Cosa possiamo imparare dai nostri figli

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Il rapporto tra un genitore e il proprio figlio è uno dei più significativi della sua vita e il suo ruolo principale è l’educazione.

 

Se un artista crea, un musicista compone e uno scultore scolpisce, un genitore incarna tutte e tre queste figure, ma in modo unico. Un genitore fonde questi ruoli in una triade distinta, perché è sua responsabilità non solo garantire la sopravvivenza del bambino, ma anche trasmettere valori attraverso le generazioni, instillare principi e conoscenze essenziali, plasmare il sistema di valori del bambino, nutrire la sua autoconsapevolezza, sviluppare il suo linguaggio e salvaguardare la sua salute.

 

L’emarginazione dell’infanzia

L’atteggiamento di superiorità dei genitori nei confronti dei figli ha portato a espressioni che sminuiscono l’infanzia e i bambini: “Non fare il bambino! Smetti di essere infantile! Hai un pensiero da un bambino!”. Condannando ciò che non comprendiamo più, spesso perdiamo di vista l’essenziale: crescere, ridere, credere, perdonare, amare, essere curiosi, creare, godersi la vita e vivere nel presente.

Gesù stesso ci dice nella Scrittura: “In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18:3). Un altro momento in cui Gesù parla di bambini è quando i suoi discepoli, cercando di tenerli lontani da lui e da ciò che ritenevano più “importante”, non “infantile”, lo sentono dire: “Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro. In verità vi dico: chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto” (Luca 18:16-17). Diventare come i bambini o restare fuori dal regno di Dio. È un’affermazione radicale, strana e difficile da comprendere. Chi educa chi? Chi ha bisogno di chi: i figli hanno bisogno dei genitori o viceversa?

 

L’apprendimento reciproco nel rapporto genitori-figli

La relazione tra genitori e figli è un processo continuo di apprendimento reciproco. Da un lato, i bambini imparano a camminare, a parlare, a sviluppare abilità sociali, a risolvere i conflitti, a distinguere il bene dal male e a praticare la gentilezza, tra le altre cose. Dall’altro, i genitori imparano la trasparenza, la sincerità, la purezza, l’autenticità, la fiducia, l’umiltà, la curiosità, a vivere nel presente, a perdonare, a essere creativi e a trovare la gioia.

Sebbene tutti questi tratti siano qualità di un cittadino celeste, quello che spicca, evidenziato da Gesù nel suo paragone con i bambini piccoli e presentato come condizione per entrare nel regno di Dio, è l’umiltà. Il contesto delle parole di Gesù, che esorta i suoi discepoli a diventare come bambini, è quello dell’orgoglio, dell’egoismo e del desiderio di essere più grandi degli altri. Vedendo ciò che c’era nei loro cuori e ascoltando le loro parole, Gesù chiama a sé i bambini per insegnare ai suoi discepoli una lezione: la lezione della purezza e della vita umile.

 

Dio: un bambino al seno di sua madre

La bellezza della religione fondata da Cristo risiede nella rappresentazione di Dio come un bambino al seno di sua madre. Il cristianesimo è l’unica fede in cui il Creatore serve la creazione e in cui Dio si cala nella natura stessa che dipende da lui. Non c’è umiltà più grande del fatto che colui che ha la vita in sé diventi un essere dipendente non solo da Dio Padre, ma anche dai suoi genitori terreni e dalla comunità in cui ha scelto di entrare.

Diventiamo esseri viventi attraverso la nascita, ma diventiamo veramente umani attraverso l’educazione, un atto che richiede un intervento esterno. Una persona diventa consapevole di sé e inizia a formare il proprio sistema di valori attraverso la somma di credenze e valori nel contesto in cui è stata cresciuta. Gesù Cristo, al quale sua madre ha insegnato a camminare, a smettere di succhiarsi il pollice, a lavarsi le mani prima dei pasti, a essere educato, a pregare incessantemente e a studiare la Scrittura, incarna il massimo esempio di Dio che si svuota della sua natura divina e mostra una perfetta umiltà. Gesù ha avuto bisogno di Dio Padre, degli angeli, degli uomini e della comunità che lo circondava per trionfare nella lotta contro il peccato. Il segreto della vita senza peccato di Gesù sulla terra risiedeva nella sua assoluta dipendenza da Dio Padre, una dipendenza dimostrata attraverso la preghiera costante, le richieste e i ringraziamenti. Se Gesù stesso aveva bisogno di aiuto, quanto più ne abbiamo bisogno noi, esseri gravati dalla debolezza e dal peccato?

 

La collaborazione di Dio con l’umanità

La collaborazione di Dio con l’umanità per ripristinare l’immagine e la somiglianza perdute ha richiesto un atto profondo: Dio ha “rischiato” la sua eternità diventando uno di noi. Questa unione delle nature divine e umane è evidente in tutte le opere essenziali di Dio. La Bibbia è nata dalla collaborazione tra il divino e l’umano. La santificazione è un processo di cooperazione tra il divino e l’umano, e la diffusione del Vangelo fino ai confini della terra è anch’essa una collaborazione tra Dio e l’umanità.

 

La discesa è un’ascesa

Affinché noi fossimo innalzati, lui doveva scendere, ma anche nell’ascesa, sua o nostra, c’è una discesa nell’umiltà. “Ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Filippesi 2:7-11). Da una prospettiva biblica, salire è scendere e scendere è salire.

