Chiese Senza Padre

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Quasi cinquant’anni fa, quando la Chiesa cattolica presentò il suo nuovo rito della messa nella Cappella Sistina, il cardinale John Heenan, che a quel tempo era l’arcivescovo di Westminster, disse che se la Chiesa avesse usato la nuova liturgia nelle piccole parrocchie, “sarebbe presto rimasta con una congregazione formata per lo più da donne e bambini”. Nel 1967, Heenan poté affermare con orgoglio che nel suo paese “non solo donne e bambini, ma anche padri di famiglia e giovani uomini” assistevano regolarmente alla messa.

A prescindere dal fatto che la liturgia abbia o meno avuto un qualche ruolo nella frequentazione della chiesa, alla fine le previsioni di Heenan si sono avverate e il calo della presenza maschile non si è limitato solo alla Chiesa cattolica. Un importante studio sulle abitudini di chiesa inglesi mostra, per esempio, che il 65% della congregazione media della chiesa è composta da donne e il 35% da uomini, con un divario che diventa sempre più grande. Nel 1980, le congregazioni erano formate per il 57% donne e per il 43% da uomini; a partire dal 1990, quasi la metà degli uomini sotto i 30 anni hanno lasciato la Chiesa. Se l’attuale calo continua, gli uomini scompariranno completamente dalla chiesa entro il 2028.

Queste tendenze non sono limitate a un’Europa sempre più laica e post-cristiana. Nonostante la chiesa negli Stati Uniti resti ancora una presenza importante, le previsioni del cardinale Heenan si sono avverate anche qui. Il 61% della congregazione americana media è di sesso femminile e il 39% di sesso maschile. Il divario di genere è lo stesso in tutte le fasce d’età: non lo si può quindi spiegare semplicemente col fatto che le donne vivono più a lungo degli uomini. Anche se la ricerca mostra che il 90% degli uomini americani crede in Dio e che cinque uomini su sei si identificano come cristiani, solo un uomo su sei va regolarmente in chiesa negli Stati Uniti.

Questi fatti e queste cifre forniscono uno sfondo per le discussioni sul ruolo delle donne nella Chiesa, argomento che siamo sempre più abituati ad ascoltare da quando Papa Francesco è salito al papato nel marzo del 2013. Solo a fine 2013, la Santa Sede ha messo fine a una discussione che era nata sulla possibilità di nominare le donne cardinali. “Non so da dove è nata questa idea”, ha spiegato il Papa, “ma chiunque pensi alle donne come cardinali soffre un po’ di clericalismo”. In risposta all’appello del Pontefice per riflettere ancora sulla dimensione femminile della vita di chiesa, il quotidiano vaticano “L’Osservatore Romano” ha inaugurato il 2014 con una serie di articoli incentrati sulla “teologia della donna”. Lucetta Scariffia, la redattrice degli articoli, ha spiegato che questa “questione aperta” è “fondamentale per la chiesa moderna”.

Di per sé, riflettere sulle prospettive di una teologia della donna è una cosa positiva. Come ha notato Giovanni Paolo II nella sua “Lettera alle donne”, “[la donna è] misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in schiavitù. Ciò le ha impedito di essere fino in fondo se stessa, e ha impoverito l’intera umanità di autentiche ricchezze spirituali.”. Come suggerisce il racconto della creazione nel libro della Genesi, se non abbiamo una visione corretta dei due generi, ci viene a mancare il vero concetto della natura umana nel suo insieme. È nel suo riconoscimento della “donna” che Adamo si riconosce come “uomo” (Genesi 2:23).

