Una grave crisi ci spinge a rivalutare il nostro modo di vedere e di fare le cose nell’ambito della salute, della finanza e dell’interazione sociale. Ma come influisce questa crisi sulle nostre pratiche religiose, partendo soprattutto dalla più comune, la preghiera?
La guerra contro il coronavirus è una guerra che si combatte non solo sul piano oggettivo, all’interno della società, ma anche sul piano soggettivo, nella realtà dei pensieri. Nel contesto di una crisi, è essenziale che le risorse interne siano bilanciate per gestire meglio il conflitto causato dalle nostre paure, dai nostri scenari e dalle nostre interpretazioni. Qual è, o potrebbe essere, il ruolo della preghiera tra le reazioni tipiche dell’essere umano in tempi di crisi?
La crisi come prova
Si dice spesso che le situazioni estreme rivelano la nostra vera natura. E, infatti, andando al supermercato e vedendo qualcuno prendersi tutta la farina o il lievito dallo scaffale, è difficile pensare ad altro che non sia che l’egoismo abbia preso il sopravvento. È difficile, se non impossibile, nascondere i nostri tratti dominanti in tempi di crisi. Ma questi tratti dominanti non sono sempre negativi.
Abbiamo grandi esempi anche dal punto di vista positivo, perfino nel contesto dell’escalation di questa pandemia. Da coloro che fanno donazioni alle persone in quarantena o alle varie istituzioni e iniziative coinvolte nella lotta contro la pandemia, al vicino che compra la spesa per la signora della porta accanto; le manifestazioni di altruismo sono molto probabilmente sfumature di un vecchio tratto dominante, manifestazioni che emergono in un nuovo contesto.
È difficile spiegare la presenza di questi tratti dominanti positivi se non per il loro costante nutrimento in tempi di “pace”, che poi continuano in tempi di crisi, dando origine a piccoli e grandi eroi. Uno dei modi più efficaci per coltivare i propri tratti positivi è quello di capire, controllare e canalizzare le proprie emozioni attraverso l’autoanalisi, il dialogo con alcune persone fidate e, nel caso della persona religiosa, con Dio.
L’idea di rivelare le nostre tendenze e le nostre inclinazioni attraverso una prova deliberata dettata dalla crisi è solo parzialmente precisa perché non mostra pienamente chi siamo, per la semplice ragione che nel momento della prova siamo in grado di fermarci, pensare a come vorremmo reagire e scegliere di non reagire come avremmo fatto “d’istinto”.
La crisi come opportunità
Per alcuni, una crisi è un momento di autoanalisi di quello che potrebbero diventare. Di fronte alle prove che la vita e le circostanze ci “offrono”, fermarsi può significare avere la possibilità di forgiare un altro percorso, ponendosi domande essenziali sullo scopo e sulla direzione a livello micro (Cosa devo fare? Dove devo andare?), o a livello macro (In che direzione fluiscono le cose?).
Per una persona che sa come funziona la preghiera, che sa chi sta pregando e sa come pregare ma non sente il desiderio di voler pregare, una crisi può essere un’occasione per resettare, ricominciare e riprovare. Una svolta nella storia del mondo può far scorrere la propria storia personale in modo diverso.
Questo potrebbe significare che, nella prova, non dovremmo scrivere nulla di ciò che abbiamo imparato e che ci viene “d’istinto”, ma, al contrario, dovremmo scrivere proprio quello che non sappiamo ma che vorremmo sapere. Un’opportunità del genere diventa la possibilità di tracciare la nostra vita su nuove coordinate. Il famoso neurochirurgo Ben Carson, ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti e attualmente parte dell’apparato amministrativo americano, descrive in uno dei suoi libri un momento cruciale della sua adolescenza, in cui è riuscito a trasformare il suo temperamento irascibile ed egoista in un temperamento razionale e sensibile.
La crisi come impulso
Per chi non è abituato al dialogo con Dio, una crisi ordinaria può essere la spinta per riprendere l’esercizio della preghiera. Ma non sempre. Un rapido sguardo nei reparti di un ospedale suggerisce che la sofferenza ha il potenziale di indurire le anime almeno quanto ha la capacità di predisporle alla preghiera. La frustrazione, la rabbia, le parolacce o le maledizioni (al personale, al sistema, persino a Dio) in alcuni casi sembrano emergere più facilmente di altri impulsi di origine spirituale.
