Perché gli altri amano Gesù in modo diverso da noi?

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Per quanto strana possa sembrare questa domanda, è anche difficile e ha conseguenze tutt’altro che trascurabili. Anche se non viene sempre formulata così, o forse non viene nemmeno pronunciata ad alta voce, tutti si pongono questa domanda.

 

Probabilmente tutti i bambini i cui genitori fanno parte di una comunità di fede si accorgono a un certo punto che il modo in cui i genitori vivono la fede non è identico a quello dei loro amici di famiglia o di chiesa.

Se è vero che appartenere a una chiesa significa aderire a un insieme di norme accettate dai membri di quella denominazione religiosa, è altrettanto vero che ognuno dei membri cerca di dare vita a quelle norme a modo suo, in base alla propria comprensione e all’esperienza fatta fino a quel momento. Senza rendercene conto, portiamo con noi nuovi elementi che provengono dalle tradizioni dei luoghi in cui siamo cresciuti, dalle chiese di cui abbiamo fatto parte o dal modo in cui i nostri genitori hanno capito a loro volta come vivere la propria fede.

Inoltre, la Bibbia dice che nella chiesa ci sono sia il “grano” che la “zizzania”, le “pecore” e i “capri” (o anche i “lupi selvaggi”), i fratelli sinceri e i “falsi credenti” (cfr. Matteo 13:25; 25:33; Atti 20:29; Galati 2:4). Anche se non siamo chiamati a giudicare, sicuramente questa eterogeneità non passa inosservata ai nostri figli, che sanzioneranno con la stessa onestà i nostri impulsi farisaici.

Alla maggior parte di noi è stato insegnato che in pubblico dobbiamo comportarci in modo diverso che a casa, perché lì “il mondo ci vede”. Anche se Dio riempie il cielo e la terra (cfr. Geremia 23:24), la paura più grande che abbiamo (e che trasmettiamo ai nostri figli) è legata all’opinione della maggioranza, o almeno di quelle persone che hanno per noi un qualche rilievo. In questo modo, infatti, diamo il via a un atteggiamento ambiguo e dobbiamo accettare che gli altri a volte facciano lo stesso. Quindi, un po’ di indulgenza in più non è superflua.

Questi sono solo alcuni motivi significativi per cui ci saranno sempre differenze tra il modo in cui viviamo la nostra fede e il modo in cui la vivono gli altri.

Noi ci siamo resi conto di questa realtà molto presto nella vita delle nostre figlie. Per esempio, la nostra figlia maggiore è rimasta molto sorpresa nel vedere un piccolo filmato con personaggi dei cartoni animati proiettato in chiesa durante un programma dei giovani. Sapeva che non guardiamo cartoni animati di sabato e non capiva perché fossero ammessi in chiesa. Man mano che le bambine crescevano, questo tipo di domande e di situazioni si moltiplicavano.

Anche se non abbiamo sempre tutte le risposte che vorremmo, ci piacerebbe condividere alcune cose che ci hanno aiutato a trovare il modo di rispondere a questo tipo di domande:

 

Cercare di capire perché si fa quello che si fa. Dobbiamo esaminare attentamente le nostre abitudini e i modi specifici in cui viviamo la nostra fede, cercando di determinare i fondamenti del nostro comportamento religioso, distinguendo tra ciò che è un principio comandato dalla Scrittura e ciò che è tradizione o consuetudine. La tradizione non è un male in sé, ma non ha la stessa autorità normativa della Parola scritta.

Quando capiremo questo concetto, saremo anche in grado di spiegarlo ai nostri figli, aiutandoli a capire perché abbiamo scelto un certo modo di esprimere la nostra fede e non un altro. Quando saranno più grandi, potremo mostrare loro che cosa è esattamente un’usanza o una tradizione e che cosa è una norma o un principio. È impossibile vivere senza tradizioni, ma non dobbiamo trasformarle in una norma che imponiamo indiscriminatamente agli altri.

I nostri figli devono saperlo per potersi relazionare con gli altri sulla base di questa comprensione, che avrà un effetto benefico anche su di noi, perché quando loro cresceranno e sceglieranno il proprio modo di vivere la fede, noi genitori non avremo l’impressione che rinunciare ad alcune nostre abitudini significhi rinunciare a Dio. Non solo dobbiamo distinguere tra tradizione e norma, ma è auspicabile creare tradizioni vive nella nostra famiglia che aiutino i nostri figli ad avere la sicurezza di un ambiente di vita prevedibile e stabile, condizione essenziale per uno sviluppo equilibrato e desiderabile.

