KAREN UDRY, AL CUORE DEL MERCY SHIPS

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Karen, puoi presentarti ?

Cosa difficile (risate). Sono nata a Sion, da mamma avventista con cui sono andata in chiesa fino alla mia adolescenza, e da papà che non andava in chiesa. Ho due sorelle. Ho sempre avuto il desiderio di lavorare nel campo della salute. Adesso sono diplomata in infermiera. Poco a poco, sono tornata in chiesa con il desiderio di fare la mia propria esperienza con Dio. Cosa che è successo a più riprese in America del Sud , durante un viaggio in solitario di tre mesi. Dio mi ha dimostrato che era con me e mi ha mostrato il cammino che dovevo seguire, mettendo gli avventisti in ogni posto in cui andassi. Anche durante un trekking di 4 giorni in montagna! Ho vissuto delle esperienze magnifiche con Dio, in seguito alle quali ho deciso di farmi battezzare.

Dio si serve dei viaggi per farti vivere delle grandi esperienze di fede!

Si! Dopo questo viaggio in America del Sud, ho lavorato per due anni all’ospedale di Losanna. Poi ho avuto di nuovo sentito il desiderio di partire. Un’amica, Romaine, mi parlò di Mercy Ships. Un’occasione di viaggiare e di conciliare fede e lavoro. Presi del tempo per pensarci su e poi mi è sembrato quasi ovvio.

Che cos’è Mercy Ships?

Mercy Ships è una ONG americana. Un giorno, un signore ebbe il sogno di creare un ospedale in una barca per raggiungere i posti isolati in cui le persone non hanno facile accesso alle cure. È una barca grande, è impressionante. E ogni anno dei volontari navigano verso un paese diverso per occuparsi della popolazione locale. Quest’anno la destinazione era Benin e ho fatto parte dell’equipaggio.

Com’è la vita sulla barca?

La barca resta in banchina. I volontari lavorano e vivono sulla barca. Eravamo tra 400 e 500 persone, compreso il personale amministrativo, di pulizia, cuochi, infermieri, radiologi, ecc. I giorni in cui non si lavora si può uscire o restare sulla barca che dispone di biblioteca, sala di preghiera, ecc. Si dorme su dei letti da campeggio uno sopra l’altro, in delle cabine senza finestre. È un po’ difficile ma alla fine ci si va solo per dormire.

Qual è stato il momento più bello di questa esperienza?

Non è un momento preciso piuttosto il contatto con la popolazione di Benin. Alcuni abitanti della regione erano anche loro dei volontari per tradurre tra i pazienti e i volontari. Abbiamo creato dei veri legami di amicizia. Sono stata colpita dalla loro fede, la loro devozione. A Benin lavorare senza essere pagati è notevole.

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Karen, en haut de la photo, deuxième personne en partant de la droite

E invece qual è stato il momento più difficile da vivere?

Ad essere sinceri, la cosa più difficile da vedere è che una ONG cristiana che deve aiutare e fare del bene aveva a volte un atteggiamento altezzoso. Alcuni avevano un modo di fare con i volontari del posto che mi dava fastidio. Ho visto alcuni beninesi essere un po’ sminuiti. Come se gli americani fossero lì per insegnargli tutto. C’erano anche delle differenze palesi: i volontari locali non potevano circolare liberamente sulla barca. Ogni volta che entravano e uscivano venivano perquisiti. Per partecipare ai culti, dovevano essere stati invitati. All’inizio mi arrabbiai. Poi con Romaine ci siamo dette che la rabbia non serviva a niente. Siamo andate a parlare con il personale delle risorse umane. Non abbiamo rivoluzionato la vita della barca ma abbiamo potuto cambiare due o tre cosette. È stato molto difficile, non me l’aspettavo.

Alla fine, cosa hai appreso da tutto questo?

È stata una bella esperienza spirituale nonostante qualche sfida da affrontare. I momenti in gruppo non mi hanno dato ciò che mi aspettavo, è stata una delusione ma allo stesso tempo una vera lezione. È stata una bella avventura di amicizia grazie agli abitanti di Benin.

Lo rifaresti?

Sì, lo rifarei ovviamente! In ogni esperienza c’è del positivo e del negativo. Dio si è servito di tutto questo per farmi comprendere delle cose nella mia vita personale. Anche il lato negativo non è stato invano.

Ho veramente visto Dio prendermi per mano e portarmi sulla Mercy Ships. Mi ha protetto, mi ha allontanato da qualcosa che non sarebbe stato buono per me se fossi rimasta in Svizzera. Era il momento giusto perché Dio mi facesse riflettere e mi fortificasse.

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