Come il coronavirus spinge le persone a considerare Dio

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Sono psicologo, scrittore e pastore cristiano. Ho notato qualcosa in molti dei miei pazienti tradizionalmente non credenti, umanistici o semplicemente atei. All’improvviso ora offrono a Dio una seria possibilità. Nelle ultime due settimane ho parlato con diversi di loro che non avevano mai mostrato interesse per le cose spirituali.

In quanto analista, il mio primo obiettivo è facilitare, affrontare, esaminare e incoraggiare le domande esistenziali dei miei pazienti; interrogativi che, sorprendentemente, non causano loro ansia e caos nella vita psichica interiore, ma l’esatto contrario: domande basate sul considerare il credere in Dio come qualcosa, o meglio, Qualcuno che porta la pace e l’ordine nell’ansia, nella paura e nel caos del loro mondo.

 

Una differenza sorprendente
Da psicologo e pastore, ho avuto numerose conversazioni sulla bontà e l’equità di Dio, e sull’esistenza del male, del dolore e della sofferenza nel mondo. Discorsi che iniziano con le parole: «Se Dio è così buono, perché permette…». Ognuna di queste conversazioni è cruciale per le persone alle prese con tali questioni, che sono piene di dolore personale, confusione e rabbia verso Dio.

Ma i dialoghi recenti sono diversi. Hanno tutti una cosa in comune: si focalizzano sull’avere una relazione con Dio come metodo di sopportazione efficace e sano; qualcosa che li aiuterà non solo a sopravvivere a questa crisi, ma a migliorare in mezzo ad essa.

Ciò è strabiliante, perché ognuno dei pazienti con i quali ho parlato ha una vasta storia di problemi cronici di salute mentale (per lunghezza e gravità, o per entrambi), e la maggior parte di loro ha anche criticità dovute all’abuso di sostanze dannose (droghe, alcol o entrambi). Ciò significa che in passato hanno tentato di affrontare i loro problemi utilizzando metodi negativi (co-dipendenza, ansia, depressione, pensieri sbagliati, dipendenza, ecc.). Ma ora, all’improvviso, non si rivolgono a nessuno di questi metodi; invece, considerano seriamente Dio come la loro principale fonte per affrontare i problemi.

Certo, in quanto loro analista, mi è vietato, per legge ed etica, condividere le mie opinioni personali e cercare di convincerli a venire dalla mia parte «cristiana» della barricata. E anche se non fosse contro la legge o le migliori pratiche cliniche, non lo farei lo stesso, semplicemente perché nessuno vuole essere manipolato emotivamente quando si trova in un periodo di intensa crisi emozionale ed esistenziale. La scelta di diventare cristiano in seguito a questo tipo di manipolazione non dura. La fede sarebbe immatura e superficiale.

 

Considerare il cristianesimo
Parlando da pastore, mi piacerebbe che tutti i miei pazienti prendessero in considerazione il cristianesimo. Sono entusiasta per coloro i quali muovono questo primo passo e pongono alcune domande difficili sul ruolo che Dio svolge nella loro vita. Tutti arrivano a Dio attraverso piccoli passi consecutivi. Anche le persone che sono state cresciute in famiglie cristiane (come me), devono arrivare a un punto in cui si quadra la dissonanza cognitiva di porre la propria, totale fiducia e fede in Qualcuno che non si può vedere, udire o toccare. Avere una fede del genere richiede onestà, tempo ed energia. Perché tutti noi – sì, cristiani compresi – non lasciamo il cervello fuori dalla porta quando dobbiamo affrontare le complessità della vita.

Non posso sapere cosa pensa o sente Dio, ma lo so: è felice, molto più di me, che i miei pazienti abbiano iniziato questo viaggio. In qualunque modo decidano di agire nei riguardi di Dio in futuro, so che staranno meglio grazie al fatto che prendono in considerazione la fede nel Signore. Sono onorato e stupito, come loro psicologo, di partecipare a questa ricerca molto personale e delicata.

 

 

Fonte: Il Messaggero Avventista

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