Se vivo il lutto, ho perso la fede?

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Come elaborare il lutto pur mantenendo la speranza.

 

Quando Giacobbe morì e Giuseppe “si gettò sulla faccia di suo padre, pianse su di lui e lo baciò” (Genesi 50:1), stava forse dimostrando una mancanza di fede? Quando Anna, angosciata per la sua sterilità, disse: “Sono una donna tribolata nello spirito” (1 Samuele 1:15), stava forse rivelando una fede debole? Quando “Abraamo venne a far lutto per Sara e a piangerla” (Genesi 23:2), stava forse mostrando una mancanza di forza d’animo? Espressioni come “l’occhio mio si consuma di dolore” (Salmo 6:7) e “fino a quando avrò l’ansia nell’anima e l’affanno nel cuore tutto il giorno?” (Salmo 13:2) dovrebbero forse essere cancellate dalla Sacra Scrittura perché rivelano un modo di pensare inappropriato per una persona di fede?

Testi come questi rivelano che Dio non condanna il nostro dolore e la nostra tristezza, ma comprende che si tratta di una parte normale dell’esperienza umana dopo la caduta nel peccato. Quando l’apostolo Paolo pensava di perdere uno stretto collaboratore, disse ai suoi amici di Filippi che avrebbe avuto “dolore su dolore” (Filippesi 2:27) se il suo amico fosse morto. Dovremmo dire a questo grande leader della fede cristiana: “Ehi, ma dov’è la tua fede?”. Lo stesso Paolo, in un’altra lettera, disse ai credenti che non dovevano “[essere] tristi come gli altri che non hanno speranza” (1 Tessalonicesi 4:13). Cosa intendeva dire Paolo? Alcuni hanno usato questo testo per indicare che i cristiani non devono vivere il lutto, perché hanno la beata speranza.

 

Un popolo di speranza

Tempo fa, mi chiesero di condividere una presentazione sul lutto con un gruppo di persone in una chiesa vicino a dove lavoravo come cappellano di un ospedale. Questo gruppo stava ricevendo una formazione per entrare a far parte dei Stephen’s Ministers, un’organizzazione che si occupa di preparare le persone a stare accanto a coloro che stanno attraversando una crisi. Prima che iniziassi la presentazione, una donna anziana in prima fila sbottò: “Non so perché stiamo facendo questo incontro. Quando mio marito è morto, non mi sono crogiolata nel lutto, perché avevo fede”. Io invece pensai: “Potrei essere a casa a lavorare nel mio giardino. Perché sono qui?”. Poi mi ricordai del mio scopo.

Chiesi alla donna se volesse leggere un testo per me e la indirizzai verso Atti 8:2. Mentre cercava il testo da leggere, ricordai a tutti il contesto dell’episodio biblico. Stefano aveva appena predicato il suo ultimo sermone ed era stato lapidato per la sua fedele testimonianza. La donna lesse ad alta voce: “Uomini pii…”.

La interruppi a metà frase e chiesi: “Che tipo di uomini?”. Lei lesse di nuovo le due parole: “Uomini pii”. Continuai, chiedendo: “Questi uomini pii potrebbero essere considerati uomini di fede?”. Tutti risposero: “Sì”. Poi chiesi all’anziana donna di proseguire con la lettura.

“Uomini pii seppellirono Stefano e fecero gran cordoglio per lui”.

Con delicatezza, chiesi di nuovo alla donna: “Cosa fecero questi uomini di fede mentre seppellivano Stefano?”. Lei rimase in silenzio, guardando in basso, studiando le parole che aveva appena letto. Poi cominciò a singhiozzare sommessamente. Un paio di donne si sedettero accanto a lei e la sorressero mentre si lasciava andare a qualche lacrima che si era fatta decisamente attendere.

Quando Paolo dice che non dobbiamo “[essere] tristi come gli altri che non hanno speranza”, non sta dicendo che non dobbiamo vivere il lutto a causa della nostra fede. Stava dicendo che, mentre siamo in lutto, non lo dobbiamo vivere come coloro che non hanno speranza. La nostra speranza ci sostiene quando il dolore minaccia di sopraffarci.

