Un solo pasto non basta

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Perché il culto familiare è la chiave per alimentare la vita di fede in famiglia.

 

Immaginate per un attimo di decidere di mettervi a dieta. D’ora in poi, vi dite, digiunerò ogni singolo sabato. La settimana successiva iniziate il vostro piano. Avete una dieta equilibrata e abbondante per sei giorni e poi digiunate il sabato. La seconda settimana procedete nella stessa maniera. E così via. Quali pensate possano essere i risultati? Forse smetterete di aspettare con ansia le ore del sabato, ma per il resto sopravvivrete e forse starete anche meglio digiunando un giorno alla settimana.

Ora immaginate di decidere di attuare un approccio più drastico. Vi direte: mi rimpinzerò di cibo ogni sabato e poi digiunerò per sei giorni alla settimana. Probabilmente non c’è bisogno di dirvi che questo piano potrebbe portarvi alla morte. Nessuno può sopravvivere a lungo termine mangiando un solo giorno alla settimana.

Molti di noi, tuttavia, cercano di seguire un approccio simile per quanto riguarda il nutrimento spirituale. Ci rimpinziamo ogni sabato, pensando che il cibo spirituale durerà fino al sabato successivo. È quindi sorprendente che non otteniamo i risultati spirituali che ci prefiggiamo?

 

Di generazione in generazione

Nell’antico Israele, la trasmissione della conoscenza di Dio e le sue implicazioni per la vita su questa terra erano al centro delle dinamiche dell’unità familiare. L’insegnamento in ambito familiare non era teorico, ma portava a un’esperienza di connessione quotidiana con Dio attraverso la lode e la preghiera. “E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti celebreremo in eterno, proclameremo la tua lode per ogni età”, scriveva Asaf (Salmo 79:13).

Questo legame tra le generazioni più anziane e quelle più giovani era una parte naturale delle interazioni regolari tra genitori e figli. L’insegnamento poteva talvolta avvenire in un contesto formale, ma spesso avveniva nell’ambiente quotidiano della casa o nelle esperienze di tutti i giorni. I genitori timorati di Dio dovevano convocare i figli e dare inizio a momenti di adorazione e riflessione. Ma i genitori dovevano anche essere pronti a rispondere alle domande dei figli ogni volta che si presentavano, come nel caso della celebrazione annuale della Pasqua: “Quando, in avvenire, tuo figlio ti interrogherà, dicendo: Che significa questo?, tu gli risponderai: Il Signore ci fece uscire dall’Egitto, dalla casa di schiavitù, con mano potente” (Esodo 13:14).

Un altro aspetto importante dell’insegnamento intergenerazionale in Israele è che non cadeva nel vuoto. Insegnare ai propri figli e nipoti faceva parte di un continuum storico e teologico, un ruolo piccolo ma importante da svolgere in funzione del piano della salvezza di Dio. Nel caso d’Israele, la trasmissione degli insegnamenti di Dio alla generazione successiva era un dato di fatto, un elemento chiave per la sopravvivenza del popolo di Dio. Il suo obiettivo era chiaro: “Così che tu tema il tuo Dio, il Signore, osservando, tutti i giorni della tua vita, tu, tuo figlio e il figlio di tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandamenti che io ti do, affinché i tuoi giorni siano prolungati” (Deuteronomio 6:2). Le persone possono essere motivate a ubbidire per paura o per amore. Dio suggerisce che insegnare ai bambini la sua legge e le sue esigenze potrebbe motivare tutti, genitori e figli, a ubbidire per amore.

Allo stesso tempo, è importante notare che l’insegnamento ai figli sarebbe preceduto da una serie di presupposti su Dio e sui “compiti a casa”, che i genitori avrebbero precedentemente appreso e compreso prima di pensare di iniziare le “lezioni” ai loro figli. Questo non è un caso unico per Israele. Questi presupposti sono essenziali per chiunque voglia impegnarsi in un sistema formale o informale di condivisione della conoscenza di Dio alle giovani generazioni.

 

Scoprire chi è Dio

Dopo aver delineato l’obiettivo e i risultati del prestare attenzione ai suoi insegnamenti [“Ascoltali dunque, Israele, e abbi cura di metterli in pratica, affinché venga a te del bene e vi moltiplichiate grandemente” (Deuteronomio 6:3)], Dio pronunciò le parole che sono diventate la confessione più nota per il popolo ebraico ancora oggi. “Ascolta, Israele: Il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore” (versetto 4).

Non si tratta di un dibattito tra trinitari e antitrinitari. L’attenzione si concentra sull’unicità di Dio. In poche parole, non c’è nessuno come lui (cfr. Geremia 10:6). “Poiché tutti gli dèi delle nazioni sono idoli vani; il Signore, invece, ha fatto i cieli” (Salmo 96:5). O come affermava una riconoscente Anna in 1 Samuele 2:2, dichiarando: “Nessuno è santo come il Signore, poiché non c’è altro Dio all’infuori di te”.