 

Più difficile del dare è il ricevere

Solo quando diventiamo consapevoli della nostra incapacità di amare, di crescere o persino di vivere con le nostre sole forze, possiamo accedere al regno di Dio. Abbiamo bisogno di aiuto, sia da Dio sia dagli altri. Spesso è più difficile chiedere e ricevere aiuto che darlo. La generosità può talvolta essere una maschera per l’orgoglio, un desiderio di superiorità. Sentiamo il bisogno di aiutare gli altri per sentirci importanti e superiori. Ma anche se la gentilezza e l’altruismo possono rispecchiare una certa altezza morale, le azioni compiute per la nostra soddisfazione personale non hanno alcun valore reale.

Dio stesso chiese aiuto a sua madre, dalla quale dipendeva la sua stessa esistenza di bambino. Se sua madre non fosse stata una devota credente, se Maria non lo avesse nutrito, vestito e protetto dai pericoli, oggi non parleremmo di Gesù. Attraverso il miracolo della sua discesa tra le braccia di sua madre come un bambino, Dio perfeziona l’essenza dell’umiltà.

 

L’umiltà di un bambino attraverso la dipendenza

Se è vero che un bambino spesso vuole le cose tutte per sé e può rubare un giocattolo da un amico, questo non è solo un riflesso della natura umana peccaminosa, ma anche del modo in cui un bambino cresce e sopravvive.

I bambini imparano con l’esempio. Nutrendosi di amore, imparano ad amare e questa comprensione dell’amore cresce in modo direttamente proporzionale al loro senso di sé e all’amore che ricevono dai genitori. Ricevendo, imparano a dare e i loro comportamenti egocentrici vanno intesi come meccanismi di sopravvivenza. Così come non esistono bambini “cattivi”, ma solo infelici o con bisogni non soddisfatti, non si può parlare di orgoglio in un bambino. Un bambino non ha ancora un senso di sé pienamente formato, né serba rancore o trama danni. Non vuole gravare sulla madre. Semplicemente, impara a conoscere se stesso e il mondo attraverso processi di crescita naturali sostenuti dall’istinto di sopravvivenza.

 

L’amor proprio di un bambino non è egoismo o orgoglio, ma piuttosto la base su cui tutti impariamo ad amare. Come ha detto Gesù stesso, “ama il tuo prossimo come te stesso” (Matteo 19:19).

 

Per gli adulti, l’amore per se stessi spesso equivale all’orgoglio e all’egoismo: la ricerca del proprio bene a spese altrui, o i benefici che cerchiamo di ottenere elevandoci al di sopra di chi ci circonda. Anche i bambini sbagliano, ma in modo diverso. Non dobbiamo temere gli errori, ma piuttosto temere di commetterli come fanno gli adulti. I bambini possono sbagliare tra loro, ma perdonano e non tengono il conto delle offese. Si arrabbiano l’uno con l’altro, ma continuano a giocare insieme. Dovremmo imparare a perdonare come i bambini, a dare come i bambini, a dimenticare come i bambini, ad amare come i bambini, a trascurare i difetti come i bambini, a non giudicare gli altri come i bambini e a credere con la stessa purezza e fiducia che hanno loro.

Liberi dalle catene dell’orgoglio, i bambini sono distaccati dal passato e abbracciano pienamente il presente come se il futuro non fosse una minaccia. Ecco perché ridono, trovano la gioia, dimenticano, perdonano e amano con tanta facilità.

 

L’errore non è il problema

Il passo biblico in cui Dio sembra incoraggiare la “grazia a buon mercato” è rivolto ai “figlioli”: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto” (1 Giovanni 2:1). Solo dalla posizione di un bambino possiamo trovare il perdono e la guarigione. L’errore in sé non è pericoloso quanto l’orgoglio. In una società in cui l’indipendenza è una virtù e nessuno vuole dipendere da altri, Dio ci insegna a dare valore alla comunità e a riconoscere quanto di noi stessi si trova negli altri e quanto profondamente abbiamo bisogno di aiuto. Io non posso esistere senza l’altro e l’altro non può esistere senza di me.

 

Dirò tutto a Dio!

Se i bambini ci vengono dati perché possiamo insegnare loro ciò che è necessario per conoscere il mondo e Dio, quando cerchiamo di spiegare loro la vita e il funzionamento di Dio, a volte ci sembra che lo abbiano già incontrato. La loro purezza e semplicità spesso distilla le verità fondamentali della vita in intuizioni profonde. Cos’altro si può concludere quando un bambino dice cose come: “Chi ascolta Dio quando una persona prega per la pioggia e un’altra per il sole?”. “Chi si prende cura di te, Signore?”. “Ti prego, prenditi cura di te, Dio, perché se ti succede qualcosa, chi si prenderà cura di noi?”.

Durante una guerra, un bambino di tre anni, coperto di sangue e fango su un letto d’ospedale, gridò con le ultime forze: “Racconterò tutto a Dio!”. Nonostante il dolore, le atrocità a cui aveva assistito, la fame che aveva sopportato e il mondo che si sgretolava in una terra desolata intorno a lui, quel bambino di tre anni non stava dubitando di Dio. Dubitava del mondo, un mondo che includeva la sua persona.

Questa è la forza dell’umiltà: dubitare di se stessi ma confidare in Dio, anche nei momenti più assurdi e dolorosi della vita. Abbiamo bisogno di aiuto. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. E, soprattutto, abbiamo bisogno di Dio.

 

 

Di Ștefăniţă Poenariu, co-conduttore della trasmissione Education 360°, sociologo, dottorando in scienze dell’educazione presso l’Università di Montemorelos in Messico, pastore-cappellano dell’associazione studentesca AMiCUS e professore di pensiero critico e creativo.

Fonte: https://st.network/analysis/top/what-we-can-learn-from-our-children.html

Traduzione: Tiziana Calà

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