Posso essere onesta?

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“Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti” (Giacomo 5:16).

 

Da giovane adulta, mi sono interrogata sull’immagine che questo versetto portava con sé. Come protestanti, perché avremmo dovuto confessare i nostri peccati gli uni agli altri? Non era forse poco biblica l’idea di confessare il peccato a un altro essere umano? Non avevamo accesso direttamente a Dio, attraverso Gesù? E poi c’era la questione della riservatezza. Nella mia comunità di fede, i guai sembravano essere un alimento per il pettegolezzo piuttosto che per la preghiera.

Solo dopo molti anni ho sperimentato una comunità di fede in cui questo versetto veniva vissuto davvero. La nostra giovane famiglia si trasferì in una piccola città e la chiesa avventista della nostra città non aveva giovani famiglie con bambini. Sentendomi isolata, mi sono rivolta a una chiesa proprio dietro casa nostra e sono stata invitata a far parte di un gruppo femminile che aveva incontri infrasettimanali. Per quasi tre anni, ogni mercoledì mattina mettevo i miei bambini nel passeggino e camminavo per andare a incontrare un piccolo gruppo di donne di varie denominazioni che si riunivano per parlare della loro vita e per pregare.

È stato in quel gruppo che ho visto per la prima volta delle persone essere oneste riguardo alla sfida di vivere come discepoli di Gesù, di imparare a seguire Gesù e a essere più simili a lui. Erano oneste su cose di cui non avevo mai sentito parlare altri cristiani: la meschinità della loro vita di pensiero, la rabbia, l’auto-giustizia e l’orgoglio; le loro lotte per vivere il frutto dello Spirito nelle loro famiglie e sul posto di lavoro. È stato sedendo in mezzo a loro, ascoltando la loro condivisione e la loro preghiera, settimana dopo settimana, che ho iniziato a riflettere sulla mia comprensione molto povera del peccato.

Nella mia comunità di fede, avevo in qualche modo assorbito l’idea che il peccato fosse la violazione della legge di Dio, come delineata nei dieci comandamenti. Da bambina avevo cercato di essere buona. In effetti, poiché non mi sembrava di aver fatto delle cose così terribili, faticavo a capire perché Gesù dovesse morire per me. Anche se la mia esperienza del peccato è diventata ben più reale man mano che crescevo, tendevo ancora a pensare al peccato in termini di comportamento intenzionale che dovevo evitare e di comportamento buono che dovevo assumere, piuttosto che un cambiamento di crescita e trasformazione che dovevo fare.

Riflettendo sull’onestà delle donne di quel piccolo gruppo, ho iniziato quello che è diventato un percorso lungo tutta la vita verso una comprensione molto più profonda di chi è Dio e di chi vuole che io sia. Sto ancora imparando che Dio è la fonte di ogni speranza, amore e bontà, e che il suo desiderio è che io trascorra del tempo alla sua presenza, imparando a contemplare la sua bellezza (cfr. Salmo 27:4), in particolare quella esemplificata nella vita di Gesù. Così facendo, imparo ad amarlo con tutto il mio cuore, la mia anima e la mia mente, il che mi aiuterà a imparare ad amare gli altri come amo me stessa (cfr. Matteo 22:36-40).

Quando inevitabilmente non riesco ad amare Dio e le persone come ha fatto Gesù, l’onestà delle donne di quel gruppo mi aiuta a ricordare che questo processo “non è l’opera di un momento, di un’ora o di un giorno, ma di tutta una vita” (Ellen White, AA, pp. 560-61), perché la vita continua a cambiare e a creare nuove circostanze che mi ricordano i molti modi in cui non sono come Gesù. Per di più, la missione di somigliare a Cristo “non può essere completata in questa vita, ma proseguirà in quella futura” (Ellen White, Principi di educazione cristiana, p. 12). E nei momenti in cui vorrei essere meno imperfetta, quando vorrei che il processo della mia formazione (cfr. 2 Corinzi 3:18; Romani 8:29; Galati 4:19) potesse essere affrettato, è l’onestà di quelle donne che mi aiuta a ricordare che essere formati a immagine di Gesù è un percorso continuo.

Quando comprendiamo veramente che il discepolato cristiano è un percorso che dura tutta la vita, le nostre maschere possono essere tolte e possiamo essere onesti sui nostri pensieri ed emozioni negative, così come sui nostri fallimenti nel vivere gli ideali di amore esemplificati e incarnati da Gesù. Le nostre radici avventiste affondano nel metodismo, un movimento che enfatizzava la riunione in piccoli gruppi. Settimanalmente, si riunivano e si chiedevano l’un l’altro: “Come sta la tua anima?”. In qualche modo, nei decenni successivi, questa pratica è stata trascurata e quasi dimenticata nella maggior parte delle nostre comunità religiose. Ma immaginate se potessimo riportare in auge questa pratica. Immaginate se potessimo creare spazi sicuri per riunirci e confessare i nostri peccati l’uno all’altro, per portare alla luce gli angoli bui dei nostri cuori e delle nostre menti (cfr. Giovanni 8:12) e per pregare l’uno per l’altro, in modo da poter essere guariti dalla nostra vergogna.

 

 

Di Edyta Jankiewicz

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2023/05/19/can-i-be-honest/

Traduzione: Tiziana Calà

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