo e la donna, li benedisse e parlò loro. Comunicò con loro. Il fatto che Dio e gli esseri umani parlino insieme implica che l’uomo e la donna sono stati progettati per stare insieme a Dio e per comunicare con lui. Si potrebbe dire che la comunicazione tra loro e il Creatore è la chiave della vita. Dio presenta all’uomo e alla donna uno scopo profondamente significativo per la vita, in cui la vera vita e la crescita sono possibili e possono fiorire.
Concentrandosi ulteriormente sulla creazione degli esseri umani, Genesi 2 evidenzia che Dio prese la polvere nelle sue mani, formò l’uomo dalla polvere, condivise con lui il suo soffio vitale e lo pose in un giardino che l’uomo e la donna furono invitati a coltivare e custodire, un giardino in cui la libertà, la dignità e l’unione dell’essere umano, così come i principi che li garantiscono, furono coltivati e custoditi. Dio invitava così l’uomo e la donna a un grande progetto basato sulla fiducia reciproca, dove la vita autentica e appagante rappresentava la norma.
L’uomo e la donna potevano sperimentare la loro piena umanità. La vita era profonda e appagante. Non c’era alcun senso di vuoto dentro di loro. Non c’era solitudine, né alienazione, né indifferenza. Non c’era impotenza di fronte al male che li paralizzasse e li spingesse alla disperazione. Erano nudi, autentici, fedeli a se stessi e al loro Creatore, senza alcun senso o motivo di vergogna.
Fiducia infranta e perdita profonda
Tuttavia, le cose non rimasero così. Come spiega la Scrittura, l’uomo e la donna hanno infranto la fiducia del Creatore scegliendo di mangiare il frutto proibito dall’albero di cui Dio aveva detto loro di non cibarsi. Hanno preso per sé il frutto che Dio aveva volutamente trattenuto per amore. Il risultato? Il male si diffuse alla velocità della luce nella famiglia umana, diventando una realtà nuova e pervasiva. Ancora peggio, il male si diffuse nel cuore dell’uomo. La vita divenne inquietantemente ambivalente. Il bene e il male si mescolarono, con molte zone apparentemente grigie.
L’uomo e la donna persero ciò che avevano di più prezioso. Persero il giardino, la realtà per cui Dio li aveva creati, in cui Dio li aveva collocati. Il loro nuovo mondo era pieno di cardi e spine, tra i quali lavoravano con il sudore della fronte. Il dolore penetrava nel loro mondo. Tutte le sfumature del dolore, fisico, emotivo e così via, divennero la nuova normalità.
Il rapporto tra uomo e donna divenne difficile. Muri invisibili li separavano. Si accusavano a vicenda invece di assumersi la responsabilità di se stessi e delle proprie azioni. L’equilibrio di potere tra loro si spostò. Uno iniziò a dominare l’altra. Non c’era più unione tra loro. Al contrario, c’era una profonda frattura tra loro, che alimentava sentimenti di totale solitudine prima sconosciuti.
L’uomo e la donna erano ora nudi in modo diverso. Solitudine e paura si insinuarono nei loro cuori. E questa volta avevano paura che l’altro riconoscesse la loro nudità e ne approfittasse. L’uomo e la donna si coprirono per nascondere la loro vergogna, la loro interiorità, le loro debolezze, l’ambivalenza che regnava nel loro mondo interiore.
Erano davvero vulnerabili. Avevano perso la pienezza della loro libertà perché il male, l’intruso indesiderato eppure scelto, li aveva resi schiavi e derubati della loro integrità. Le strategie umane che escogitarono per proteggersi, per cercare un senso in un mondo ormai distrutto o per affrontare il loro profondo senso di vuoto, li avrebbero anche resi schiavi.
La perdita più grande
Ma forse la perdita più grande di tutte fu che non poterono più vedere il loro Creatore faccia a faccia. La comunicazione tra loro e il Creatore non era più come prima. Mancava qualcosa di fondamentale, qualcosa per cui erano stati progettati. Qualcosa nell’uomo e nella donna che aveva permesso loro di vivere una vita profondamente appagata era ora rotto e andato perso.
Se riflettiamo sulla nostra storia personale dalla prospettiva della Bibbia e consideriamo il Creatore che rivela lui stesso la nostra storia umana, ci rendiamo conto che l’inizio della nostra storia umana era molto diverso da come la viviamo oggi. Anche se le nostre vite rimangono troppo complesse per essere pienamente comprese e spiegate, il vuoto esistenziale con cui lottiamo, il vuoto profondo dentro di noi che chiede costantemente di essere appagato ma che rimane insoddisfatto da qualsiasi cosa in questo mondo, ha una fonte al di fuori dell’intenzione originale di Dio per noi. Questo vuoto deriva dalle perdite che abbiamo subito come esseri umani quando abbiamo scelto l’albero della conoscenza del bene e del male, optando così per l’intrusione del male nella nostra realtà.