Ma che dire della preghiera in tempi di grave crisi? In generale, in tali situazioni cerchiamo di incoraggiarci e crediamo che la determinazione ci aiuterà a superare la crisi. Allo stesso tempo, cerchiamo di essere forti, cosa più che normale. Ma il fatto che una grande crisi sia di per sé una congiuntura atipica, con dimensioni difficili da quantificare e con implicazioni imprevedibili, significa che, prima o poi, i limiti delle possibilità umane di risolvere la crisi saranno esauriti. Cosa fare allora, quando non c’è più nulla da fare, quando tutte le opzioni, le idee e le risorse interiori sono state esaurite?
Sappiamo che l’impotenza può portare alla frustrazione e alla rabbia, ostacolando qualsiasi iniziativa “verticale”. Ma può anche essere un’opportunità per premere un ultimo bottone, non perché è quello che abbiamo pianificato di fare (“lasciamo il meglio alla fine”) ma perché a un certo punto l’azione indesiderata diventa l’ultima possibilità e quindi necessaria. “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza”, rispose Dio a Paolo, parlando del sentimento di impotenza (2 Corinzi 12:9).
Quando è difficile per noi
A volte è difficile bussare alla porta di un ufficio, anche se sappiamo che lì c’è qualcuno che potrebbe aiutarci. Ciò che potrebbe trattenerci è la riluttanza a dipendere da qualcun altro per risolvere i nostri problemi. Tuttavia, Dio non cerca di farci indebitare. Se ciò che ha fatto per noi è stato fatto per amore, significa che non chiederà di essere ripagato per il bene che ha fatto (cfr. Matteo 5:45). Egli si prende anche l’onore della nuova collaborazione e della ripresa del dialogo, quando l’uomo decide finalmente di rivolgersi a Dio nella crisi che sta attraversando. “Gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti al loro grido” (Salmo 34:15).
Forse è difficile per noi rivolgerci a lui solo quando siamo in difficoltà. La ripresa del dialogo della preghiera può così essere scoraggiata dal senso di colpa che si prova dopo la mancanza di un contatto sostenuto con Dio in tempi pre-crisi. Ma la logica della reciprocità (“non ho pregato quando le cose andavano bene, come posso farlo ora?”) è smentita dalla posizione che il nostro interlocutore assume.
Rivalutare l’idea di cautela
In tempi di crisi, dopo aver affrontato lo shock iniziale e dopo una rapida o dettagliata valutazione della situazione, la cautela può assumere varie forme. Si può esprimere così nell’esempio classico: durante un viaggio serale notiamo in lontananza qualcosa sulla strada. La nostra cautela ci indurrà a fermarci per salvare eventualmente una vita. Ma in situazioni di crisi, paradossalmente, la prudenza può essere espressa non fermandosi, ma agendo: se un uomo a riva vede qualcosa in lontananza, tra le onde, ma non è sicuro che si tratti di un nuotatore spericolato o di qualcos’altro, può decidere che la cosa più prudente da fare è non ignorare che una vita potrebbe essere in pericolo, rinunciando all’eccessiva cautela di proteggere, molto semplicemente, la propria vita.
In tempi di crisi, paradossalmente, lo spirito prudente può manifestarsi proprio attraverso una mancanza di riluttanza che sarebbe tipica della prudenza. La prudenza può trasformarsi in azione. Nel nostro rapporto con Dio, la prudenza può assumere la forma di un salto di fede, soprattutto perché la posta in gioco personale è molto alta. Pensare in tempi di crisi se riprendere o meno il dialogo con Dio può rivelarsi in un secondo momento una cosa sconsiderata, una perdita.
La prova della crisi, quindi, mostra non solo ciò che siamo, ma anche ciò che possiamo diventare. Anche se siamo inclini a essere piuttosto riservati dopo un passato dialogo frammentato o insoddisfacente con Dio, è importante sapere che possiamo contare sull’apertura al dialogo di un Dio costante. Esplorare un’interazione con Dio, capace di portare equilibrio dentro di noi e di chiarire la direzione della nostra vita, fa parte dell’equazione di “formattazione” per il cristiano. E, per essere autentici, questa “formattazione” della propria vita può essere fatta solo con l’aiuto del Creatore.
Di Florin Iacob, pastore avventista del settimo giorno.
Fonte: https://st.network/health/covid-19/covid-19-crisis-prayer.html
Traduzione: Tiziana Calà