Non avere le risposte

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Vania Chew sa che Dio vede più lontano di noi. Ma è difficile ricordare questo concetto quando uno dei nostri cari viene ricoverato in ospedale.

Di recente, una mia cara amica ha fatto un colloquio di lavoro che aspettava da tanto tempo. La posizione lavorativa sembrava fatta su misura per lei; le avrebbe infatti permesso di parlare la sua lingua madre, così come di mettere in pratica le qualifiche richieste che possedeva ed era a soli 15 minuti a piedi da casa sua. Quella sera, quando ci siamo viste per cena, per aggiornarci un po’ sulle nostre vite, era ancora tutta trepidante dall’emozione!

Pensava proprio che il colloquio fosse andato a buon fine. L’intervistatrice era rimasta positivamente impressionata dall’esperienza della mia amica ma le aveva anche ricordato che quel colloquio era solo l’inizio di un procedimento più lungo; se avesse passato quella fase, la mia amica avrebbe dovuto infatti rifare un colloquio di fronte a quattro o cinque esaminatori.

Durante la cena, la mia amica sussultava ogni volta che sentiva squillare il telefono o che la suoneria la avvertiva dell’arrivo di un nuovo messaggio. Ma con il passare delle ore era sempre più scoraggiata, chiedendosi perché non l’avevano ancora contattata.

Ero davvero stupita. Dopotutto, aspettarsi una chiamata dopo solo poche ore dal primo colloquio mi sembrava un tantino ottimistico!

(Photo: iStock)

Ma poi la mia amica mi ha spiegato che prima di allora non aveva mai dovuto aspettare che un potenziale datore di lavoro la contattasse per primo. Aveva iniziato a lavorare ricoprendo una posizione di volontariato, dove non c’era nessuna lista di attesa. Dopo quella prima esperienza, le erano stati offerti immediatamente altri lavori: i suoi datori di lavoro erano alla disperata ricerca di qualcuno o avevano deciso seduta stante che lei corrispondeva esattamente alla persona che stavano cercando. Non aveva mai sperimentato l’attesa prima di quel momento, era un qualcosa di nuovo per lei.

Quella settimana ci siamo incontrate ancora e la sua impazienza era diventata ormai palpabile. Perché non l’avevano ancora richiamata? Perché il Signore non le poteva dire subito se quello era il lavoro giusto per lei oppure no?

Una parte di me sorrideva di fronte alla sua impazienza, l’altra parte di me era empatica nei suoi confronti. Dopotutto, quante volte mi ritrovo a essere impaziente col Signore? Quante volte mi aspetto delle risposte immediate o che i miei desideri si realizzino subito?

Così le dissi di essere paziente; le dissi di fidarsi di Dio e del Suo piano, sicura che Lui vuole il meglio per lei, anche se quello non si fosse rivelato il lavoro giusto. L’ho invitata a restare tranquilla, certa che Dio vede più lontano, anche quando noi riusciamo a vedere solamente a un palmo dal naso.

Oggi mi ritrovo a ripetermi molte delle rassicurazioni che avevo rivolto a lei. Infatti mia madre si trova in terapia intensiva e non sappiamo ancora come andrà a finire, se sopravvivrà. Il mio cellulare è reperibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in caso mi chiami l’ospedale. Ho dimenticato cosa vuol dire dormire una notte di fila e ogni giorno mi preparo al peggio.

Non avere le risposte è difficile, molto difficile. Mi piacerebbe sapere come andranno a finire le cose. Anche da bambina, mi andavo a leggere la fine di un libro particolarmente intenso, solo per assicurarmi che avrei apprezzato il finale. (Sì, sono una di quelle persone).

Eppure una cosa la so per certa: Dio è fedele. È restato accanto a me e alla mia amica tante volte nel corso della nostra vita passata; non dobbiamo fare altro che fidarci di più di Lui per la nostra vita futura.

Come disse una volta il famoso predicatore Billy Graham: “Ho letto l’ultima pagina della bibbia. Andrà tutto bene”.

Di Vania Chew

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2018/06/22/not-having-the-answers/

Tradotto da Tiziana Calà

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