Perché il nostro prossimo è la chiave per capire Dio

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chiave di comprensione

Dio mi ha sempre affascinato. Eppure, credo che avrei potuto conoscerlo molto meglio, molto più profondamente, se solo avessi compreso meglio ciò che cercava di insegnarmi ogni giorno, anche attraverso il mio prossimo.

 

A 20 anni, frequentavo il secondo anno della Facoltà avventista di Teologia in Romania. L’inverno precedente avevo vissuto una delle esperienze più belle della mia vita: avevo tenuto la mia prima serie di presentazioni per persone al di fuori della chiesa avventista. Ero entusiasta di vedere Dio che operava sia nella mia vita sia in quella di coloro che avevano preso parte agli incontri. Per me, tutto ciò che si era svolto durante quelle due settimane è stato come una serie di miracoli. Uno di questi miracoli era profondamente personale: ho imparato a pregare per gli altri più che per me stesso.

Anche se all’epoca non l’avevo pienamente compreso, Dio mi stava conducendo su un sentiero di scoperta, che continuo a percorrere oggi con lo stesso senso di meraviglia. Quel momento ha segnato l’inizio di una serie di eventi che mi hanno aiutato a vedere Dio non solo come il mio Dio, ma anche come il Dio del mio prossimo. Col tempo ho capito che questa comprensione di Dio è allo stesso tempo incredibilmente bella e profondamente impegnativa.

 

La Scrittura e la cura del prossimo

Nella Bibbia, il “prossimo” è una figura straordinariamente importante. Così importante, infatti, che quando Dio incise la legge con il proprio dito, menzionò due volte il prossimo (cfr. Esodo 20:16-17). In ebraico il termine compare oltre 100 volte nella Scrittura. Il significato primario della parola ebraica sembra comprendere “amico, compagno, collega, un altro, l’altro”.

Nonostante ciò, il popolo ebraico ha storicamente lottato per identificare il proprio “prossimo”. Anche ai tempi di Gesù, alcuni si chiedevano ancora: “E chi è il mio prossimo?” (Luca 10:29). Oggi, anche se il termine sembra semplice, spesso lottiamo per identificare la persona che Gesù ci ha invitato ad amare come noi stessi (cfr. Matteo 19:19).

A volte, anche la Bibbia sembra aumentare questa ambiguità semantica. Da un lato, ci comanda di “amare il nostro prossimo come noi stessi”, ma dall’altro istruisce il popolo d’Israele a punire severamente, anche con la morte, alcuni trasgressori, apparentemente a prescindere dal loro atteggiamento dopo essere stati scoperti (cfr. Deuteronomio 19:21). Allo stesso modo, nel Nuovo Testamento, Paolo ordina ai corinzi di consegnare un peccatore “a Satana” (1 Corinzi 5:5).

In che modo, dunque, dobbiamo amare il nostro prossimo e in che modo, per certi versi, la strada verso Dio passa attraverso la porta di questa figura enigmatica?

 

I confini dell’amore

Una delle prime verità che ho imparato su Dio, in relazione al prossimo, è che l’amore implica la definizione di limite. Amare, dal punto di vista di Dio, significa concedere all’altro la libertà di dire no. Qualche anno prima, mi ero imbattuto in un versetto stimolante: “Ogni cosa perfetta ha un limite” (Salmo 119:96). All’epoca, faticavo a comprenderne il significato. La perfezione, pensavo, non dovrebbe essere illimitata, come Dio? Eppure, la realtà sembrava suggerire il contrario. A poco a poco, ho cominciato a capire che, affinché potessimo gustare l’amore e sperimentarlo pienamente, Dio ha scelto di porzionarlo in parti più piccole e digeribili.

Nonostante la nostra piccolezza e la nostra cecità alla realtà attraverso prospettive distorte, Dio rispetta le nostre scelte, pur amandoci con “un amore eterno” (Geremia 31:3). In un certo senso, il modo in cui Dio si relaziona con noi rivela più del suo carattere che del nostro. Per lui, questo principio di libertà è così vitale che spesso permette il male per dare all’umanità la libertà di dire no.

È importante ricordare, tuttavia, che nella Bibbia la libertà non riguarda solo l’amore, ma anche la responsabilità. Il giudizio finale è la prova che gli esseri umani sono esseri razionali e, quindi, responsabili delle loro decisioni.

Non si tratta di dare con una mano per poi togliere con l’altra. È piuttosto la prova che quando Dio ha dichiarato che l’umanità è stata creata “a sua immagine e somiglianza” (cfr. Genesi 1:26), lo pensava davvero. La responsabilità non è una trappola, ma un’altra testimonianza del suo amore infinito (cfr. Ecclesiaste 11:9).

 

Il mio prossimo è il suo prossimo

La prospettiva di Dio sul mondo è sempre stata infinitamente più grande e complessa della comprensione che i suoi figli hanno avuto di ciò che li circondava. A volte ha permesso ai raggi di luce di illuminare la loro comprensione, rivelando la sua grandezza e la sua saggezza. Sebbene gli israeliti fossero il popolo eletto da Dio, la Scrittura riporta anche personaggi estranei che hanno dimostrato una fede e un’intuizione maggiori di alcuni che si dichiaravano suoi seguaci.