Ma le considerazioni teologiche non tengono sufficientemente conto della popolarità di idee nuove come quella delle donne cardinali (che, anche se per ora è stata rifiutata, quasi certamente verrà riproposta). L’evidenza mostra che i tre gruppi che oggi hanno meno probabilità di essere dei cristiani attivi sono gli uomini, i giovani e i poveri. Mutatis mutandis: significa che le persone più propense a frequentare la chiesa sono le donne di mezza età, benestanti e istruite. In altre parole, lo stesso gruppo demografico che domina quasi tutte le congregazioni ecclesiali nel mondo anglofono è lo stesso che con molta probabilità trarrà beneficio da un’idea come quella delle donne cardinali. Se una chiesa non ha quasi nessun’altra presenza se non le donne, è comprensibile che le idee sulla nuova teologia della donna e sulle nuove strutture di chiesa che includono il genere sembreranno molto più urgenti di quanto non lo sarebbero in una chiesa con un più sano equilibrio di genere.

L’affermazione che ciò di cui la Chiesa ha realmente bisogno in questo momento è una teologia dell’uomo potrebbe sembrare oltraggiosa in un primo momento. Dopo tutto, in molte grandi chiese cristiane ci sono molti ruoli che gli uomini sono liberi di occupare, ruoli che ancora oggi sono inaccessibili per le donne. Sicuramente l’ultima cosa di cui hanno bisogno le chiese gerarchicamente dominate dagli uomini è un numero sempre crescente di uomini che sproloquiano della propria mascolinità.

Eppure la maggior parte dei ragazzi non si sentono chiamati a diventare vescovi, sacerdoti, diaconi o pastori, anche se la maggior parte di loro diventerà un marito e un padre. L’Occidente, e gli Stati Uniti in particolare (al terzo posto quando si parla di divorzi a livello mondiale), sta vivendo da decenni una crisi di paternità, una crisi che sembra essere sempre più profonda e di cui conosciamo solo le prime tragiche conseguenze. Il presidente Obama ha parlato in modo commovente del suo crescere senza un padre e ha stabilito un impegno di paternità nazionale per incoraggiare i padri ad assumersi la responsabilità delle loro famiglie. Il “primo passo nella devozione”, disse una volta Giovanni Calvino, è “sapere che Dio è un padre per noi”. La crisi della pratica religiosa nel mondo occidentale è intimamente legata alla crisi della paternità, poiché è da Dio, come ci dice San Paolo, che deriva tutta la paternità su questa terra (Efesini 3:15).

Uno studio di ecclesiastici svizzeri commissionato dal Consiglio d’Europa ha scoperto che se una madre frequenta regolarmente la chiesa senza che il padre faccia lo stesso, solo il 2% dei figli frequenteranno regolarmente la chiesa in età adulta. Se i ruoli sono invertiti, con il padre che frequenta regolarmente senza che la madre faccia lo stesso, la percentuale di frequenza costante raggiunge il 44% (superiore addirittura al caso in cui entrambi i genitori frequentino regolarmente la chiesa). Un altro studio ha scoperto che quando una madre americana si converte alla fede, c’è il 17% di probabilità che il resto della sua famiglia prenderà la stessa decisione. Quando il padre si converte alla fede, questa cifra sale al 93%.

È lodevole il fatto che, nonostante il calo del tasso di frequenza tra gli uomini, molte donne abbiano conservato la propria fede, facendo spesso degli sforzi di grande coraggio (seppur purtroppo inefficaci) per trasmetterla ai loro figli. Ma il modo per far sì che le future generazioni di donne continuino a scoprire la gioia di vivere in Cristo non è quello di assumere posizioni di facciata. È assicurando che la Chiesa abbia un’adeguata teologia dell’uomo e della paternità, assicurando che le figlie vedano i loro padri andare in chiesa e vivere una vita di fede, il che, per inciso, è anche il modo per assicurarsi che le future generazioni di uomini tornino in chiesa, in contrapposizione con le attuali generazioni che invece se ne stanno andando in massa.

Aaron Taylor, dottorando in etica al Boston College, è laureato all’Università di Oxford e diplomato all’Heythrop College, a Londra.

Di Aaron Taylor 

Fonte: https://www.firstthings.com/web-exclusives/2014/01/fatherless-churches

Tradotto da Tiziana Calà

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