Genesi 3 e il resto della Bibbia raccontano le conseguenze “naturali” di questa decisione fatale. Con queste conseguenze ci confrontiamo ogni giorno della nostra esistenza, dovendole affrontare giorno dopo giorno, consapevolmente o meno. La perdita del giardino, della nostra libertà, della nostra integrità, della vera unione e delle relazioni a cui Dio ci ha destinati, crea in noi un vuoto esistenziale che ha un disperato bisogno di essere colmato. Questo vuoto ci spinge e tutti escogitano modi (più o meno saggi) per riempire questo vuoto esistenziale, per tenerlo a bada in modo che non ci travolga completamente e non ci faccia sentire tutto il suo orrore.
Tuttavia, tutti lo sentono di tanto in tanto, quando il trambusto che ci tiene costantemente sulle spine si ferma e diventa silenzioso. Lo affrontiamo quando la frenesia della vita moderna si attenua, quando non c’è più nulla che ci distragga dal senso di vuoto interiore e di solitudine.
Sete di Colui che da solo può colmare questo bisogno
E spesso noi stessi non capiamo cosa vogliamo veramente, cosa potrebbe riempire adeguatamente questo vuoto esistenziale. Ecco cosa scrive il filosofo ebreo Abraham J. Heschel a proposito di questo vuoto esistenziale, di questa solitudine che sentiamo:
“La sete di compagnia, che ci spinge così spesso all’errore e all’avventura, indica l’intensa solitudine di cui soffriamo. Siamo soli anche con i nostri amici. L’infarinatura di comprensione che un essere umano ha da offrire non è sufficiente a soddisfare il nostro bisogno di simpatia. Gli occhi umani possono vedere la schiuma della superficie, ma non il ribollire del fondo. Nell’ora di maggiore agonia siamo soli. È questo senso di solitudine che spinge il cuore a cercare la compagnia di Dio. Solo lui può conoscere i motivi delle nostre azioni; solo di lui ci si può veramente fidare. La preghiera è fiducia, abbandono di se stessi a Dio. Perché l’essere umano non è capace di stare da solo. La sua inguaribile, inconsolabile solitudine lo costringe a cercare cose non ancora raggiunte, persone ancora sconosciute. Spesso corre dietro a una scusa, ma presto si ritira scontento da ogni compagnia falsa o debole. La preghiera può seguire questo ritiro”.
La Bibbia parla di un Dio Creatore che non ci lascia soli con questa sfida del vuoto esistenziale. Solo di lui ci si può fidare pienamente per trovare il modo di affrontare i sentimenti di vuoto.
In primo luogo, nonostante la nostra rottura, non ci lascia soli. Continua a comunicare con noi perché siamo stati creati per comunicare con lui, per stare insieme a lui. Egli comprende perfettamente le nostre storie personali e sa esattamente cosa ci manca. Sa cos’è il vuoto esistenziale. E ha aperto la strada agli esseri umani per ritrovare la vera vita anche in mezzo a un mondo rotto e ambivalente.
Dal punto di vista di Dio, ogni essere umano è destinato a essere restituito alla sua integrità iniziale, alla sua vera dignità umana e alla sua libertà. Ogni essere umano è destinato a diventare come un piccolo giardino dell’Eden, “come una sorgente la cui acqua non manca mai”, perché il Dio Creatore ci guida continuamente attraverso il deserto di un mondo distrutto, soddisfacendo la nostra “anima nella siccità” (cfr. Isaia 58:11).
Questo Dio Creatore ha amorevolmente regnato e accompagnato gli esseri umani nel corso della storia umana, curando, amando e osservando in modo discreto. Nel rapporto con lui, ogni essere umano può raggiungere la maturità che gli permette di affrontare i sentimenti di vuoto esistenziale, anche in attesa della definitiva e piena restaurazione di ciò che è andato perduto nell’Eden.
Come dice il proverbio (spesso attribuito al filosofo e fisico francese Blaise Pascal): “C’è un vuoto a forma di Dio nel cuore di ogni persona”. È un bisogno innato del cuore umano, un bisogno che solo Dio può soddisfare.
Di Daniela Gelbrich, docente di ebraico e Antico Testamento presso la Facoltà avventista di Collonges, Collonges-sous-Salève, Francia.
Fonte: https://adventistreview.org/theology/doctrines/emptiness/
Traduzione: Tiziana Calà