Ancora più sorprendente è il fatto che Dio parlò al popolo d’Israele attraverso Amos, dicendo: “Noi siete forse per me come i figli degli Etiopi, o figli d’Israele? dice il Signore. Non ho forse condotto Israele fuori dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftor e i Siri da Chir?” (Amos 9:7). Molte profezie dell’Antico Testamento si rivolgevano ad altre nazioni, fornendo una chiara prova che Dio era attivamente coinvolto nel guidare le loro storie in modi ben diversi da quelli che alcuni in Israele credevano.

Quando ho compreso questa verità e ho iniziato a cercarne le prove nella vita delle persone e nella storia, la mia comprensione di Dio si è approfondita. Ho cominciato a capire perché la vita di coloro che non lo cercano è a volte piena di pura gioia, perché molti che non lo desiderano hanno tutto ciò che desiderano in questo mondo e perché egli ascolta le preghiere di coloro che non pregano come me. L’ho visto molto più vicino all’umanità di quanto la gente spesso si renda conto.

Questa consapevolezza mi ha affascinato e mi ha insegnato ad avvicinarmi agli altri con maggiore fede e interesse. Sono persone nella cui vita Dio è all’opera, proprio come lo è nella mia. Paradossalmente, grazie a questa comprensione, ho scoperto molte cose nuove su come lui si avvicina a me.

 

Cose che avrei voluto sapere a 20 anni:

  1. Dio è presente in ogni persona che mi circonda. Scoprendo il mio prossimo, scopro nuove sfaccettature del suo amore.
  2. Il mio rapporto con Dio non si limita al mio legame personale con lui, ma si estende al modo in cui tratto e amo gli altri.
  3. La comprensione di Dio non deriva solo dallo studio della Scrittura, ma anche dalla creazione di legami con coloro che mi circondano.
  4. Dio compie miracoli non solo nella mia vita, ma anche in quella degli altri, e posso imparare molto su di lui osservando queste meraviglie.
  5. L’unità tra le persone e l’amore reciproco sono la prova più potente della presenza di Dio nel mondo.

 

Il mio prossimo ha bisogno di me

Potremmo essere tentati di pensare che se Dio sta già facendo così tanto per gli altri, non ha molto senso che noi facciamo qualcosa. Non rischieremmo di interrompere il bene che egli intende fare intervenendo? Eppure, è proprio qui che lo scopo di Dio diventa chiaro. Egli ci ha creati per essere “vicini” gli uni agli altri. Per questo ha dichiarato fin dall’inizio: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Genesi 2:18). Questa idea trova una continuazione nel Nuovo Testamento, quando Gesù sceglie dodici apostoli per “tenerli con sé” (Marco 3:14), perché gli stiano vicino.

Siamo inseriti in una vasta famiglia umana, in cui dipendiamo gli uni dagli altri e siamo chiamati ad amarci e ad aiutarci a vicenda, perché siamo tutti fratelli e sorelle (cfr. Matteo 23:8). Il desiderio di Dio è quello di benedire coloro che mi circondano attraverso le mie azioni e di benedirmi attraverso le loro. In definitiva, è lui che opera in noi e attraverso di noi. Ciò che facciamo gli uni per gli altri non deve essere un riflesso delle nostre virtù, ma delle sue.

Quando l’umanità cadde nel peccato, le persone divennero una maledizione l’una per l’altra, al punto che il primogenito divenne l’assassino del proprio fratello, colui che era stato il suo più caro amico. Questa tragica storia sottolinea perché, quando Gesù disse che i suoi discepoli sarebbero stati riconosciuti dalla loro unità, stava indicando qualcosa che solo lui poteva realizzare. Il segno distintivo della nuova creazione era l’unità, un segno inconfondibile della sua opera.

Questa immagine di Dio mi affascina ora più che mai. In essa vedo la sua bontà e la sua saggezza, il suo amore e la sua giustizia, in modi che prima non avevo mai colto appieno. Anche se non capisco ancora del tutto questa prospettiva, mi riempie di fede e di speranza. Mi dà la forza di pregare e di essere paziente, di trovare pace, coraggio e una prospettiva rinnovata sulle relazioni. Non ha forse detto (come si legge in Matteo 25:40) che nelle nostre interazioni con “il più piccolo di questi suoi fratelli e sorelle” lo incontriamo?

 

 

Di Adrian Neagu, oggi 45enne, che un tempo aveva una visione molto più ristretta della fede. A 20 anni, come studente del secondo anno della Facoltà avventista di Teologia in Romania, credeva che Dio fosse vicino solo a coloro che gli ubbidivano. Con il tempo, ha capito che l’espressione più profonda dell’amore per Dio si trova nell’amore per il prossimo.

Fonte: https://st.network/analysis/top/why-our-neighbour-is-the-key-to-understanding-god.html

Traduzione: Tiziana Calà

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