 

Un diverso tipo di dolore

Come cappellano di un ospedale, ho avuto il privilegio di stare accanto a persone di tutte le fedi quando loro o i loro cari stavano morendo. Sono stato anche con persone che non avevano fede, non credevano in un aldilà, non credevano di poter rivedere i loro familiari.

Il dolore che ho osservato sembrava essere un tipo di dolore diverso da quello che provano i cristiani. Quando siamo in lutto, abbiamo la nostra beata speranza a cui aggrapparci. Paolo continua a condividere con i suoi lettori di Tessalonica la gloriosa speranza del secondo ritorno di Cristo e conclude dicendo: “Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole” (1 Tessalonicesi 4:18).

Come cristiani, non dovremmo sopprimere il nostro dolore per le perdite che incontriamo. Siamo addolorati, ma sappiamo che sta per arrivare un giorno migliore, in cui tutte le nostre lacrime saranno asciugate e non ci sarà più né morte, né dolore, né tristezza.

Per quanto confortanti siano tutte le promesse sulla vita futura, se vengono imposte a chi è colpito da un lutto, possono avere un effetto deleterio. Come sarebbe stato per Gesù, quando nel giardino del Getsemani disse ai suoi discepoli: “L’anima mia è oppressa da tristezza mortale”, se uno dei discepoli gli avesse risposto: “Coraggio, Gesù! Abbi fede, sorridi. Sarà un giorno bellissimo!”.

Ci viene detto che “per tutto c’è il suo tempo”, compreso “un tempo per nascere e un tempo per morire”, nonché “un tempo per piangere” (Ecclesiaste 3:1-4). Il dolore non è un segno che indica che abbiamo perso la fede: infatti ci vuole più coraggio e fede per sentire ed esprimere il nostro dolore che per fingere che tutto sta andando bene. Alcune persone vivono in un mondo “o l’uno o l’altro”. Credono che o si ha fede o si prova dolore. Un modo più sensato di guardare a questo problema è “entrambe le cose”. Non “dolore o fede”; il modello biblico è “dolore e fede”: una fede che ci aiuta a dare un senso alle nostre perdite in questo mondo peccaminoso.

 

Sta arrivando un giorno migliore

Un giorno migliore sta arrivando, ma per ora viviamo ancora giorno per giorno in questo mondo. È normale essere tristi, arrabbiati, impauriti e addolorati. È umano lottare quando ci accadono cose brutte. È quello che all’inizio ha fatto Elia quando le cose non andavano per il verso giusto. Se fossi stato scelto per far parte della “commissione” che doveva decidere cosa doveva essere inserito nella Bibbia e cosa no, probabilmente avrei posto il veto sulla parte di 1 Re 19 in cui Elia, in fuga da Izebel, desiderava essere morto. Ma invece quel testo esiste ed è presente nella Scrittura.

Anche la storia di Giobbe diventa spiacevole, quando Giobbe ha più tempo per pensare a tutte le sue perdite. “Io grido a te, ma tu non rispondi. […] Ti sei mutato in nemico crudele verso di me” (Giobbe 30:20-21). La cosa importante è che questi personaggi della Bibbia sono rimasti in attesa di una risposta. Non hanno gettato via la loro fede a causa del dolore che provavano. La loro fede si è rafforzata perché hanno aspettato la risposta di conforto di Dio. Come discepoli di Gesù, il nostro modello perfetto, dobbiamo ricordare a noi stessi che egli sperimentò le lacrime, fu turbato, sperimentò l’angoscia e fu sopraffatto dal dolore. Il nostro dolore e le nostre afflizioni sono dolorosi ma pur sempre temporanei. Il salmista ha detto: “La sera ci accompagna il pianto; ma la mattina viene la gioia” (Salmo 30:5). Quella notte potrebbe durare più di una notte letterale di otto ore, ma per fede sappiamo che ci aspetta un mattino di gioia!

 

 

Di Michael Lombardo; è in pensione dopo aver prestato servizio per 43 anni in ospedale, chiesa e in prigione.

Fonte: https://adventistreview.org/feature/if-i-grieve-have-i-lost-faith/

Traduzione: Tiziana Calà

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