In collegamento con le persone anziane

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La quarantena non è la fine del mondo.

 

Ormai le abbiamo già viste: video di persone, vicini di casa, famiglie, colleghi, che si presentano fuori dalla finestra di qualcuno per fare gli auguri e, in un caso, per festeggiare il centesimo compleanno di una donna che è stata isolata a causa del virus COVID-19. Sono tempi difficili per tutti noi, ma per gli anziani la situazione è particolarmente impegnativa.

Mio padre, 92 anni, vive in una comunità di pensionati dall’altra parte del Paese. Quando l’ho contattato qualche settimana fa per la nostra visita settimanale tramite Facetime, le sue prime parole sono state: “Sono stato messo in quarantena!”

Rispetto a molti, mio padre è in un buon posto. È vero, dovrebbe stare nel suo monolocale. E quando cammina per il corridoio (per prendere la posta, per esempio), deve stare ad almeno un metro e mezzo di distanza dalle altre eventuali persone. Ma i suoi pasti vengono consegnati nella sua stanza in contenitori usa e getta, lasciati su uno sgabello appena fuori dalla sua porta tre volte al giorno; qualcuno viene a pulire il suo appartamento una volta alla settimana; e gli è stato assicurato che i dipendenti della struttura sono monitorati per assicurarsi che nessuno di loro sia affetto da coronavirus.

Ma la struttura ha temporaneamente annullato le visite di persone esterne e ha proibito ai suoi residenti di uscire, dove potrebbero essere esposti al virus.

Per un omaccione che è abituato ad andare a trovare gli amici in sala da pranzo, a partecipare a studi biblici settimanali e ai servizi della sera, ad andare in giro per negozi e a prendere la navetta per andare in chiesa una volta alla settimana, tutto questo ha il sapore dell’isolamento.

Possiamo solo immaginare le difficoltà riscontrate dalle altre famiglie. Conosco una donna che ora si trova nell’impossibilità di andare a trovare il marito, che ha oltre 60 anni. Il marito della donna, allo stadio finale del morbo di Parkinson, sta peggiorando verso la demenza senile. Lei teme che lui non capisca la sua incapacità di fargli le solite visite quotidiane. L’idea stessa che lui debba morire da solo, senza che lei abbia la possibilità di dirgli addio, le provoca insonnia.

Alcune strutture permettono alle famiglie di visitare i malati in ospizio. Ma molti pazienti resistono, abbastanza bene da essere rallegrati dai familiari o dagli amici, ai quali è ormai è impossibile far loro una visita.

Ci rendiamo conto che questi sono tempi e condizioni senza precedenti. Quando pensiamo che alcuni dei più grandi focolai della malattia si sono verificati in strutture che ospitano anziani, dobbiamo apprezzare le misure un po’ severe che sono state adottate.

Ma cosa possiamo fare? Non c’è altra soluzione se non quella di restare a guardare?

Possiamo agire.

Per prima cosa, possiamo sostenere coloro che sono visibilmente preoccupati dal non poter visitare una persona a loro cara. Con telefonate, e-mail e bigliettini, possiamo comunicare loro la nostra solidarietà. Ma invece di presentare loro banali luoghi comuni, mettiamo a loro disposizione delle orecchie pronte ad ascoltare, le nostre, senza nessun tipo di giudizio. Più che consigli, queste persone hanno bisogno di empatia e di qualcuno su cui fare affidamento.

In secondo luogo, se quelli che si trovano in isolamento sono in grado di intendere e di volere, possiamo inviare cartoline e chiamarli. Le situazioni variano da persona a persona, ma esistono alcune opportunità di estendere l’amore di Cristo in qualche forma o modo per chi è disposto a pensare fuori dagli schemi.

In terzo luogo, possiamo progettare qualche dimostrazione pubblica – un mini-concerto, una manifestazione gioiosa, o un’esibizione davanti a una finestra dove chi è confinato può godersi lo spettacolo. Seguite sempre le istruzioni dei funzionari sanitari locali per quanto riguarda i gruppi e le distanze, ma il COVID-19 non attacca lo spirito comunitario.

Tra qualche settimana o mese saremo dall’altra parte di questa crisi. Facciamo in modo che, per quanto possibile, ne usciremo tutti insieme.

 

 

Di Stephen Chavez, vicedirettore della rivista Adventist Review

Fonte: https://www.adventistreview.org/connecting-with-seniors

Traduzione: Tiziana Calà

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