Fede, immaginazione e testimonianza di Gesù
Ho trascorso molte ore in discussioni teologiche, con i miei genitori e la mia famiglia, con amici e compagni di classe, con professori e mentori e persino con perfetti sconosciuti, ma le discussioni più impegnative sono state quelle con i miei due figli piccoli. Concetti come “peccato”, “trinità” o “salvezza” non sono facilmente digeribili da un bambino di quattro anni. “Ma mamma, come farà a risuscitarci? Posso portare i miei giocattoli in cielo? Gesù tornerà oggi?”.
I miei migliori sforzi per spiegare in termini semplici e adatti ai bambini il significato del ministero e del sacrificio di Gesù mi lasciano spesso più piena di stupore che non di comprensione. Perché Gesù ha fatto questo o quello? Quandotornerà?
Ora mi sembra che la certezza sia antitetica alla meraviglia, e la meraviglia è un ingrediente chiave della fede. Non che non possiamo avere la certezza della salvezza, del ritorno di Cristo, ecc. Ma queste sono cose che non possiamo dimostrare. Le accettiamo come vere perché crediamo per fede, e in questo processo c’è sempre un certo grado di immaginazione. Non possiamo vedere il cielo, ma attraverso le promesse di Dio, i crescenti segni della fine di quest’epoca e la nostra smania per un luogo migliore, intuiamo che c’è davvero qualcosa che va oltre la nostra comprensione. Ci aggrappiamo a questo con meraviglia, fede e immaginazione.
Aspettative messianiche
I maestri del tempo di Gesù soffrivano di una netta mancanza di immaginazione. Leggevano i profeti, guardavano l’ambiente attuale e dicevano: “Ah, il Messia sarà un capo militare”. Quando Giovanni Battista proclamò che Gesù era “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29), la visione era troppo grande, troppo strana, troppo ridicola.
A peggiorare le cose, Giovanni Battista dichiarò che né lui né i capi religiosi sapevano chi fosse Gesù fino a quando non fu rivelato a Giovanni al battesimo di Gesù (cfr. Giovanni 1:26,33). I capi religiosi davano per scontato che l’identità e la provenienza del Messia fossero semplici. L’idea che il Messia fosse cresciuto in Galilea come l’umile figlio di un falegname non corrispondeva alle loro idee preconcette su chi potesse o dovesse essere il Messia. Né si pensava che la sua identità fosse una cosa da rivelare.
Le folle che seguivano Gesù avevano le loro idee su di lui. Avevano soggezione di lui, lo veneravano, lo cercavano, ma non lo capivano. Pochi sembravano passare dal seguirlo per quello che poteva fare per loro al seguirlo per quello che era per loro. Ellen White scrive che quelli della moltitudine che erano stati sfamati lo cercarono in seguito, ma solo perché “speravano, seguendolo, di ricevere ancora dei benefici materiali” (1). In generale, la gente era stupita e sconcertata dalle azioni di Gesù, e disturbata e insoddisfatta dalle sue stesse dichiarazioni sulla sua identità e sul suo scopo.
Intuire Gesù
Nel suo libro “The Knowledge of the Holy”, A. W. Tozer osserva che il Vangelo di Giovanni, in particolare, “rivela l’impotenza della mente umana di fronte al grande mistero che è Dio” (2). Il problema dei farisei e di molti di noi è che “tendiamo immediatamente a ridurre Dio a termini gestibili. Vogliamo portarlo dove possiamo usarlo o almeno sapere dove si trova quando ne abbiamo bisogno. Vogliamo un Dio che possiamo in qualche modo controllare” (3).
I maestri della legge volevano un Messia che facesse parte del loro programma, non un radicale autosacrificatore che rivendicasse un’identità molto più grande degli interessi nazionalistici. Non si aprirono alla meraviglia dell’annuncio. Quanto spesso facciamo lo stesso? Invece, “copriamo la nostra profonda ignoranza con le parole, ma ci vergogniamo di stupirci, abbiamo paura di sussurrare mistero” (4).
Gesù non ha puntato sui suoi miracoli per dimostrare se stesso e si è rifiutato di fare miracoli a tale scopo. Nelle parole di George MacDonald, “le opere meravigliose possono solo alimentare una fede già esistente” (5). Nelle sue auto-testimonianze, Gesù indicava direttamente Dio e la sua identità di Figlio di Dio. Egli era la testimonianza. Come Dio disse a Mosè al pruno ardente, “Io sono colui che sono” (Esodo 3:14).
Ellen White spiega che “quelli che conoscono Dio, lo conoscono mediante suo Figlio, e in Gesù di Nazaret riconoscono colui che attraverso la natura e la rivelazione manifesta il Padre” (6). Giovanni Battista, Simon Pietro, il centurione e altri che dichiararono che Gesù era il Figlio di Dio non lo fecero per i miracoli che compì, ma per ciò che videro che era grazie alla testimonianza del suo carattere. Hanno visto e intuito una rivelazione. Il centurione, la cui unica interazione nota con Gesù fu alla croce, non vide nemmeno Gesù compiere un miracolo. Vide Gesù morire. E questa era una rivelazione sufficiente.
La fede come testimonianza
In 1 Giovanni, l’apostolo offre una spiegazione misteriosa sulle testimonianze: “Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore; poiché questa è la testimonianza di Dio che egli ha reso al Figlio suo. Chi crede nel Figlio di Dio ha questa testimonianza in sé; chi non crede a Dio, lo fa bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha resa al proprio Figlio” (1 Giovanni 5:9-10). Søren Kierkegaard, commentando questo testo, nota che la “testimonianza interiore” è più grande di una sorta di “prova storica”. “Non sono le ragioni che giustificano la fede nel figlio di Dio, ma proprio il contrario: la fede nel figlio di Dio è la testimonianza” (7).
Forse, guardando a Gesù, dovremmo farlo con uno stupore infantile, aperti alla strana e meravigliosa visione che egli ha per noi, per il popolo di Dio e per il futuro. Piuttosto che cercare di categorizzarlo e di spiegare nei minimi dettagli come funziona il suo ministero, come si è verificata l’incarnazione e come funziona la trinità, potremmo lasciare che il mistero di tutto questo affondi le sue radici. Certo, dobbiamo studiare e sforzarci di comprendere ciò che ha fatto nel passato e farà nel futuro, ma non possiamo considerare i nostri sforzi come un sostituto della fede. La testimonianza che proclamiamo non è una cosa morta; egli è vivo!
(1) Ellen G. White, La speranza dell’uomo, p. 284
(2) W. Tozer, The Knowledge of the Holy (New York: HarperCollins, 1961), p. 9.
(3) Ibidem, p. 8.
(4) Ibidem, p. 18.
(5) George MacDonald, The Hope of the Gospel (Ward, Lock, Bowden & Co., 1892; facs. repr. South Pasadena, CA: J. Joseph Flynn, 1988), p. 72.
(6) Ellen G. White, La speranza dell’uomo, p. 287
(7) Søren Kierkegaard, Provocations: Spiritual Writings of Kierkegaard, ed. Charles E. Moore. Charles E. Moore (Farmington, PA: The Plough Publishing House, 2002), p. 270.
Di Sarah Gane Burton, che ha conseguito un master in religione presso la Andrews University. Scrive come freelance a Berrien Springs, nel Michigan, dove vive con il marito Kevin e i loro due figli.
Fonte: https://adventistreview.org/theology/sabbath-school/intuiting-jesus/
Traduzione: Tiziana Calà