 

Non dire agli altri di fare qualcosa che noi stessi non facciamo. È già evidente che molti di noi, tra tutte le attività quotidiane, sono i più bravi a dare consigli. Non dobbiamo dimenticare che siamo un modello per i nostri figli non solo in chiesa, ma anche a casa, nel traffico o in vacanza, e che ogni consiglio che diamo agli altri deve essere supportato dal nostro comportamento, altrimenti daremo solo una lezione di ipocrisia ai nostri figli. Inoltre, in questo modo, impareranno che va bene dire una cosa e farne un’altra, prendendo facilmente questo stile di vita ambiguo.

 

Aiutare i bambini a comprendere il concetto di “santità”. Se leggiamo attentamente la Bibbia, ci sorprendiamo di quanto spesso incontriamo l’idea del “timore del Signore”. Salomone dice addirittura che questo “timore” è l’inizio della saggezza, che allunga i giorni e può proteggere da molte decisioni che poi si trasformeranno in rimpianti.

Il Nuovo Testamento afferma che “nell’amore non c’è paura”, ma questo non significa che possiamo vivere come ci pare e piace, né che possiamo rapportarci a Dio con noncuranza. Il caso di Anania e Saffira ci dà un’importante lezione. Non possiamo chiedere ai nostri figli di rispettare un Dio che non conoscono e non amano, ma non possiamo nemmeno incoraggiarli ad amare e rispettare un Dio che è solo raffigurato a loro immagine e somiglianza.

 

Evitare di giudicare gli altri o di credere che solo il nostro modo di vivere la fede sia quello giusto. Non siamo stati chiamati al compito di separare il mondo in buoni e cattivi. Fino alla fine della storia, i malvagi abiteranno “in mezzo” ai buoni. La priorità assoluta deve rimanere la “trave” nel nostro occhio, piuttosto che la “pagliuzza” negli occhi o nell’anima degli altri.

Non giudicare gli altri non significa, tuttavia, non dover spiegare ai nostri figli perché scegliamo di non comportarci come gli altri. Dobbiamo insegnare loro che è Dio a giudicare le loro motivazioni, non noi, ma che la nostra responsabilità è quella di rappresentare il Signore davanti agli altri nel modo più bello possibile.

Non è la gioia di strade dorate o la paura del fuoco dell’inferno il motivo della nostra fedeltà, ma l’amore di Dio per noi. Non dobbiamo insegnare ai nostri figli a confrontarsi con gli altri, né a pensare che una certa pratica religiosa li renda più santi degli altri.

 

L’appartenenza a una chiesa non fa di una persona un modello o un vero amico. Dobbiamo ammettere che molte volte ci sono state tragedie, abusi e comportamenti indesiderati anche all’interno della chiesa. Il fatto che ci sediamo tutti sotto lo stesso tetto e cantiamo di fronte allo stesso pulpito non significa che siamo tutti pienamente consacrati ai principi della Scrittura, né che vediamo il mondo dalla stessa angolazione.

Dobbiamo insegnare ai bambini a essere selettivi anche con i loro coetanei della Scuola del Sabato o con gli amici di scuola quando scelgono i loro amici più stretti. Questo non si riferisce solo ai coetanei. Non dimentichiamo che il diavolo che può entrare in cielo può entrare anche nella nostra chiesa, anche se l’abbiamo consacrata a Dio.

Rimane, però, una preoccupazione che forse dovrebbe darci più da pensare: non essere quelli che allontanano gli altri da Gesù. Probabilmente una delle cose più semplici che dovremmo fare per i nostri figli è aiutarli a capire che la vita di fede è bella solo quando è viva e quando la gioia di stare con gli altri nella lode diventa contagiosa. Le nostre preghiere, se riguardano solo noi, ci renderanno gradualmente egoisti e isolati. È amando gli altri che cresciamo veramente. E non è forse questo il senso della chiesa stessa?

 

 

Di Alina e Adrian Neagu, che stanno crescendo insieme ad Alesia e Arianda e stanno imparando continuamente che l’esempio personale è una delle chiamate più importanti che i genitori ricevono.

Fonte: https://st.network/religion/why-do-others-love-jesus-differently-than-we-do.html

Traduzione: Tiziana Calà

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