Prima ancora dell’insegnamento formale o informale, i genitori devono comprendere l’idea biblica di chi è Dio. Egli è il Dio creatore, che non solo ha creato, ma ha poi sorretto e protetto il suo popolo nel suo cammino. “Egli è l’oggetto delle tue lodi, è il tuo Dio, che ha fatto per te queste cose grandi e tremende che gli occhi tuoi hanno viste” (Deuteronomio 10:21). Pertanto, ogni requisito divino, ogni comandamento, ogni futura trasmissione di tali requisiti e insegnamenti alla generazione successiva si fonda sul carattere di questo Dio, che “dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa” (Atti 17:25).

Riconoscere l’unicità di Dio è un primo passo degno di nota. Tuttavia, non è un fine in sé. Al contrario, dovrebbe spingere il credente a impegnarsi con quel Dio unico in una maniera unica.

 

Impegnarsi con Dio

Una volta che il credente riconosce l’unicità di Dio, Dio stesso chiama il suo popolo ad amarlo con tutto ciò che è e che ha. “Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze” (Deuteronomio 6:5). A differenza della nozione greca di divinità ben al di là della comprensione dei terrestri umani, per sempre distaccata, per sempre irraggiungibile, Dio chiama il suo popolo a impegnarsi con lui in una relazione d’amore incorniciata dal nostro modo di pensare, sentire e agire. Non c’è nessun aspetto della nostra vita (i nostri pensieri, i nostri affetti, i nostri hobby, i nostri progetti, il nostro lavoro) che sia al di fuori della possibilità di interagire con il Padrone dell’universo.

Questa relazione è devota, sincera e dura tutta la vita. Può attraversare momenti difficili, ma anche le domande, i dubbi o le lamentele nei suoi confronti si svolgono all’interno di una comprensione che non esiste un piano B. Non c’è vita significativa senza Dio.

Questa relazione tra uomo e Dio non esita a fare domande o a chiedere spiegazioni, proprio come fece Abramo quando si schierò a favore dei cittadini di Sodoma. “Non sia mai che tu faccia una cosa simile! Far morire il giusto con l’empio, in modo che il giusto sia trattato come l’empio! Non sia mai! Il giudice di tutta la terra non farà forse giustizia?” (Genesi 18:25).

Non è sbagliato mettere in discussione la percezione dell’assenza o della lontananza di Dio, come fecero Davide e altri. “Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, e anche di notte, senza interruzione” (Salmo 22:2).

Una delle tragedie di molti giovani che crescono in case cristiane è forse quella di ricevere un modello preconfezionato e insipido di relazione con Dio. Non vanno mai oltre le preghiere formali e l’adorazione sommaria. Non imparano mai a lottare con Dio o a “chiacchierare”, pretendendo qualcosa da lui anche se alla fine si arrendono alla sua volontà. In queste circostanze, i nostri figli possono maturare spiritualmente in superficie, ma non sviluppano mai le radici. Possono rendere omaggio, ma non si impegnano mai con i loro pensieri, sentimenti e azioni più profondi. Alla fine, questo può portare ad andare in declino e a farli allontanare.

Attraverso dialoghi sentiti, testimonianze a cuore aperto e preghiere basate sulla Bibbia, il culto familiare quotidiano può diventare una straordinaria opportunità per insegnare alle giovani generazioni ad amare il Signore con tutto ciò che sono e hanno e in tutto ciò che fanno.

 

Un continuo momento di insegnamento

Dopo aver riconosciuto Dio, dopo che le sue parole dimorano nel cuore dei genitori e dopo che il nucleo familiare stesso impara a impegnarsi con lui in una completa relazione d’amore, può avere luogo un efficace insegnamento formale e informale.

Secondo la Bibbia, in questa fase sono fondamentali due elementi: la diligenza e la ripetizione. “Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai” (Deuteronomio 6:6-7).

Entrambi gli elementi sono importanti. La condivisione della conoscenza di Dio, dei suoi comandamenti e delle sue esigenze non è un evento occasionale, ma un impegno quotidiano, pianificato e calcolato. Un insegnamento della Bibbia casuale porta a cristiani casuali e superficiali o peggio. Per un genitore impegnato, ogni occasione a casa, nella natura o al mercato può diventare un’opportunità per imprimere una lezione nelle menti più giovani. Queste occasioni non sono semplici forum in cui i genitori condividono le loro opinioni e preferenze personali, ma “aule” in cui recitare e spiegare le parole di Dio in termini comprensibili ai bambini e in cui dare l’esempio.

In questo contesto, la presenza in chiesa il sabato può certamente essere la ciliegina sulla torta di una settimana di deliziosi pasti spirituali. Per quanto riguarda la nostra vita spirituale, un pasto alla settimana non è sufficiente. Solo il mangiare e il bere quotidiano dalla Fonte della vita è sufficiente.

 

 

Di Marcos Paseggi, corrispondente senior di Adventist Review; Marcos, insieme alla moglie Cintia, si occupa con passione di trasmettere la fede avventista ai suoi due figli adolescenti.

Fonte: https://adventistreview.org/lifestyles/family/one-meal-is-not-enough/

Traduzione: Tiziana Calà

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